Anche il 2022 si è chiuso con un “milleproroghe”, il decreto-legge 198. Fra le cose più disparate, c’è un intervento sulla giustizia militare. L’organo di autogoverno, il Consiglio della magistratura militare (Cmm), scadeva a primavera 2023, ma è stato prorogato. Il Cmm ha una storia combattuta. Si insediò per la prima volta nel 1989, dopo che referendum, iniziative legislative e Corte costituzionale avevano reso indifferibile una riforma. La legge volle un collegio in carica per quattro anni, con nove componenti: cinque magistrati militari eletti e due laici di nomina politica, oltre al presidente della Cassazione e al procuratore generale militare. In concreto, queste regole sono state seguite per poche consiliature. Già nel 2007, con la legge finanziaria per il 2008, il Cmm si è ristretto a sette persone, fra cui quattro magistrati eletti. Nel 2009 una nuova modifica l’ha quasi dimezzato rispetto alle origini: cinque componenti, di cui due eletti. Nel 2010 è entrato così nel codice dell’ordinamento militare. Ma il dimagrimento non è bastato.
È già successo, che una consiliatura durasse più di quattro anni. Quella iniziata nel 2013 durò fino al 2019, perché nel 2017, dopo l’elezione regolare dei nuovi togati, i presidenti delle Camere non nominavano l’unico componente laico, che è anche vicepresidente. Finalmente, nel 2019, Alberti Casellati e Fico scelsero David Brunelli, accademico ed ex magistrato militare. Nella magistratura ordinaria, se tutti i laici del Consiglio superiore fossero ex magistrati diventati professori, si parlerebbe di autoreferenzialità della categoria; magari correrebbero leggende di toghe nascoste sotto gli abiti universitari. Nell’autogoverno della giustizia castrense l’unico laico è un ex togato; viene in mente quanto scrive su questo tipo di tribunali Eugene Fidell – fra i massimi esperti di giustizia militare Usa e comparata – quando ricorda “la natura intrinsecamente insulare di tali sistemi”.
L’insularità della giustizia militare non è solo italiana, e comunque Brunelli, autore di importanti pubblicazioni, ha il merito incancellabile di avere scritto un’ottima sentenza, nel 1998: è l’unica, sulle Fosse Ardeatine, con cui un ufficio giudiziario militare ha lavorato a fronte alta (le altre, dalla sentenza Kappler del 1948 a quella del 1997 con le attenuanti generiche a Priebke, sono un campionario di orrori). Lo stesso Brunelli, a proposito di interventi normativi sulla giustizia castrense, già nel 2000 ha fatto un saggio monito: “La rivisitazione legislativa su basi fragili, e priva di una riflessione a tutto campo, potrebbe addirittura rappresentare un rimedio peggiore del male”.
Adesso la consiliatura in scadenza prosegue; anzi – siamo nella terra dei commi e dei combinati disposti – è prorogato il termine entro cui pubblicare il decreto che convoca le elezioni di quella successiva: settembre 2023.
Prima col ridimensionamento della componente togata elettiva, poi con dilazioni di fatto o di diritto, da tre lustri il Cmm non è come voleva la riforma degli anni Ottanta, e da due consiliature vive stati di eccezione ricorrenti. Sono cose che non giovano all’autogoverno. L’Europa che ne pensa? La magistratura militare non è coinvolta né nel Consultative Council of European Judges, né nel Consultative Council of European Prosecutors. Quanto all’European Network of the Councils for the Judiciary, di cui fanno parte il Csm e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, la richiesta di ammissione del Cmm non è stata accolta.
Secondo il “milleproroghe”, il differimento dà il tempo per modificare l’ordinamento giudiziario militare. Già, perché la riforma Cartabia (legge 71 del 2022) prevede una decretazione legislativa e vuole che il numero dei togati eletti salga da due a quattro, “per garantire la maggioranza di tale componente elettiva” (con ciò la legge ammette che, adesso, la proporzione fra eletti e non eletti è inadeguata), vedi qui. Malgrado l’istituzione di un gruppo di studio al ministero della Difesa, ad agosto 2022, la decretazione non è stata fatta né dal governo Draghi né da quello Meloni. Insomma: in attesa di regole nuove, si prolunga la consiliatura vecchia.
In genere, l’attendismo non sembra portare fortuna alla giustizia militare. Nella modifica del codice penale militare di guerra, sui corpi di spedizione all’estero (legge 6 del 2002), c’è scritto che è provvisoria sino a “una nuova legge organica sulla materia penale militare”, ma la legge in vent’anni non si è vista. Perciò, le aspettative di un “milleproroghe” vanno prese con cautela.
Tutto questo in tempi normali sarebbe discutibile; mentre si commettono crimini internazionali è preoccupante. Nel 2022 il ministero della Giustizia – tenendo conto degli obblighi dell’Italia, secondo lo Statuto di Roma sulla Corte penale internazionale – ha istituito la Commissione per elaborare un progetto di codice dei crimini internazionali, presidenti Palazzo e Pocar. Ha lavorato con cura, ma ha lasciato aperta una questione: i processi su questi reati chi li fa? i tribunali ordinari o militari? (Vedi qui). Naturalmente la Commissione, presentando la relazione lo scorso maggio, non poteva sapere che la consiliatura del Cmm non sarebbe stata rinnovata. Ora, l’attribuzione dei processi ai tribunali militari è sempre più opinabile e il tema resta aperto. Da qualche settimana, sui crimini internazionali, c’è anche una struttura in più, il Gruppo di lavoro presieduto da Antonio Mura, sempre al ministero della Giustizia; si nota, a paragone con la Commissione Palazzo e Pocar, che non ne fanno parte magistrati in servizio in uffici giudiziari ordinari e che è aumentata la componente diplomatica.
La presidente di Medel (Magistrats européens pour la démocratie et les libertés), Mariarosaria Guglielmi, ha segnalato fra i motivi di crisi della giustizia ordinaria un “progetto di scardinare le basi del nostro sistema di rappresentanza”, e ha messo in luce l’attacco al Csm: “Ridurre le sue potenzialità democratiche, insite nella sua fisionomia di organo rappresentativo della magistratura (elettivo per i due terzi, secondo la Costituzione) e del pluralismo culturale che la caratterizza”. Questi tratti, benché incrinati, restano propri della magistratura ordinaria e sono, invece, meno facilmente conciliabili persino con le dimensioni dell’intera magistratura militare, centosettanta volte più piccola (58 unità).
Nell’intreccio fra decreti con valore di legge, fatti o promessi, la soluzione più ragionevole sembra semplicemente quella di affrontare l’urgenza, cioè di scegliere subito la prima, fra le tre proposte della Commissione Palazzo e Pocar: i crimini internazionali, tutti alla giustizia ordinaria. Perché dice bene la sua relazione: “L’unitarietà della giurisdizione risponde all’obiettivo di una ineludibile uniformità di trattamento, anche nell’ottica di una più puntuale aderenza agli obblighi internazionali di prevenzione e di repressione”. I crimini di guerra e contro l’umanità versano sangue ora, adesso, e non fanno la cortesia di una tregua sino alla riforma dell’ordinamento giudiziario militare.