Fischi e applausi per la prima assoluta del governo Meloni. Le critiche alla manovra sono tante, e non arrivano solo dalla società civile e dai sindacati (la Cgil ha indetto già scioperi territoriali insieme alla Uil), ma anche da luoghi istituzionali importanti, come la Banca d’Italia, la Corte dei conti, l’Ufficio parlamentare di Bilancio e via dicendo. Tra i no alla manovra scopriamo varie sorprese; ma abbiamo ascoltato anche applausi più o meno rumorosi. Il teatro della comunicazione è sempre più da interpretare. Cominciamo dagli applausi.
Lucio Caracciolo, ispiratore di “Limes” e grande divulgatore della geopolitica, ha fatto notizia per le sue dichiarazioni su uno degli aspetti più controversi e antichi: il ponte sullo Stretto. Si tratta di un’opera da sempre osteggiata, ma che andrebbe finalmente realizzata “perché è una priorità strategica per l’Italia”. A Caracciolo non è piaciuta la presa di posizione critica della commissaria europea ai Trasporti, la romena Adina Valean, secondo la quale per finanziare il progetto serve un progetto (lapalissiano). Caracciolo spera che il governo Meloni riesca ad attivare quel progetto e che non fallisca come tutti i governi precedenti, dal 1876, quando il ministro Giuseppe Zanardelli diceva: “Sopra i flutti o sotto i flutti, la Sicilia sia unita al continente!”.
Un’altra ala del loggione – da cui arrivano applausi pudichi, quasi silenziosi – è quella dei mitici mercati finanziari europei, che sono abituati a fare i fatti, evitando il teatrino mediatico. Questi esseri senza volto stavolta non sembrano spaventati, anche perché la presentazione della legge di Bilancio 2023 è avvenuta in un contesto in cui lo spread, tra i titoli del debito pubblico di Italia e Germania, ha imboccato un trend discendente spinto anche dalla convinzione degli investitori che, alla fine, la recessione indurrà la Bce a rallentare la stretta monetaria. I mercati si sono convinti che il governo di destra (ex populista?) non sia interessato (almeno per ora) a sfidare l’Unione sulle questioni finanziarie, tanto meno a mettere in dubbio la collocazione strategica ed economica del Paese. Per parlare di cose concrete, ricordiamo per esempio che l’Italia ha un forte incentivo a evitare lo scontro con Bruxelles: beneficiare di quasi duecento miliardi di euro di fondi per la ripresa post-pandemia. Su tutto il continente aleggia poi il fantasma della ex premier britannica, Liz Truss. Con la grande finanza non si scherza.
Un altro applauso, anche se contenuto, arriva dal leader di Azione, Carlo Calenda, che ha elogiato Giorgia Meloni e ha parlato di un incontro con lei “molto positivo”. Ma – attenzione – questo non vuol dire che Calenda si voglia sostituire a Forza Italia negli scranni della maggioranza di governo. Non saremo la “stampella” del governo, ha chiarito, anche perché non c’è stata nessuna richiesta in tal senso. “Nessuna. E noi non l’avremmo accettata”.
Anche il filosofo Massimo Cacciari spende molti complimenti per Giorgia Meloni e, a proposito della legge di Bilancio, dice che “ci sono alcune cose come il tetto al contante che sono giustamente criticabili e che andavano evitate. Ma per onestà intellettuale tutti si dovrebbero chiedere che cosa si sarebbe potuto fare di diverso. Sarebbe interessante chiedere l’opinione di Draghi, che sicuramente è stato ascoltato, eccome, dalla Meloni”. Il problema – dice Cacciari – è che per proteggere i ceti più deboli, sarebbero necessarie delle manovre soprattutto di redistribuzione sul piano fiscale. Manovre che nessuna forza politica ha mai proposto, né propone. In fondo la politica economica da almeno trent’anni redistribuisce a rovescio. E almeno su questo è difficile dargli torto.
Ma poi è necessario valutare le scelte che si fanno, senza indulgere nel “paradigma Craxi” (lo fanno tutti). Si smarca, per esempio, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, secondo il quale nella manovra non c’è nulla per il rilancio degli investimenti, e le poche risorse a disposizione vengono messe su poste sbagliate, tipo la flat tax e un modello contorto di prepensionamenti, mentre è quasi inesistente il taglio del cuneo fiscale. Le dichiarazioni del leader degli industriali hanno suscitato subito l’attenzione di Giuseppe Conte, che cerca alleanze per i 5 Stelle. Dopo un primo incontro con il presidente di Confindustria, Conte ha detto di condividere le critiche alla scelta di rasare a zero gli investimenti per il Sud. Scelta stigmatizzata – ma questa non è certo una sorpresa – dal governatore De Luca, secondo cui non solo si tagliano i fondi per il Sud, ma si avvia un furto vero e proprio ai danni delle regioni meridionali e a favore di quelle del Nord, soprattutto per quanto riguarda la sanità.
Preoccupati per il furto ai poveri sono anche i vescovi italiani, anche se dalla Chiesa arrivano messaggi ambivalenti. Da una parte la Cei ha accolto lo stop al reddito di cittadinanza (anche se dilazionato) deciso dal governo Meloni con un misto di incredulità e di orrore. “L’Avvenire” ha titolato: “Scaricati 660mila poveri”. Ma ovviamente la comunicazione del Vaticano è una macchina complessa, costruita nelle migliaia di anni, che hanno seguito la prima campagna di promozione evangelica di Saul, conosciuto anche come San Paolo. Da una parte, la Chiesa è molto preoccupata per il destino di migliaia di famiglie povere; dall’altra, cerca di tornare alla carica sui finanziamenti pubblici alle scuole paritarie, che con la pandemia sono entrate in una crisi profonda.
Dalle poltrone istituzionali arrivano, intanto, vari fischi più o meno con la sordina. La Corte dei conti ha dichiarato che alcune misure in materia di entrate generano perplessità. “È importante conseguire significativi miglioramenti in termini di coerenza fiscale, ponendo al centro degli obiettivi pubblici un’efficace azione di contenimento dell’evasione che, nonostante i risultati conseguiti, rimane di dimensioni considerevoli. Ma non sembrano andare in questa direzione alcune delle misure della manovra”. Per l’Ufficio parlamentare di Bilancio nella manovra 2023, “si allentano due vincoli che possono contribuire a contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro”.
Tra gli studiosi ed esperti di diseguaglianze, Chiara Saraceno sembra essere la più lucida e convinta critica. Ritiene sbagliato abolire il reddito di cittadinanza e molto pericolosa la parte fiscale della manovra. “Se volessimo essere buoni, si potrebbe dire che si tratta di una manovra confusa, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Da un lato, abbassa l’Iva su alcuni beni di prima necessità e, dall’altro, allarga la platea della flat tax fino a 85.000 euro. Questo è uno degli interventi più iniqui di questa manovra, che è chiaramente squilibrata a favore dei lavoratori autonomi e, aggiungo, dei lavoratori autonomi abbienti”.
Tra i sondaggisti ha fatto notizia invece Alessandra Ghisleri, che in genere ha uno sguardo di favore per l’establishment. Per lei è sì vero che Giorgia Meloni viene data al 30%, “ma non ha mai sfondato quel tetto, soprattutto dopo aver affrontato la manovra”. Si tratta certo solo di percezioni, “perché gli italiani hanno una certa idiosincrasia verso la parola ‘manovra’ e si rinchiudono verso se stessi, pensando che sia sempre un’azione pericolosa nei confronti dei cittadini”. Secondo la sondaggista c’è “la sensazione tra la gente che alcune categorie abbiano più vantaggi di altre”.
Dalle poltrone dell’opposizione, abbiamo già detto di Conte, che cerca di reclutare Bonomi, mentre il segretario del Pd, Enrico Letta, alle prese con un congresso da fine del mondo, prova a giocarsi la carta dell’etica pubblica. Secondo Letta, infatti, la manovra dà un “messaggio veramente pessimo sull’evasione fiscale, questa è una legge di Bilancio che è un inno all’evasione fiscale, sia sul tema del contante, sia sul tema del Pos. È una legge di Bilancio che sostanzialmente dice agli italiani che hanno sempre pagato le tasse, che sono la maggioranza, ‘l’agenda fiscale ce la facciamo dettare da coloro che evadono il fisco’. Io credo che questo sia gravissimo”.
Arrabbiati i sindacati dei pensionati, soprattutto per il taglio alle rivalutazioni promesse. Per il 16 dicembre, lo Spi-Cgil ha indetto una manifestazione a Roma, in piazza Santi Apostoli. Il governo, dice il segretario generale, Ivan Pedretti, continua a trattare “i pensionati come un bancomat e si prende dalle loro tasche 3,7 miliardi di euro in un solo anno per finanziare la flat tax e misure che favoriscono furbi ed evasori, taglia le risorse alla sanità, non fa nulla per dare seguito alla legge delega sulla non autosufficienza degli anziani e spinge verso l’autonomia differenziata che aumenterà le diseguaglianze nel Paese”. Al segretario della Cgil, Maurizio Landini, non sono affatto piaciute le minacce rivolte contro la premier Meloni. Ma non si può continuare a scherzare con il fuoco. Il governo ha uno strumento potente per evitare l’esplosione della rabbia sociale: smetterla di favorire gli evasori e concentrare le risorse sui salari e le pensioni.