Non ha funzionato l’assorbimento nell’Arma dei carabinieri del Corpo forestale dello Stato: l’integrazione non è avvenuta. Lo dice la Commissione parlamentare di inchiesta “sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati”, nella sua relazione conclusiva, presentata lo scorso 15 settembre, in chiusura di legislatura. Guidata dal grillino Stefano Vignaroli, poi transitato nel gruppo degli sconfitti seguaci di Di Maio, la Commissione si è concentrata sull’attuazione della legge in materia di delitti contro l’ambiente (n. 68/2015), svolgendo un’istruttoria in coordinamento con la rete delle procure generali nella materia ambientale (e con le audizioni dirette di Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino; Alessandra Dolci, procuratore aggiunto Dda Milano; Alberto Galanti, sostituto procuratore Dda Roma; Renato Nitti, procuratore della Repubblica di Trani; Eugenia Pontassuglia, procuratore della Repubblica di Taranto).
Segnalando alcune criticità molto tecniche della legge in questione, estremamente importante e complessa, e nel suo insieme efficace, la Commissione si sofferma, tra l’altro, sul ruolo della Forestale, segnalando apertamente i problemi legati alla famigerata (molto contestata dai forestali) riforma Renzi-Madia del 2016 che, cancellando con un tratto di penna l’antico Corpo preposto alla tutela del nostro sistema montano e forestale, ha trasformato gli agenti forestali in carabinieri, integrandoli nell’Arma, quasi un blitz che ha fatto risvegliare militari circa ottomila agenti civili, uomini e donne fino al giorno prima specializzati nella salvaguardia dei parchi e della loro biodiversità. Ecco le parole del procuratore della Repubblica di Trani, Renato Nitti, che è importante riportare per intero:
“L’accorpamento fatto con [il decreto legislativo n. 177 del 2016] del Corpo forestale dello Stato non ha ancora dato quel risultato di rafforzamento della strategia investigativa che qualcuno sperava che vi fosse, anzi se si vanno a censire, sarebbe utile chiedere quante sono le notizie di reato che spontaneamente le stazioni dei carabinieri forestali oggi mandano in qualsiasi tema del reato ambientale e del delitto penale dell’ambiente, ma temo che i numeri potrebbero provocare anche qualche imbarazzo, nella misura in cui quello che prima era un presidio, una sentinella costante quantomeno sui reati paesaggistici, oggi non svolge con la medesima costanza quel tipo di lavoro. I Nuclei investigativi di polizia ambientale e forestale, che sono i nuclei investigativi presso i carabinieri forestali provinciali, di fatto hanno un numero di risorse così basse che pensare di rifare oggi quelle indagini sui traffici di rifiuti che avevamo cominciato a fare prima dell’accorpamento è pressoché impensabile. Il Comando tutela ambiente deve necessariamente essere potenziato e a mio avviso siamo in una situazione di limbo, in cui non si è ancora valorizzato completamente questo accorpamento, quindi non si è ancora rilanciata la strategia di contrasto di questi reati. Lo dico con profondo dispiacere, nella misura in cui io per molteplici anni ho fatto indagini, come tutti i colleghi che vedo collegati, avvalendomi del Nucleo operativo ecologico e delle stazioni del comando del Corpo forestale dei carabinieri. Oggi questo non è più come una volta, non può avvenire più come una volta, e questo inevitabilmente va considerato”.
Nonostante sia stata presentata come una misura di razionalizzazione, l’accorpamento non ha garantito un’adeguata organizzazione delle polizie giudiziarie, dice la Commissione parlamentare. La questione è aperta. L’Arma dei carabinieri ha spiegato, nei suoi interventi presso la Commissione, che la propria azione a tutela del territorio e dell’ambiente “è sviluppata da una struttura organizzativa articolata su quattro comandi di corpo […]: la tutela forestale, la tutela biodiversità dei parchi, la tutela ambientale della transizione ecologica e la tutela agroalimentare”, avendo a disposizione tutte le strutture territoriali dei carabinieri, e quindi con un controllo a trecentosessanta gradi su tutto il territorio nazionale. Eppure, questo enorme apparato non ha consentito di tutelare adeguatamente il capitale naturale che gli è stato affidato, operando essenzialmente in chiave repressiva, tipica di una forza armata e di polizia a carattere generale. Prima della riforma, il Corpo forestale aveva una vocazione multisettoriale: dalla tutela contro gli incendi, alla ricerca scientifica e alla piena integrazione con la protezione civile, sia nel campo della biodiversità custodita nei parchi sia, soprattutto, nel restante 40% di territorio naturale oggi fortemente sguarnito della vigilanza tecnica e di polizia una volta, invece, assicurata dai vecchi forestali. Proprio ora che serve un’organizzazione articolata che sappia rispondere alle sfide climatiche.
Intanto, l’Arma è impegnata nella costruzione di un “monopolio” della tutela ambientale, in adeguamento al decretato passaggio di questa mega-struttura sotto la dipendenza funzionale (resterebbe di “proprietà” dell’Arma) del ministero della Transizione ecologica, da quella storica del ministero delle Politiche agricole, sede delle politiche attive e di coordinamento nel vasto mondo forestale e delle aree interne. Una svolta definitiva – da braccio tecnico e di supporto gestionale a braccio repressivo – ma senza le competenze a trecentosessanta gradi di un tempo. Ecco perché, dopo la riforma, ci si ritrova con un depotenziamento (lamentato dalla Commissione) sia dell’azione di iniziativa giudiziaria dell’attuale assetto dei carabinieri forestali, non più presenti come prima sul campo, sia con la scomparsa della capacità di risposta multipla assicurata dalla Forestale, in ogni settore emergenziale o tecnico del territorio. Un vero disastro, non sanabile con interventi finanziari, ma solo con una rivoluzione ordinamentale e organizzativa: una controriforma. Nello scorso parlamento, diversi settori hanno chiesto una marcia indietro e l’istituzione della Polizia forestale, ambientale e agroalimentare, nell’ambito della Polizia di Stato. Si è anche avviato l’esame di tre proposte di legge, presentate alla Camera dal deputato del Movimento 5 Stelle, Maurizio Cattoi, da Silvia Benedetti del gruppo misto e da Luca De Carlo di Fratelli d’Italia. Quest’ultimo, stretto collaboratore di Giorgia Meloni, proseguirà su questa strada? Se lo chiedono in molti.