Quindi, da destra, è partita la retorica sulla sinistra che passa di sconfitta in sconfitta, perché avrebbe perso il contatto con il popolo. La sinistra l’ha semplicemente riciclata senza accorgersene, pensando, anzi, che sia un’elaborazione propria e originale. E così, anche nella direzione del Pd, che si è tenuta ieri 6 ottobre a Roma, non abbiamo ascoltato niente di diverso.
La spiegazione è ovviamente un falso – che fa comodo alla destra, che può spacciarsi così per paladina del popolo e degli sfruttati dalle centrali del potere cosmopolita in combutta con i traditori di sinistra –, visto che da quarant’anni tutte le sinistre sono in crisi, sia che si presentino come radicali sia che si vogliano moderate o socialdemocratiche, come del resto i risultati di Cile, Svezia e Brasile (solo per citare le ultime settimane) stanno a confermare. Eppure, a ogni elezione persa, in Italia, il disco rotto continua imperterrito a girare: la sinistra perde perché ha tradito i vecchi ideali e il popolo.
Bene, vogliamo parlare dei vecchi ideali? Il vecchio ideale delle sinistre – in tutte le sue varianti – presupponeva un legame forte tra la filosofia e la politica. Detto in termini sintetici, il movimento operaio era un soggetto filosofico che conoscendo il mondo lo trasformava e trasformandolo lo conosceva, provando così a dare la propria interpretazione del rapporto tra soggetto e oggetto. Niente a che vedere con i piccoli borghesi risentiti ed egoisti che, dal divano di casa, si sentono popolo e chiedono più soldi e meno pensieri per fare la vita imposta dal capitalismo neoliberale, egemone nelle menti e nei cuori con il suo immaginario consumistico. Anche nella variante socialdemocratica – quella meno filosofica – dovevano esserci milioni di lavoratori e lavoratrici uniti nella lotta, con un’altissima intensità di partecipazione politica e sindacale per guadagnare diritti, Stato sociale e più alti salari (per poi difenderli). Non era previsto il risentimento “social”, ma l’attivismo giornaliero sui luoghi di lavoro, nelle sezioni dei partiti, nel sindacato e nel variegato mondo dell’associazionismo politico, poi ambientalista, pacifista, femminista ecc.
Si può allora concludere con una domanda. Esiste oggi una cultura autonoma di chi lavora? C’è un punto di vista sul mondo diverso da quello neoliberale, espresso dai lavoratori e dalle lavoratrici? Pongo questa domanda perché, per esempio, è inutile chiedere salari più alti per far studiare i figli nelle scuole e nelle università impregnate di cultura neoliberale. D’altronde, non potrebbe essere diversamente, visto che intellettuali e movimento operaio non dialogano più sull’idea di liberazione, su una cultura autonoma da opporre a quella borghese. Giusto per dire che – i vecchi ideali – questo erano; e richiedevano cose che oggi nessuno è più disposto a fare, dal momento che il senso della vita non passa più dalla ricerca del proprio posto nel mondo tramite la politica, bensì dai consumi e dai divertimenti proposti dal capitale e dal suo discorso.