Liz Truss pare non amare le mezze misure. Già qualche mese fa, prima della sua contrastata elezione a primo ministro, avevano destato scalpore e perplessità le foto in cui si era fatta ritrarre, in tenuta mimetica, mentre si sbracciava da un tank in Ucraina. Così non devono sorprendere le sue recenti, roboanti dichiarazioni sulla disponibilità a scatenare una guerra nucleare, “premendo il bottone, se necessario”. Se le sue posizioni sul conflitto russo-ucraino erano da tempo note, viene certo da chiedersi il perché questa ambiziosa ex dirigente aziendale, laureata in filosofia e scienze politiche a Oxford, mostri un volto così arcigno e abbia pensato di inaugurare il suo mandato con minacce urbi et orbi.
Al di là dei limiti caratteriali del personaggio, sulla cui vita privata si sono sbizzarriti i tabloid inglesi (e la cui ascesa ha suscitato non poche preoccupazioni nei tory, che tutto sommato continuavano a pensare che fosse meglio Johnson), l’impressione è che Truss voglia trasmettere una immagine di forza e di determinazione. Immagine importante nel momento in cui gli inglesi si trovano a fare i conti con una crisi sociale senza precedenti, e per molte famiglie si prospetta un autunno in cui dovranno scegliere tra fare la spesa o scaldarsi. In fondo, anche dallo scontro con l’altro competitor alla massima carica dello Stato, Rishi Sunak, Liz Truss è uscita vittoriosa perché è riuscita a conquistare i membri del Partito conservatore in virtù di un messaggio semplice e diretto: ha promesso di ridurre le tasse, di liberarsi dalle leggi e dai vincoli della Unione europea, di cancellare la quota, presente nelle bollette, destinata all’energia verde e a finanziare progetti di tipo ambientale.
Ma i problemi rimangono, al di là delle semplificazioni, delle dichiarazioni a effetto e del tentativo di autoaccreditarsi come “nuova Thatcher”, e certo il suo compito sarà tutt’altro che facile nei prossimi mesi, dato che il Paese deve fronteggiare non solo l’inflazione sempre più alta e la crisi energetica, ma comincia anche a scontare un insieme di conseguenze economiche e sociali della Brexit – cui, tra l’altro, Truss fu inizialmente contraria, per poi salire armi e bagagli sul treno dei brexiters, quando si profilò la loro possibile vittoria nel referendum.
Si sono andati accentuando, infatti, squilibri territoriali e disuguaglianze già presenti, e la Banca d’Inghilterra, dopo avere preso atto di due trimestri consecutivi completamente negativi, sostiene che “il peggio deve ancora venire”, e prevede recessione fino alla fine del 2023, con una crescita della inflazione fino al 13% nel giro di pochi mesi, vale a dire il tasso più elevato del G7. I quotidiani inglesi, nel frattempo, denunciano l’aumento della povertà e della homelessness, anche come conseguenza dell’impennata del costo degli affitti e dei generi alimentari, ed è stata segnalata una crescita dei taccheggi nei supermercati, che ha obbligato molte catene a introdurre sistemi di sicurezza su ogni singolo prodotto.
Qualche commentatore, spaventato, ha evocato lo spettro dei riots e dei saccheggi del 2011 a Londra. Certo, l’inquietudine cresce – e con essa si moltiplicano le rivendicazioni salariali. Già a fine agosto, un’ondata di scioperi ha scosso il Paese: si sono fermati trasporti, poste e servizi portuali, con la richiesta di un adeguamento delle retribuzioni all’inflazione. È la più massiccia ondata di scioperi da decenni, e ha ricevuto ampio sostegno nell’opinione pubblica (vedi qui). Sharon Graham, segretaria di Unite, uno dei principali sindacati, ha dichiarato che la mobilitazione risponde a un “bisogno vitale” dei lavoratori. È stata rifiutata un’offerta, da parte del governo, del 4% di aumenti, ritenuta “miserabile”, e si prevedono nuove agitazioni.
Il richiamo alle politiche “thatcheriane”, genericamente vagheggiato dalla nuova premier, che riprende un format noto di tagli alla spesa e di ristrutturazione dei servizi pubblici, rischia quindi di cozzare contro un Paese esacerbato dalle difficoltà che sta attraversando, e di attentare alla legittimità politica e alla stabilità sociale, gravando in modo sproporzionato sui gruppi a basso reddito. Le ricette economiche, per ora piuttosto vaghe e confuse, accennate durante la campagna per ottenere il premierato, e nel discorso ufficiale della settimana scorsa, non sembrano certo all’altezza della situazione. Il “Guardian” taccia di “assurdità rovinosa” il piano per la crescita in sei punti finora presentato, in cui la premier afferma che “svincolerà le imprese da una regolamentazione onerosa”, e si impegnerà a “eliminare tutte le leggi derivate dall’Unione europea entro il 2023”, e creerà “zone di investimento a bassa tassazione e bassa regolamentazione”.
Non solo, Truss intende anche “rivedere” il mandato che la Banca d’Inghilterra ha riguardo ai tassi, in modo da “gestire meglio l’inflazione”. Nel piano, tutti i meccanismi per rilanciare la crescita sembrano tratti dall’ormai logoro ricettario economico della destra neoliberale, sempre meno suffragato da prove che ne attestino la validità, e infarcito di luoghi comuni e pregiudizi. Non può non colpire – chi si occupa di questioni urbane – il fatto che nel pot pourri di provvedimenti proposto non venga minimamente preso in considerazione il ruolo delle regioni come motori di sviluppo, non si menzioni la proiezione internazionale di una città globale come Londra, e scarsa attenzione sia riservata alle istituzioni e ai processi vitali che sostengono le grandi città, che dovrebbero essere sempre e necessariamente indirizzate e guidate dallo Stato. Inoltre, proprio nel momento in cui le esportazioni britanniche ristagnano, non c’è un solo accenno al ruolo del commercio come elemento propulsivo della crescita.
Pare che sfugga, a chi ha redatto il piano, che l’economia odierna è costruita sulla conoscenza, la proprietà intellettuale e la digitalizzazione: tutti ambiti per i quali è fondamentale la regolamentazione intelligente – non la ossessivamente sbandierata assenza di regolamentazione. A fronte alle gigantesche sfide che l’attendono, se saranno affrontate con strumenti così modesti, la felicità di Liz Truss per la importante posizione politica conquistata, e le sue strombazzate dichiarazioni d’intenti, potrebbero presto scontrarsi duramente con la realtà, facendole forse rimpiangere di avere lottato così energicamente per ottenere l’agognato incarico.