Sono ormai trent’anni che le forze politiche minori, collocate a sinistra prima dei Democratici di sinistra (Ds) e poi del Partito democratico, si dividono sull’allearsi o meno con gli eredi del vecchio Pci e dei settori più avanzati del mondo cattolico. Un tormento che ha conosciuto i suoi momenti più drammatici con il ritiro, nel 1998, della fiducia al governo Prodi da parte dell’allora segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, con tanto di scissione dei seguaci di Armando Cossutta, e poi nel 2009 con l’uscita di Nichi Vendola da Rifondazione per fondare Sinistra ecologia e libertà (Sel) che costruì un’alleanza con Pierluigi Bersani in occasione delle elezioni del 2013.
Ora, alla vigilia del voto del 25 settembre, annunciato in tutta fretta dopo la caduta del governo Draghi, il dibattito si è riaperto, e riguarda in particolare Sinistra italiana di Nicola Fratoianni. Com’è noto, questa formazione politica, erede di Sel, aveva sostenuto il secondo governo presieduto da Giuseppe Conte per poi votare “no” all’esecutivo di Mario Draghi. Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, Sinistra italiana aveva annunciato la realizzazione di un’alleanza elettorale e politica con Europa verde di Angelo Bonelli, la quale – insieme al Pd, ai 5 Stelle e ad Articolo uno – che ora darà vita con il Pd, Demos e il Psi a una lista che si chiamerà “Democratici e progressisti” – avrebbe dovuto formare una coalizione come quella che sostenne l’esecutivo dell’“avvocato del popolo”. Suscitando già però più di un malumore: per la semplice ragione che il Pd di Enrico Letta, più atlantista di Biden e più draghiano di Draghi, non era più quello di Nicola Zingaretti, che già non brillava per le sue posizioni coraggiose.
Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, la proposta – ovvero quella di costruire un’unità con il Pd e con Azione di Carlo Calenda, ma senza escludere i 5 Stelle – è stata ribadita, con la finalità prioritaria di cercare di battere le destre nei collegi uninominali, nei quali è indispensabile la concentrazione dei voti. Le ragioni che hanno spinto il segretario di Sinistra italiana a prendere questa iniziativa (considerata peraltro poco attrattiva dal leader di Azione) è la necessità di “sconfiggere queste destre mettendo in campo una proposta che metta al centro i diritti sociali, la lotta contro le disuguaglianze, l’aumento dei diritti dei lavoratori, la transizione ecologica. Tutti si devono sentire responsabili”.
Fratoianni ha fatto anche un appello a Letta perché scongeli il rapporto con il partito presieduto da Conte, rotto però a quanto pare definitivamente. Ma se la posizione dell’ex braccio destro di Nichi Vendola è caratterizzata da un ammirevole senso di responsabilità – e però anche dalla necessità di avere, insieme ai verdi, una rappresentanza istituzionale – per più di un dirigente e militante di Sinistra italiana digerire un’intesa addirittura con gli ex forzitalioti (anche Mara Carfagna è diventata “azionista”), e forse con Matteo Renzi se riuscirà a entrare nell’alleanza, è troppo.
Claudio Grassi, membro della direzione nazionale del partito e già senatore di Rifondazione comunista, prende atto che non possa esserci un ripensamento da parte di Letta nei confronti di Conte. Segno evidente “che il primo partito che non vuole battere le destre è il Pd”. Dunque, secondo Grassi, stare insieme con forze lontanissime dalla cultura politica di Sinistra italiana sarebbe un non senso, e “meglio sarebbe realizzare un polo della sinistra con il Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana-Europa verde e Unione popolare”.
Proprio quest’ultima formazione – il cui nome richiama quello della coalizione di Mélenchon, che in Francia ha ottenuto oltre il 21% dei consensi nelle ultime presidenziali – nasce dall’iniziativa di ManifestA, costituitasi in parlamento grazie a quattro ex grilline (Doriana Sarli, Yana Ehm, Silvia Benedetti e Simona Suriano), la cui scelta ha permesso ad alcune piccole forze – Rifondazione comunista, Potere al Popolo e Sinistra europea – di avere una rappresentanza parlamentare. Una realtà che ha designato come proprio leader l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Non esattamente qualcuno di primo pelo, il quale però mantiene un suo appeal che, insieme con una forte ed evidente presenza femminile, potrebbe permettere a Unione popolare di giocare le sue carte.
Diversi esponenti di questa realtà, nuova e vecchia al tempo stesso, hanno lanciato un appello a Sinistra italiana perché si unisca a loro in questa sfida (si ricordi che c’è uno sbarramento al 3% da superare), considerando che difficilmente le proposte di Fratoianni e Bonelli potranno mai essere prese in considerazione dal resto dell’alleanza costruita intorno al Pd. Dunque, per l’organizzazione che vede come esponenti di spicco ancora Nichi Vendola e Luciana Castellina, il rischio è adesso di non ritrovarsi né da una parte né dall’altra.