La logistica è divenuta da tempo uno degli snodi essenziali del capitalismo contemporaneo. Se n’è spesso parlato come del settore “unificante”, come della “intelligenza strategica” che tiene insieme produzione e spostamento delle merci, armonizzandone la circolazione e, in ultima analisi, permettendo la riproduzione della multiforme economia capitalistica odierna. La posta in gioco che riguarda i lavoratori impiegati in questo settore è quindi altissima, e per molti versi centrale per l’organizzazione e il funzionamento dell’intero sistema. A giudicare da quanto accaduto negli scorsi giorni, se ne sono accorti in parecchi, non solo i raffinati teorici post-operaisti.
Un’operazione di polizia, su mandato della procura di Piacenza, ha posto infatti sotto arresto diversi dirigenti sindacali dell’Unione sindacale di base (Usb) e del Si Cobas della logistica, perquisendo le case di altri. Un’ordinanza di trecentocinquanta pagine ricostruisce un succedersi di “fatti criminosi”: picchetti, scioperi, assemblee, occupazioni dei magazzini. Le organizzazioni sindacali Si Cobas e Usb non sarebbero altro che “associazioni a delinquere”, che fomentano “artificiosamente conflitti sindacali”, e questo non per finalità di miglioramento delle condizioni di lavoro e dei lavoratori, quanto per “un diretto guadagno personale”. Si ipotizza che i sindacalisti abbiano agito al fine di ottenere denaro per sé dalle conciliazioni, praticando una sorta di “ricatto” nei confronti dei datori di lavoro.
Le accuse sono numerose e gravi: associazione a delinquere, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. Nell’ambito dell’inchiesta della procura di Piacenza agli arresti domiciliari sono finiti Aldo Milani, coordinatore nazionale del sindacato autonomo Si Cobas, insieme con altri tre dirigenti della sigla piacentina: Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli. Inoltre, sono stati arrestati due sindacalisti della Usb e altri due sono stati sottoposti a diverse misure cautelari (obbligo di firma e divieto di dimora).
Le accuse sono tutte legate agli scioperi della logistica tra il 2014 e il 2021, con l’ultimo episodio contestato avvenuto nell’autunno dell’anno scorso. Digos e Squadra mobile ritengono di avere accertato che, approfittando dello “schermo” delle sigle sindacali, gli indagati “avessero dato vita a due distinte associazioni per delinquere finalizzate a introitare i proventi derivanti dalle sostanziose conciliazioni lavorative e dal tesseramento dei lavoratori” – e questo come risultato di “conflitti che venivano artificiosamente creati”. Dietro i “numerosissimi picchettaggi” e “azioni di protesta apparentemente rivolte alla tutela dei diritti dei lavoratori” – sostiene la questura – “si celavano azioni delittuose”, che avrebbero avuto l’obiettivo di alimentare la conflittualità “con la parte datoriale sia tra le opposte sigle sindacali, al fine di aumentare il peso specifico dei rappresentantisindacali all’interno del settore della logistica”. Lo scopo di tutto questo scomposto agitarsi? “Ottenere vantaggi che esulavano dai diritti sindacali apparentemente tutelati”. Insomma, si tratterebbe di una sorta di criminalità comune che veste i panni del sindacalismo radicale per finalità di tutt’altro genere.
L’accusa è in apparenza abilmente costruita; ma va ricordato che il settore della logistica, proprio per quanto già si accennava, è caratterizzato da un alto sfruttamento della manodopera, in gran parte straniera e ricattabile, e che è frequente, in questo settore, il ricorso a subappalti e cooperative, cosicché i diritti sindacali vengono ignorati e violati. La filiera della logistica è caratterizzata da bassi salari e da illegalità diffusa nell’applicazione dei contratti. Il ricorso illecito al subappalto di manodopera, secondo quanto ha recentemente riconosciuto il comando provinciale della Guardia di finanza di Modena, è frequente: consente alle aziende di mantenere i propri dipendenti nella precarietà e di evadere il fisco.
Proprio ignorando il contesto in cui le lotte si sono sviluppate, le accuse insistono perciò sul fatto che le singole multinazionali e i datori di lavoro sarebbero stati “sottoposti a una condizione di esasperazione” che “li costringeva ad accettare le richieste economiche che venivano fatte”. Anche se i magistrati hanno tenuto a sottolineare “la non sovrapponibilità tra le associazioni per delinquere formate dagli indagati e le sigle sindacali”, evidenziando “la liceità di queste ultime organizzazioni votate alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori”, diversamente dalle posizioni degli indagati, che si sarebbero avvalsi delle loro posizioni all’interno dei sindacati per “perseguire finalità di carattere strettamente personale, non esitando a mettere in pericolo l’incolumità degli iscritti”, coinvolgendoli in proteste sempre più estreme, “sfruttando anche mediaticamente le loro vicende giudiziarie, per perseguire obiettivi di potere ed arricchimento”. Con questo escamotage, si evita una sovrapposizione tra la posizione degli indagati e quella svolta nell’ambito di una “normale” attività sindacale, creando al contempo una insidiosa divisione tra rivendicazioni “lecite” e rivendicazioni “illecite”, tra strutture sindacali “ortodosse” e altre “non ortodosse”.
In realtà, per smontare l’idea che i conflitti lavorativi siano “artificiosamente creati”, basta parlare con chi lavora nel settore: nella filiera della logistica e alimentare – tra Bologna, Modena e Piacenza – le condizioni sono state a lungo al limite della schiavitù. I lavoratori erano in balia delle imprese di appalto di manodopera, spesso cooperative evanescenti, destinate a sparire lasciando dietro di sé enormi debiti in salari non corrisposti. Lavorare in subappalto può comportare anche il mancato accumulo di scatti di anzianità e inquadramenti contrattuali, che non corrispondono alle mansioni svolte. La storia dei guadagni privati dei sindacalisti – su cui era già stata costruita una vicenda, quella del caso Levoni, relativa a supposte mazzette ricevute, finita poi nel nulla – pare dunque un castello di carte.
I due sindacati appaiono oggi nel mirino perché hanno recuperato dalla storia del movimento operaio uno strumento di lotta radicale, cui oggi si fa ormai raramente ricorso: il blocco delle merci. i lavoratori organizzano picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche per bloccare o rallentare la circolazione dei camion. Una strategia che si è rivelata non priva di pericoli per chi la pratica: in alcuni casi vere e proprie squadre di picchiatori sono intervenute a sciogliere i picchetti del Si Cobas, e a giugno dello scorso anno il sindacalista Adil Belakhdim è stato travolto e ucciso da un camionista che tentava di forzare un picchetto ai magazzini Lidl di Novara.
Ma il blocco delle merci, per gli ingenti danni economici che provoca, è straordinariamente efficace nel costringere le imprese a negoziare. In questo modo, negli anni, è cresciuto un insieme di mobilitazioni, che naturalmente ha suscitato immediate reazioni: tra il 2018 e il 2020, nella sola provincia di Modena, sono stati aperti 481 procedimenti penali nei confronti di lavoratrici e lavoratori per fatti connessi all’attività sindacale, procedimenti che hanno colpito soprattutto le lotte del Si Cobas che, negli ultimi anni, con oltre un migliaio di iscritti nel modenese, si è reso protagonista di duri conflitti in settori chiave per l’economia locale, come la filiera alimentare.
Il sindacato di base, che nel piacentino conta oltre quattromila tessere, dopo gli arresti, parla di “attacco politico su larga scala contro il diritto di sciopero e soprattutto teso a mettere nei fatti fuori legge la contrattazione di secondo livello, quindi a eliminare definitivamente il sindacato di classe e conflittuale dai luoghi di lavoro”. Ci sono state immediatamente reazioni, scioperi spontanei e manifestazioni di solidarietà agli arrestati, e sabato ci sarà una manifestazione nazionale a Piacenza, mentre si attendono gli ulteriori sviluppi dell’indagine.
Al di là della vicenda specifica, che speriamo veda presto i sindacalisti completamente scagionati e liberi, si possono cogliere, in quanto avvenuto, alcuni segni di quel che potrebbe attendersi, nel prossimo autunno, chi volesse dare vita a movimenti di rivendicazione. Tra le varie accuse mosse agli arrestati, infatti, ce n’è una estremamente significativa: “Estorsori di condizioni di miglior favore per i lavoratori rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale”.