La società italiana non sente alcun bisogno di affrontare in termini valoriali il tema dell’aborto, semmai in quelli dell’accesso negato alle strutture ospedaliere, che impedisce alle donne di interrompere la gravidanza. La legge 194, benché non applicata al meglio, per via soprattutto della pilotata overdose di medici obiettori nelle aree del sistema sanitario pubblico che praticano l’aborto, ha consolidato l’idea dell’autoderminazione della donna nella sua scelta della maternità: è la donna a decidere il momento in cui dare la vita, e in quel magico istante esiste una vita anche giuridicamente definita. Eppure questa grande conquista è sotto attacco, ed è assai probabile che tornerà a essere un tema caldo perché nella destra c’è chi si sta impegnando nel riaccendere uno scontro all’Ok Corral tra laici e cattolici, conservatori e progressisti, lanciando in campo una iniziativa legislativa per dare personalità giuridica al concepito.
Dopo il senatore Gasparri, si è mosso in questa direzione, nei giorni scorsi, il suo collega Roberto Menia, lunga militanza fascista dal Fuan fino ai giorni nostri, avamposto del tradizionalismo meloniano. Menia è un politico che sa come portare a casa una legge: è padre di quella che ha istituito il 10 febbraio come Giorno del Ricordo, dedicato ai martiri delle foibe, una delle leggi più manipolative che mai sia stata sfornata dalla Repubblica. Dunque sa come battersi per la sua proposta intitolata “Modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica a ogni essere umano”.
L’obiettivo del fronte tradizionalista sarebbe il seguente (a stare al testo): “dichiarare che ogni uomo ha la capacità giuridica in quanto uomo, cioè che la soggettività giuridica ha origine dal concepimento, non dalla nascita”. Quantomeno poco attento al linguaggio di genere, prosegue il proponente: “si tratta di riconoscere, anche nell’ambito giuridico, che embrione, feto, neonato, bambino, ragazzo, adolescente, giovane, adulto, anziano, vecchio sono diversi nomi con cui si indica una identica realtà, un identico soggetto, lo stesso essere personale, lo stesso uomo”: questa umanità maschile, vagheggiata da Menia, dev’essere preservata sin dalla “vita umana prenatale”, sottoposta “a rischi di varia natura”. “Per questo”, si legge, “è preliminare la definizione dello ‘statuto giuridico dell’embrione umano’, come richiesto anche dal parlamento europeo nelle due risoluzioni del 16 marzo 1989 sui problemi etici e giuridici della ingegneria genetica e della procreazione artificiale umana”, un testo estremamente complesso – e non anti-abortista – che Menia vuole usare per dare senso giuridico all’essere umano “nella fase più giovane della sua esistenza” (parole sue). Il firmatario del testo ritiene, infine, “di non dover intervenire nella complessa disciplina dei diritti patrimoniali legati alle successioni e alle donazioni”, per i quali “l’eliminazione della condizione della nascita comporterebbe mutamenti complessi nel regime successorio, che meglio dovrebbero essere valutati”: ma su questo l’ex presidente della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, ha già detto che, se si sceglie la via formalistico-giuridica, “il contenuto dei diritti, dal punto di vista civilistico, è largamente di carattere patrimoniale”, chiedendo: “quali farebbero capo al futuro nascituro?”(Adn-Kronos).
L’offensiva anti-abortista troverà grande resistenza: è una battaglia che la destra postfascista vuole combattere per ridare fiato a una identità che invero non trova espressione se non rifugiandosi nel tradizionalismo, ma che avrebbe fiato corto se ci fosse un’opposizione politica organizzata e all’altezza. Il tentativo vandeiano-meloniano si innesterà nelle tecniche di indebolimento dell’autodeterminazione della donna avviate da alcune Regioni che, grazie alla scellerata autonomia in campo sanitario, stanno tagliando i servizi territoriali previsti dalla 194.
Dunque, mentre l’Oms ci ricorda che l’aborto clandestino è tra le principali cause di mortalità materna nel mondo; mentre in quasi venti Paesi, tra cui molte nazioni africane, come l’Egitto, il Senegal, il Gabon, il Madagascar e la Mauritania l’aborto è illegale; mentre il diritto all’aborto è fortemente messo in pericolo negli Stati Uniti, dopo che la Corte suprema ha revocato la sentenza del 1973 sul caso Roe v. Wade e cancellato il diritto a decidere di interrompere la propria gravidanza (vedi qui); mentre l’ “Atlante delle politiche europee sull’aborto”, elaborato nel 2021 dall’European Parliamentary Forum (Epf), mostra una situazione eterogenea in tutto il continente e rivela che “l’Europa non è così progressista come potrebbe sembrare“ (insieme con Malta, la Polonia e l’Ungheria sono gli Stati dell’Unione europea con la legislazione più restrittiva in materia); la situazione in Italia non è rassicurante. Nella graduatoria siamo posizionati su un gradino medio-alto, al sedicesimo posto. Dietro alla Macedonia del Nord, alla Grecia e alla Spagna. Il punteggio legato allo stato giuridico dell’aborto è valutato 12 punti per l’Italia su un massimo di 15, l’accesso alla possibilità di aborto è 37 su un massimo di 45 punti, mentre sull’assistenza clinica e i servizi offerti il punteggio totalizzato è 14 su 30. Sull’informazione in merito ai servizi, ha guadagnato 4 punti su 10. L’Italia si è posizionata tra i diciannove Paesi più progressisti sul tema, ma dove le donne devono rispettare requisiti non necessari dal punto di vista medico prima di accedere all’aborto, e tra i diciotto Paesi che non forniscono informazioni chiare e accurate sulla cura dell’aborto. Inoltre, l’Italia è tra i ventisei Paesi in cui viene consentito agli operatori sanitari di negare l’assistenza sulla base delle proprie convinzioni personali.
Proprio l’obiezione di coscienza (67% dei ginecologi) è considerata un grosso ostacolo in Italia e ci sono strutture dove per le donne non è possibile procedere con l’interruzione di gravidanza per mancanza di personale. L’aborto in Italia è una battaglia da fare, da non lasciare ai rigurgiti reazionari di quel comizio, tenuto dalla presidente del Consiglio italiano, di fronte al popolo di Vox.