Nel giugno scorso, l’Ecuador è stato bloccato per diciotto giorni (vedi qui): la Conaie, la Confederación de nacionalidades indígenas, aveva indetto uno sciopero nazionale, con il coinvolgimento di numerosi settori della popolazione, durato quasi tre settimane. Dopo l’ondata di proteste, i rappresentanti delle organizzazioni indigene ecuadoriane e il governo del presidente conservatore Guillermo Lasso avevano firmato un accordo, che poneva fine allo sciopero nazionale e cercava di fare avanzare un processo negoziale che rispondesse alle richieste sollevate dalle organizzazioni.
I tavoli di negoziazione si sono chiusi ufficialmente il 14 ottobre, dopo novanta giorni di trattative e più di duecento accordi sottoscritti. L’evento conclusivo si è svolto presso le strutture dell’Università cattolica, e la Conferenza episcopale è stata la mediatrice dell’intero processo. A nome dell’esecutivo, al tavolo, era assente il presidente Guillermo Lasso, ma c’era il ministro Francisco Jiménez; mentre, dal lato delle organizzazioni indigene, c’erano Leonidas Iza, della Conaie, Gary Espinoza di Fenocin, e Edgar Sáenz di Feine. Durante il discorso di chiusura dei lavori, Iza ha dichiarato: “Salutiamo i funzionari statali che hanno fatto lo sforzo di portare a termine questo processo. Chi non si è confrontato con il Paese è il presidente”.
Come si legge sull’account Twitter ufficiale del governo ecuadoriano, sono state costituite dieci mesas sui temi della salute, dell’economia e dell’educazione. Tuttavia, i leader della Conaie, di Fenocin e di Feine – le più grandi organizzazioni indigene dell’Ecuador – hanno rifiutato di firmare gli accordi raggiunti l’ultimo giorno. Il presidente della Conaie, Leonidas Iza, ha affermato che “in due aree di negoziazione non ci sono accordi: i diritti del lavoro e le sovvenzioni al carburante, chiediamo al governo di rendere più flessibile la sua posizione”. Iza ha inoltre aggiunto che “non c’è accordo sulla flessibilità del lavoro e sulla violazione dei diritti dei lavoratori”. Il tavolo di negoziazione sul carburante si è chiuso “senza un accordo globale”, ha dichiarato il ministro Jiménez, aggiungendo che “il principale punto di disaccordo riguarda il sussidio per alcune industrie della pesca, e altre industrie”. Oltre a questo, Iza ha detto che la risposta del governo è stata negativa sulla richiesta di ridurre ulteriormente il prezzo dei combustibili per la popolazione delle zone rurali.
Secondo il presidente della Conaie, su alcune questioni sono stati raggiunti risultati significativi, mentre, in assenza di progressi su altre, il movimento continuerà a portare avanti le proprie rivendicazioni. Ha aggiunto, inoltre, che spetta alle istituzioni statali la responsabilità dell’attuazione dei risultati ottenuti mediante il dialogo, e che “il movimento indigeno e le organizzazioni sociali seguiranno la loro attuazione”.
Da parte del governo, invece, c’è entusiasmo per gli accordi raggiunti: si sostiene che sia stata data risposta a tutte le questioni poste dai movimenti di protesta negli ultimi mesi. Jiménez ha plaudito al lavoro condotto nei tavoli di negoziazione, sostenendo che “la lotta sociale sa che c’è una porta aperta da parte del governo”: una frase che però non ha riscosso alcun successo tra le file dei movimenti sociali,che hanno invitato il ministro a rispettare la costruzione dal basso delle rivendicazioni presenti negli accordi portati a termine.
Nel momento in cui aveva indetto lo sciopero nazionale dello scorso giugno, la Conaie aveva denunciato l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e delle materie prime, e presentato un elenco di dieci richieste al governo. Queste includevano la riduzione e il congelamento dei prezzi del carburante; l’assegnazione di risorse maggiori ai settori dell’istruzione pubblica e della sanità; la creazione di opportunità di lavoro e garanzie del lavoro. Erano state poste, inoltre, la questione della regolamentazione dei prezzi dei prodotti essenziali, quella della fine della privatizzazione delle società pubbliche, del contrasto al traffico di droga, così come ai rapimenti e alla violenza in genere; ed era stata chiesta l’introduzione di limitazioni alle attività minerarie e allo sfruttamento del petrolio nei territori indigeni, e in prossimità delle risorse idriche del Paese.
Negli ultimi giorni, è stato compiuto un ulteriore passo avanti nella costruzione degli accordi: il 19 ottobre, infatti, si è riunita la mesa de seguimento, con il compito di monitorare l’applicazione degli accordi sia da parte del governo sia da parte delle organizzazioni indigene. La Commissione sarà convocata ogni due mesi: sarà composta da quattro delegati dell’esecutivo e due delegati di ciascuna delle organizzazioni sociali e indigene (Conaie, Feine e Fenocin). È stato stabilito che esistono più di cento accordi di responsabilità condivisa, su cui le organizzazioni devono stabilire scadenze di lavoro.
Per il prossimo novembre, la Conaie ha indetto un’assemblea nazionale a Conocoto (Quito) per valutare, insieme alla base, gli accordi raggiunti con il governo e decidere quale posizione assumere. I leader dei movimenti sociali, infatti, non escludono la possibilità di nuove mobilitazioni e scioperi in caso di disaccordo in sede di assemblea. Dai risultati delle consultazioni, si potranno aprire due scenari: o gli accordi verranno accolti, e le associazioni continueranno a lavorare con il governo per l’attuazione delle riforme previste, nonostante il rapporto incrinato con il presidente Lasso; oppure i risultati del dialogo tra le parti non verranno accettati dalla base indigena e popolare, con l’apertura così di una nuova stagione di mobilitazioni, che potrebbe provocare la caduta del governo, com’è successo già in precedenza (la Conaie è stata parte attiva nelle mobilitazioni che hanno portato alle dimissioni di tre presidenti).
La collaborazione tra la società civile, le organizzazioni indigene e il governo – sia pure non nella figura del presidente – hanno portato ad alcuni risultati, frutto di un dialogo costruttivo per il Paese. Rimane tuttavia da comprendere se è stato fatto abbastanza, e se eventualmente ci siano i termini per realizzare ciò che ancora manca.