Un carabiniere forestale si è suicidato nella sua caserma di Rimini, il 7 settembre. Si chiamava Francesco Gnosis e aveva 39 anni. Si è tolto la vita utilizzando la pistola d’ordinanza. La notizia è rimasta confinata nelle cronache locali, ma vale una riflessione generale, sebbene il suicidio sia sempre un gesto che matura nella più profonda e intima individualità di chi, tragicamente, lo sceglie.
Dobbiamo segnalare, innanzitutto, che c’è un problema che riguarda il mondo della sicurezza in genere, se i dati dello scrupoloso “Osservatorio suicidi in divisa” segnalano, nel 2022, quarantotto suicidi tra i membri delle forze dell’ordine: dieci carabinieri, di cui quattro forestali, sei uomini della Guardia di finanza, tre dell’Esercito, tre agenti della Penitenziaria, sedici poliziotti, cinque agenti della Polizia locale. Nella triste contabilità, vanno aggiunti due vigili del fuoco, un membro dell’aeronautica militare e due guardie giurate. Il numero dei suicidi di chi si occupa della sicurezza, nell’anno in corso, è allarmante, visto che è già molto alto rispetto ai dati complessivi degli anni precedenti: 57 nel 2021, 51 nel 2020, 69 nel 2019. “In media – afferma l’Osservatorio – ogni cinque giorni un cittadino in uniforme si toglie la vita, ma il numero effettivo potrebbe essere addirittura superiore perché non tutti gli eventi vengono resi noti, il più delle volte per volontà dei familiari”.
Abbiamo quindi un problema grave, e non da ora, ma che solo oggi si presenta in tutta la sua brutalità all’interno degli agenti forestali. Nel vecchio Corpo forestale non c’erano particolari segnali di disagio: si registrava una media di meno di un caso all’anno di agenti che si toglievano la vita. E comunque, poco prima del suo scioglimento, si tentò un esperimento per “captare”, dall’interno, segnali di difficoltà psicologica con l’istituzione della figura del “pari”: un forestale veniva addestrato per recepire e accompagnare il disagio dei colleghi. Ma non funzionò, era un metodo troppo approssimativo, e non piacque alla gran parte del personale.
Oggi si accendono i riflettori su quanto sta accadendo a causa della forzata militarizzazione (vedi i nostri precedenti articoli del 17 marzo e 12 aprile 2021). La Federazione per la rinascita della Forestale, nella sua pagina Facebook, dopo l’ultimo caso di un collega suicida, con discrezione e rispetto, ha ricordato che “la piaga dei suicidi nelle forze di polizia, soprattutto in quelle a ordinamento militare, sta assumendo in termini numerici proporzioni gigantesche, da sembrare addirittura fuori controllo (…). I forestali, a causa della riforma Madia che ha di fatto soppresso il Corpo forestale dello Stato, hanno subito una delle più grandi umiliazioni professionali che potessero ricevere nell’arco della loro vita lavorativa; si sono dovuti reinventare a causa della militarizzazione, da una parte, e del demansionamento dall’altra, sono rinchiusi dentro un recinto che li ingabbia e vengono trattati in modo diverso rispetto ai propri pari nelle amministrazioni accorpanti. Questi sono tutti elementi che contribuiscono all’annientamento dell’amor proprio e della professionalità che ciascun uomo dovrebbe costruire nella propria vita lavorativa per sentirsi realizzato nel proprio ambito personale”.
Legare una morte a una riforma non va bene, ovviamente. Ma un trend in salita è già più preoccupante. Immaginatevi che vi dicano da un giorno all’altro che siete “militari”, cioè che dovete rispondere a un sistema rigido di regole, spesso difficili da comprendere sul piano funzionale, e che tutta la vostra vita precedente dovete dimenticarla: vi sentirete come molti agenti forestali oggi, senza un orizzonte, persi e lontano dai boschi, un tempo il loro luogo di riferimento esclusivo, educati e formati (non addestrati, termine, appunto, militaresco) solo per salvaguardarli.