Non capita tutti i giorni che una carica politica ai vertici di un Paese venga raggiunta da una condanna penale; e ancora meno spesso succede quando si trova nel pieno delle sue funzioni. Caso più unico che raro, ma è proprio quello che è accaduto, martedì 6 dicembre, a Buenos Aires, a Cristina Fernández de Kirchner, ovvero CFK, per i molti che la amano fino all’idolatria, vedendo in lei una rediviva Evita Perón per il suo rapporto intenso con le masse popolari. E anche per i molti che la odiano con tutte le loro forze, e ora gioiscono nella speranza, probabilmente vana, di vederla in carcere. Personaggio quanto mai controverso e divisivo, Cristina è la vedova di Néstor Kirchner, presidente dal 2003 al 2007, al quale è poi succeduta esercitando la massima carica fino al 2015. Alle ultime presidenziali, con una certa sorpresa, si era accontentata di fare da vice di Alberto Fernández, figura sbiadita, politicamente più moderata di lei, che è capofila riconosciuta della sinistra e alimenta il grande fiume del kirchnerismo.
Ieri è stata condannata a sei anni di prigione per la causa “Vialidad”, una sentenza più mite di quella che la procura aveva chiesto, accusandola di avere guidato un’associazione illecita che ha promosso, insieme con altri funzionari, contratti milionari per opere stradali troppo care e persino inutili. Fernández de Kirchner è stata dichiarata colpevole di amministrazione fraudolenta e di danno alla pubblica amministrazione, reati commessi durante la sua presidenza mediante la distrazione di fondi dallo Stato per suo beneficio personale o per quello di una terza persona.
Una giuria composta da tre magistrati l’ha riconosciuta colpevole di “una straordinaria manovra fraudolenta che ha pregiudicato gli interessi pecuniari dell’Amministrazione pubblica nazionale”, che, secondo il procuratore Diego Luciani, ammonta a un miliardo di dollari e riguarda irregolarità nell’aggiudicazione di ben cinquantuno opere pubbliche nella provincia di Santa Cruz, la roccaforte del kirchnerismo in Patagonia. Terra di origine di Néstor Kirchner che era nato nella capitale Río Gallegos, attualmente è governata dalla sorella Alicia, e continua a essere il centro del potere famigliare.
Con CFK sono state condannate altre dodici persone, tra cui Lázaro Báez, di professione costruttore e maggiore beneficiario di tutta la vicenda, al quale è stata inflitta una pena di sei anni di carcere. Amico di famiglia dei Kirchner, stava già scontando dodici anni di prigione per lavaggio di denaro sporco inflittigli in un altro procedimento. Condannati anche due ex ministri del governo, e José López, segretario dei lavori pubblici, sulle cui spalle pesa una condanna a sei anni di detenzione. Il verdetto si situa a metà strada tra la richiesta dell’imputata di essere assolta, e quanto chiedevano i suoi accusatori, che la volevano condannata per il reato di associazione illecita, per il quale è prevista una condanna a dodici anni di carcere. L’associazione illecita, un reato pensato per combattere il narcotraffico, non è stata provata: da qui il verdetto di ieri, con le pene dimezzate rispetto alle richieste della procura. La vicepresidente non era presente in aula alla lettura della sentenza, che ha ascoltato dal suo ufficio. Oltre alla pena detentiva – che Cristina non sconterà, e contro la quale può appellarsi, avviando un iter processuale che potrà durare anche anni – la sentenza prevede, una volta che sia definitiva, l’interdizione perpetua dall’esercizio di cariche pubbliche per frode a danno dello Stato.
Nello schieramento peronista, e soprattutto nella fazione kirchnerista che in passato ha accusato il presidente Alberto Fernández di non aver difeso a sufficienza la sua vice, la convinzione è che il processo sia l’esito preannunciato di una strategia che aveva l’obiettivo di colpire Cristina, una delle figure più potenti della politica argentina, potenziale candidata alle presidenziali del 2023, al posto dell’attuale capo dello Stato considerato troppo debole. In uno degli ultimi sondaggi sui personaggi politici argentini, CFK risulta avere il gradimento del 29% degli elettori, un ottimo posizionamento in vista delle prossime elezioni, sia per uno scranno di senatrice, sia per una nuova corsa alla presidenza. Tenuto conto che il gradimento di Alberto Fernández è ai minimi, CFK poteva essere la carta vincente del Frente de todos, la formazione che raccoglie il peronismo di sinistra. Mentre il ministro dell’Economia, Sergio Massa, altro potenziale candidato alle presidenziali, è alle prese con una crisi economica e un’inflazione che, a fine anno, arriverà al 100%. Un suo insuccesso, nel difficile compito che si è assunto, equivarrebbe a una sua esclusione dalla contesa presidenziale. Ora, con il suo farsi da parte, CFK apre la corsa per la successione di Fernández in vista del 2023, e già si fanno avanti due figure a lei vicine, l’attuale ministro dell’Interno, Eduardo de Pedro, e il governatore della provincia di Buenos Aires, Axel Kicillof.
A meno che, ovviamente, Cristina non cambi idea, spinta magari dalle masse osannanti dei suoi sostenitori, e non decida di ricandidarsi per il bene del Paese e per difendere i poveri: cosa che il primo grado di giudizio non le impedisce di fare. Nella migliore tradizione populista, CFK sostiene di essere vittima di una campagna contro di lei, e, accusando la giustizia di essere strumento della lotta politica, mina la sua credibilità e la credibilità delle istituzioni. “Questo non è un giudizio contro Cristina Kirchner, questo è un giudizio contro il peronismo, contro i governi nazionali e popolari” – ha detto, facendo coincidere la propria incolumità personale con quella del Paese, e denunciando che, dietro i giudici che l’hanno condannata, si celi l’opposizione di Mauricio Macri e quella della grande stampa. Mentre la sentenza viene giudicata dall’opposizione come una crepa nel muro della corruzione che potrebbe favorirla nella prossima tornata elettorale, nonostante le sue grandi divisioni interne, l’uscita di scena della vicepresidente di sicuro sarebbe un’occasione per il Paese per vedere diminuire il suo tasso di polarizzazione, che CFK ha contribuito a far aumentare.
Al di là dell’esito processuale, il significato politico della sentenza è destinato a incidere pesantemente sulla vita dell’Argentina, tanto più che è anche la prima volta che un vicepresidente in carica viene condannato per frode a danno dello Stato. Nei suoi trent’anni di vita pubblica, CFK è stata spesso indagata per presunti reati legati a casi di corruzione, uscendo assolta in due processi; questo è il primo procedimento che giunge al giudizio. Le prove che hanno inchiodato CFK includevano anche messaggi, via Whatsapp, tra López e Báez, che hanno rivelato un piano per occultare nel 2015 atti relativi a pagamenti illeciti; mentre è stato provato che alcuni messaggi si riferivano alla “signora” che doveva “prendere decisioni” – secondo la magistratura inquirente un chiaro riferimento a CFK, che i giudici hanno ritenuto fondato.
La condanna era scritta – ha detto Cristina pochi minuti dopo che la sentenza è stata pronunciata, ribadendo ciò che aveva detto, nel 2019, davanti alla Corte, quando aveva anticipato che sarebbe stata dichiarata colpevole. Con gli occhi umidi di pianto, parlando dal suo ufficio al Senato, CFK ha detto che “questo è uno Stato parallelo e una mafia giudiziaria”, ed “è la conferma dell’esistenza di un sistema parastatale in cui si decide sulla vita, il patrimonio, la libertà degli argentini, che è fuori dai risultati elettorali”. Cristina ha sottolineato che la “conferma” di questa persecuzione è stata una chat di Telegram, diffusa da alcuni media lunedì, che avrebbe rivelato l’esistenza di un viaggio segreto fatto da funzionari dell’opposizione, magistrati, procuratori ed ex agenti dell’intelligence.
“Mi condannano perché condannano un modello di sviluppo economico e di riconoscimento dei diritti del popolo. Ecco perché mi condannano” – ha dichiarato. Ha anche assicurato che l’obiettivo del processo era quello di toglierla dal potere. “In carcere o morta mi vogliono”, ha detto, ricordando anche l’attentato subito, per fortuna senza conseguenze, lo scorso settembre quando un uomo aveva tentato di spararle in testa con una pistola che si era inceppata (vedi qui). Alla fine, ha annunciato che non si candiderà alle elezioni del 2023: “Non sarò candidata a nulla, né a presidente né a senatrice. Il mio nome non sarà presente in nessuna scheda. Finisco il 10 dicembre – del 2023 – e torno, come sono tornata il 10 dicembre del 2015, a casa mia”. Avendo deciso di non presentarsi alle elezioni previste per l’ottobre dell’anno prossimo, non rischiando ora l’arresto per via dell’immunità parlamentare, senza escludere qualche ripensamento che le potrebbe garantire un altro lungo periodo al sicuro dal carcere – la cosa più probabile è che il procedimento passi alla Corte suprema di giustizia.