L’interminabile vicenda del “cappello” al prezzo del gas la dice lunga sulla compattezza dell’Unione europea in questa fase storica. Dopo che se ne parla da marzo, il 20 ottobre a Bruxelles, è stata finalmente tracciata la road map che dovrebbe condurre a una bozza di programma comune; ma, nonostante l’ottimismo – che campeggia peraltro principalmente sui quotidiani italiani –, dovranno seguire ancora due incontri per avere, forse verso fine novembre, un piano chiaro di intervento condiviso sulla questione. Una questione che tra l’altro trascina inevitabilmente con sé anche la lungamente dibattuta problematica del debito comune europeo, di cui abbiamo recentemente parlato (vedi qui), dato che questo potrebbe essere una via per finanziare tutta l’operazione “cappello”. Se l’obiettivo da raggiungere – affrontare la speculazione e intervenire sui picchi dei prezzi – appare largamente condivisibile, sul metodo, invece, le opinioni continuano a divergere: i contrasti sono stati così forti da mettere in dubbio il vertice franco-tedesco dei ministri degli Esteri, che avrebbe dovuto proseguire la discussione avviatasi nei giorni scorsi, e che è stato confermato in extremis solo dopo molte tensioni.
Per ora, l’accordo raggiunto prevede, in linea di massima, di adottare “decisioni concrete” sul price cap, in grado di incidere sul mercato Ttf di Amsterdam, pur nel rispetto delle condizioni stabilite, ossia che l’intervento debba essere temporaneo, di ultima istanza, così da non mettere a rischio le forniture.
Tra le decisioni prese ieri, spiccano alcuni punti: acquisto congiunto volontario di gas, per un volume equivalente al 15% delle esigenze, in base alle necessità nazionali, e accelerazione dei negoziati con partner affidabili, sfruttando il peso collettivo dell’Unione sul mercato e facendo pieno ricorso alla piattaforma Ue per l’energia. Come dire che i Paesi europei devono smetterla di andare in giro per il mondo ognuno per conto suo a cercare chi dia loro il gas. C’è poi l’idea di introdurre uno strumento nuovo: un indicatore utilizzabile entro l’inizio del 2023, che rifletta in modo più accurato le condizioni del mercato, e soprattutto l’attivazione di un corridoio dinamico di prezzo di carattere temporaneo per le transazioni di gas naturale, per limitare subito episodi di prezzi eccessivi. Con “corridoio dinamico” si intende una sorta di banda di variazione del prezzo, legata agli altri combustibili tipo il greggio, che impedisca variazioni speculative al di fuori dei limiti superiori e inferiori della banda stessa.
Sono previste, inoltre, misure di solidarietà tra i vari Paesi in caso di interruzione delle forniture. Rimane invece per ora solo “allo studio” il cosiddetto “modello iberico”, cioè la distinzione tra prezzo del gas e prezzo dell’energia elettrica, e l’imposizione di un tetto al prezzo del gas utilizzato per produrre elettricità, tema su cui si discuterà nel prossimo incontro. Per aggirare la spinosa questione del debito comune, su cui la Germania continua a essere recisamente contraria, sono stati recuperati quaranta miliardi non spesi, già stanziati per il fondo della coesione sociale, da destinare agli acquisti congiunti.
Come si vede, un accordo quindi piuttosto smussato rispetto a quanto richiedevano una parte dei Paesi – in particolare Italia, Francia, Spagna, Portogallo, decisamente interventisti –, mentre la riluttanza a introdurre alcune misure era di Germania, Olanda, Austria e Ungheria. Orbán, con il consueto umorismo grossolano, ha liquidato tutta la discussione sul contenimento del prezzo del gas dichiarando che “è come se al bar, dopo avere ordinato una birra, uno dicesse al cameriere che la paga la metà. Non è il cliente a stabilire il prezzo di una merce”.
Nonostante i continui appelli di Ursula von der Leyen alla unità, le divergenze tra i Paesi sono nette, radicate in più livelli e ambiti, il che rende più difficile una loro conciliazione. Per l’Ungheria ci sono evidentemente implicazioni politiche, che si erano già manifestate nel momento di aderire alle sanzioni contro la Russia, mentre la cauta posizione tedesca dipende sia dal timore che Putin dia seguito alle sue minacce – ha dichiarato che in caso di introduzione di un tetto al prezzo del gas interromperà completamente le forniture –, sia dall’idea di avere risorse sufficienti a potercela fare da soli. E non si tratta solo dei duecento miliardi messi sul tavolo per aiutare famiglie e imprese nel prossimo triennio, ma anche di una fiducia nella capacità del Paese di dare una risposta positiva alle sollecitazioni al risparmio.
Sostenuta dal governo, sui quotidiani tedeschi è in atto da tempo una campagna capillare che incita a ridurre i consumi, e i risultati si vedono già: nel trimestre scorso c’è stata una riduzione di circa un 30% rispetto agli anni precedenti. Gli olandesi temono, invece, che un intervento dell’Unione alteri pesantemente il mercato del gas, con conseguenze difficili da calcolare, tra cui anche quella estrema di una riduzione o interruzione delle forniture.
Emmanuel Macron continua a premere alzando la voce, ma l’accordo finora raggiunto non va certo in direzione di quella urgenza dal presidente francese più volte richiamata. D’altra parte, Olaf Scholz, che continua a essere piuttosto scettico, gli ha fatto notare che non c’è nessuna certezza che se il tetto al prezzo entrasse in vigore il costo dell’energia si abbasserebbe automaticamente, e che il rischio è di far battere in ritirata anche le navi di gas liquefatto che stanno parzialmente rimpiazzando i sempre più ridotti flussi dalla Russia.
In conclusione, per ora un accordino, più che un insieme di misure forti, in cui, al di là dell’ottimismo di maniera, continuano a riflettersi le tensioni sempre più evidenti tra i Paesi dell’Unione, in una situazione che si sta facendo drammatica, e in cui il rischio della frammentazione del mercato e dell’insorgere di posizioni sovraniste, all’insegna di “ognuno per sé”, appare sempre meno remoto. Ancora una volta, l’Unione europea si mostra poco capace di ricoprire quel ruolo di grande attore politico ed economico internazionale che l’epoca richiederebbe.