Già la sinistra fa fatica a fare la sinistra; poi questa maledetta guerra ha reso tutto più complicato. Così il governo spagnolo, formato dal Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) e dalla sinistra radicale di Unidas podemos (Up), che ha adottato misure sociali di rilievo per fronteggiare povertà e precarietà del lavoro, sembra che ora non possa fare a meno di aumentare le spese militari. Ma l’invasione russa in Ucraina e il conseguente conflitto hanno messo il premier, Pedro Sánchez, con le spalle al muro. Si è infuriata la formazione politica alleata, fondata da Pablo Iglesias, che accusa i socialisti di volere introdurre subdolamente una misura che prevede ulteriori risorse per gli armamenti destinati, in parte, a rifornire l’Ucraina. Durissimo l’attacco del deputato Pablo Echenique: “Hanno truccato le voci del comparto in questione – ha denunciato l’esponente di Up –, così da nascondere parte dell’aumento della spesa militare. Una vergogna e una prova di slealtà la decisione del governo di aumentare in maniera unilaterale il budget della Difesa”. Immediata la replica della ministra delle Finanze, María Jesús Montero, e della sua collega della Difesa, Margarita Robles, secondo cui tutti i ministri della sinistra radicale erano al corrente dell’escamotage contabile adottato per aumentare le spese militari. Per Up non è facile “ingoiare il rospo”.
Da quando il governo di sinistra siede alla Moncloa, c’è stato un aumento esponenziale nell’acquisto di armi che – in tre anni, dunque ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina – è arrivato al 42,5%. Ma perché questa scelta? “Nella classifica ufficiale sulle spese militari stilate dalla Nato – dice in un’intervista a “Pagine esteri” Marco Santopadre, già direttore di “Radio Città aperta” di Roma, e analista dell’area del Mediterraneo e del Medio oriente – la Spagna finora era in fondo con solo l’1,03% del proprio Pil (spendeva meno solo il Lussemburgo). Ben poca cosa rispetto al 3,7% della Grecia, al 3,5% degli Stati Uniti o anche al 2,1 del Regno Unito, all’1,9 della Francia, all’1,5 dell’Italia o all’1,4 della Germania. Ma – aggiunge Santopadre – la verità, come denunciano i dati resi pubblici dal Centro Delàs di studi per la pace, è che la reale entità della spesa militare di Madrid è assai più consistente di quella dichiarata, se oltre al budget del ministero della Difesa si considerano gli stanziamenti per il comparto militare gestiti da altri dicasteri. Per esempio, l’organismo include nel conteggio circa 1,6 miliardi – con un aumento del 126% rispetto al 2022 – di fondi concessi al ministero dell’Industria per attività di ricerca e sviluppo di apparati militari”.
Di fronte a questo scenario bellico, all’interno di Up il dibattito è serrato. C’è difficoltà ad accettare questa situazione. Ma mettere in crisi l’unità con i socialisti, in vista della prossima consultazione elettorale, apparirebbe un gesto irresponsabile di fronte al rischio di una vittoria, alle elezioni del novembre 2023, dei conservatori del Partito popolare alleati con i neofranchisti di Vox – resi noti dai famosi comizi di Giorgia Meloni. È proprio anche grazie alla presenza di Up nell’esecutivo, che sono state prese misure sociali di grande rilievo, senza riscontro in nessun altro Paese europeo. Si va dal tentativo di contrastare gli effetti negativi provocati dall’inflazione, che viaggia intorno al 9% annuo, mediante lo stanziamento di tre miliardi di euro per aumentare gli sconti delle bollette del 40%, all’abbassamento della pressione fiscale sui ceti meno abbienti. Con la contemporanea decisione di creare una “tassa di solidarietà”, in vigore fino alla fine del 2024, sui patrimoni superiori ai tre milioni di euro, con un aumento degli introiti nelle casse dello Stato di tre miliardi di euro. Una misura da sempre impensabile nel nostro Paese.
Un altro fronte su cui la Spagna ha raggiunto risultati importanti è quello della lotta alla precarietà del lavoro, vera e propria piaga degli ultimi decenni determinata dalle sciagurate politiche liberiste. Protagonista di questa battaglia è la ministra e vicepresidente Yolanda Díaz (di cui abbiamo parlato qui), espressione della componente comunista di Up, che, a inizio anno, ha varato una riforma contro la precarietà. “In Spagna – ha dichiarato la ministra alla testata online “Nova.news” – abbiamo cambiato paradigma, aumentando diritti e salari per tutti. L’altra cosa bella è che a livello economico funziona. Oggi il 48% dei nuovi contratti è a tempo indeterminato, prima era il 10%, con un conseguente miglioramento della qualità del lavoro che significa maggiore gratificazione e produttività. Anche sul difficile fronte della gig economy e degli algoritmi, il governo spagnolo è riuscito a mettere un po’ d’ordine”. Al riguardo “siamo il primo Paese ad avere preso dei provvedimenti specifici – ha detto Díaz – con l’obiettivo di considerare i rider non più liberi professionisti ma dipendenti. Licenziare, dunque, sarà più difficile di prima e, quando avviene, l’indennizzo per il lavoratore è aumentato. E poi gli algoritmi devono essere trasparenti e imparziali, non possono penalizzare un lavoratore rispetto a un altro. Le formule matematiche che ne stanno alla base devono essere visibili, controllabili. Il lavoro delle piattaforme continuerà a esistere ma deve rispettare i diritti basilari”.
Se a questo aggiungiamo che la legge di bilancio del 2023, approvata il 4 ottobre scorso, prevede un forte aumento delle spese sociali,grazie anche ai fondi dell’Unione europea – “sei euro ogni dieci del bilancio verranno destinati alla spesa sociale” – ha rivendicato la ministra Montero – possiamo ben dire che, armi a parte, il governo Sánchez ha fatto più di una cosa di sinistra. Senza dimenticare che questa politica ha fatto scendere il tasso di disoccupazione dal 13,6 del primo trimestre dell’anno in corso al 12,5 del secondo. E tuttavia una vittoria della destra, alla prossima tornata elettorale, è del tutto probabile.
A sinistra, oltre all’aumento delle spese militari, è stato difficile digerire l’incapacità di gestire il tema dell’immigrazione, in particolare la morte di almeno ventitré persone nel tentativo di entrare nell’enclave spagnola di Melilla. Questo avrebbe spinto una parte dell’elettorato a spostare le proprie preferenze verso Up, che approfitterebbe della fase difficile che sta indebolendo il partito di Sánchez. In questo contesto, proprio la ministra Díaz sta diventando l’ideatrice di un nuovo soggetto politico – si chiama Sumar, cioè sostanzialmente “Unità” –, che tenderebbe a superare Podemos, con l’obiettivo di rilanciare la sinistra radicale che è in una fase di stallo.
Già stretta collaboratrice di Pablo Iglesias, che l’aveva indicata come candidata alle prossime elezioni, Díaz ha però deciso di andare oltre e di creare appunto qualcosa di nuovo, che in ogni caso non potrà certo fare a meno del supporto di Podemos. I sondaggi danno già Sumar al 13%, il che le consentirebbe di arrivare al terzo posto superando Vox di Javier Ortega, che viaggia intorno al 10; mentre socialisti e popolari si contendono il primo posto, anche se il partito di Cuca Gamarra appare favorito rispetto al Psoe. Quest’ultimo viaggerebbe tra il 27 e il 29%, mentre la destra popolare è data tra il 29 e il 35. È chiaro che questi sondaggi lasciano il tempo che trovano, visto che mancano ancora dodici mesi al voto; ma una vittoria delle destre sarebbe una catastrofe in un’Europa non esattamente spostata a sinistra. Una sconfitta, per il Psoe e Up, sarebbe in una certa misura incomprensibile, visto che, sia pure con tutte le ombre che abbiamo ricordato, il bilancio della politica di Sánchez non può essere certo considerato negativo. Ma, come ci hanno insegnato questi ultimi anni, l’elettorato è fluido, e le sorprese sono sempre dietro l’angolo.