Giorgia Meloni si è lamentata, nel più puro stile postfascista, di essere stata esclusa da una cena di Macron all’Eliseo con Scholz e Zelensky. Ma di cosa mai può lagnarsi? Lo sanno tutti che il suo governo non è gradito né in Francia né in Germania, e che il centrista Macron deve la sua rielezione solo alla scarsa voglia dei francesi di precipitare nelle braccia della sua omologa di estrema destra, Marine Le Pen (con cui però i rapporti pare che non siano affatto buoni). Di più: la Francia e la Germania, soprattutto la seconda, in questo lungo anno di guerra, hanno sempre cercato di non chiudere completamente la porta a una trattativa con Putin, unico modo per tentare di arrivare, se non alla pace, almeno a una tregua. L’Italia invece ha mostrato, per la verità già con il governo Draghi, un volto molto più atlantista che europeo. Ci sarebbe da criticare, piuttosto, la Francia e la Germania per non avere preso un’iniziativa politica e diplomatica più forte, cercando di fare capire agli ucraini che la pretesa di riprendersi anche la Crimea – volontà in sé, ovviamente, legittima – ha il non trascurabile difetto di lasciare che la guerra si avviti nell’eternità: ma tutto ciò è fuori dalla portata del governo Meloni.
La premier ci tiene semplicemente a non passare, a livello dell’Europa che conta, per una paria. Ma lo è, c’è poco da fare. E con lei lo è quell’Italia meschina che sta già pensando, com’è tipico della parte del Paese che ha votato per i partiti della maggioranza, agli affari del dopoguerra, alle commesse per la ricostruzione dell’Ucraina. Il suo blocco sociale ed elettorale di riferimento è, principalmente, quello del Nord del Paese, lo stesso che ha una voglia matta di rompere i ponti con l’antica “questione meridionale”, abbandonando il Mezzogiorno al suo destino. È singolare che questo blocco possa essere leghista o nazionalista a seconda dei casi, e sempre incorreggibilmente berlusconiano – ma tant’è. Del resto Salvini, con il suo nazional-populismo e le sue oscillazioni governative, ha costruito un’autostrada per il più lineare nazionalismo di Meloni e soci.
Dunque, niente di cui sia possibile lagnarsi. Il Paese, per quanto riguarda la maggioranza relativa del suo elettorato, è proprio quello additato come razzista dalla pallavolista Paola Egonu. Non ci sono dubbi su questo. Lo stesso slogan dell’“aiutiamoli a casa loro” è intriso, da una parte, di ipocrisia, perché si sa che in un Sud del mondo devastato dai cataclismi ci vorrà qualche secolo prima che possa vedersi una ripresa, e, dall’altra, è ispirato alla solita logica degli affari – nel caso (perché no?) neocoloniali. Intanto, ci si dichiara d’accordo con i possibili muri europei da costruire contro i migranti, soltanto avendo la bontà di precisare, da parte del ministro Tajani, che certo sui chilometri e chilometri delle coste italiane i muri sono impensabili… E poi, che ne direbbero i concessionari degli stabilimenti balneari?