Il nuovo sciopero dei taxi del 20 e 21 luglio è stato revocato. La protesta è sospesa, ma non archiviata in una situazione di caos e di tensione politica crescente. “In considerazione della conclamata crisi di governo in atto con la quale risultano interrotti i lavori del parlamento e in particolare della Commissione industria della camera dei deputati, dove dovrebbe essere affrontata la questione della riforma del comparto taxi, si è ritenuto opportuno revocare il fermo nazionale del servizio previsto per le giornate del 20 e 21 luglio”. Lo scrivono i sindacati del settore. Che però ribadiscono: “Non siamo infatti intenzionati a concedere alcuna delega in bianco a nessun governo, per intervenire sul comparto e per noi l’unica strada percorribile è quella dello stralcio dell’articolo 10”.
In piena crisi di governo, anche la miccia tassisti rimane dunque accesa. Dopo le manifestazioni di piazza che hanno fatto gridare allo scandalo, e dopo le tensioni sociali che hanno provocato, i tassisti sono sotto accusa: le loro associazioni sono considerate (sbagliando) un tutto unico. Ma in realtà, oltre alle contraddizioni inevitabili di un conflitto sociale di questa natura (ci sono centinaia di famiglie che hanno investito tutte le loro risorse nelle licenze), sono in corso altri conflitti, ad altri livelli. Sono in molti, infatti, a desiderare il blitz salvifico e a spingere per la liberalizzazione totale del settore della mobilità urbana; sono soprattutto le multinazionali delle piattaforme web, che lavorano sulla base degli algoritmi e sanno mettere in atto potenti azioni di lobbying (come ha spiegato bene su “terzogiornale” Michele Mezza a proposito di Uber). Però Uber, tra le piattaforme free, non è sola. Ci sono anche altri nomi meno noti, ma ugualmente molto insidiosi per gli equilibri generali: Bolt e Freenow, per esempio.
All’interno del Consiglio dei ministri (prima che Draghi dichiarasse la crisi), ci sono stati esponenti della maggioranza che si sono mostrati sensibili alle pressioni delle lobby, e c’è stato anche qualcuno che ha provato a dare la spallata definitiva al sistema di regole del servizio pubblico per introdurre una totale liberalizzazione. Una scelta che inevitabilmente favorirebbe le grandi multinazionali del settore, sul modello Uber, Bolt, Freenow e altre piattaforme.
L’articolo 10 del disegno di legge sulla concorrenza, che delega il governo all’adozione di un decreto per riformare il settore del trasporto pubblico non di linea – taxi e servizi di noleggio con conducente – e a provvedere rapidamente all’emanazione dei decreti attuativi relativi all’istituzione del foglio di servizio elettronico per le vetture di noleggio da rimessa, e del registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza (per il servizio taxi, e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente e dello specifico decreto del presidente del Consiglio circa la disciplina delle piattaforme di intermediazione tecnologica), non è però passato al vaglio della X Commissione parlamentare; dovrà ora essere riscritto ed emendato. Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, ha preso atto della situazione, e aveva programmato (prima della crisi) altri appuntamenti con i sindacati.
Che succederà ora? Ne abbiamo parlato con , il coordinatore nazionale di Unica Taxi, il sindacato dei tassisti che fa riferimento alla Filt Cgil.
“Il ripensamento del governo – ci spiega Di Giacobbe – è stato sicuramente il frutto delle nostre mobilitazioni di questi giorni che hanno avuto l’appoggio anche della Cgil. Noi respingiamo le accuse di corporativismo che ci vengono rivolte, e poniamo invece un problema sull’uso delle tecnologie. Ci sono infatti grossi gruppi che vorrebbero instaurare un regime di caporalato tecnologico e una completa liberalizzazione del mercato. Ma per noi sarebbe molto pericoloso affidare un servizio così importante, come la mobilità urbana, a degli algoritmi che dettano i tempi”. Secondo Di Giacobbe, ma anche secondo molti sindacalisti ed esperti del settore della mobilità urbana, con l’uso delle app che viene fatto e con la liberalizzazione totale che viene proposta, verrebbe cancellato il modello che si basa sulle tariffe amministrate frutto degli accordi locali con i vari Comuni. Nei cassetti della Commissione trasporti del parlamento sono depositate le proposte delle piattaforme Bolt e Freenow, che vorrebbero applicare una liberalizzazione selvaggia di tutto il settore.
“Applicando i metodi e i modelli praticati dalle multinazionali come Uber, Bolt, Freenow e le altre – continua ancora Di Giacobbe – non vengono messi in discussione solo gli interessi di persone che hanno faticato una vita per potersi permettere una licenza di taxi, ma si minerebbe la base stessa del servizio pubblico che per definizione è rivolto a tutte le fasce sociali. I più penalizzati sarebbero, infatti, i soggetti più deboli e tutte le periferie delle grandi città, visto che i modelli delle app funzionano quasi sempre solo per il centro delle città”. In altre parole, se passasse il modello Uber intere fasce sociali e interi pezzi di territorio sarebbero tagliati fuori dal servizio. La corsa in taxi vista solo come una merce come un’altra, da vendere sul mercato libero.
Le associazioni dei tassisti, e in particolare Unica, sono pronte a ridiscutere i modelli attuali e a ripensare i confini tra il servizio dei taxi tradizionale, quello del noleggio con conducente e quello delle app. Si deve però ripartire da nuovi presupposti, superando l’idea che “nuovo” è per forza di cose meglio del servizio tradizionale. Al centro del discorso, dovranno esserci i diritti di chi lavora e dei cittadini che usano il servizio, che per definizione dovrà continuare a ispirarsi all’interesse generale della collettività e non essere ridotto a una succursale delle grandi multinazionali che puntano solo agli affari. Se non si troveranno soluzioni adeguate, il vero rischio è quello di ridurre sempre di più la mobilità basata sul servizio pubblico (treni, autobus, taxi) per lasciare spazio al trasporto privato individuale. Un dato che le associazioni dei tassisti considerano come una spia del peggioramento della mobilità riguarda le tipologie di spostamento tra Roma e l’aeroporto di Fiumicino. Attualmente, su cento viaggi dalla città all’aeroporto, settantacinque sono su automobili private. E questo naturalmente a scapito dell’ambiente e dei risparmi energetici.
Sono ragionamenti che vengono condivisi nell’area delle associazioni dei tassisti che fanno riferimento alle tre confederazioni, Cgil, Cisl, Uil. Ieri (18 luglio) sulle pagine romane del “Corriere della sera”, è stato per esempio pubblicato un intervento del segretario della Federazione dei trasporti della Cisl di Roma e Lazio, Marino Masucci. Ma Uber, è concorrenza? Si chiede il sindacalista. Solo a Roma sono quasi ottomila lavoratori e famiglie che hanno basato la loro sussistenza sull’acquisto di una licenza per guidare taxi. “Sono persone – ricorda Masucci – che vengono da anni di pandemia e scarsissima domanda. Che hanno offerto il loro servizio anche per il trasporto di medici e infermieri. Che hanno prestato la loro attività anche in momenti in cui era difficile trovare un luogo aperto per le emergenze fisiologiche. Lavoratori che stanno duramente facendo fronte al caro benzina. Adesso si para loro di fronte la concorrenza delle piattaforme digitali, che a nostro parere è in realtà una forma di dumping. Le grandi piattaforme sono, in qualche modo, libere volpi in liberi pollai: in quanto multinazionali hanno vantaggi sic et simpliciter per le loro dimensioni, improntate all’oligopolio, se non a un vero e proprio monopolio, nonché sotto il profilo fiscale e anche sul piano del costo del lavoro. “Ci chiediamo – si interroga il sindacalista – se, quando parliamo di lobby, dovremmo riferirci a lavoratori che hanno pagato il regolare e costoso prezzo di una licenza per mandare avanti la loro famiglia, o a giganti digitali, ramificati ovunque, che spesso per la loro presenza sul web beneficiano di norme diverse rispetto a quelle vigenti nel mondo reale”.