Il voto sulle regole di classificazione (la cosiddetta Tassonomia) degli investimenti verdi, nella plenaria del parlamento europeo, il 6 luglio scorso a Strasburgo, è stato sicuramente una grande sconfitta per gli ambientalisti, e per l’alleanza tra sinistra, socialisti e verdi, con una pattuglia di liberali del gruppo Renew (soprattutto nordici) e una di popolari (soprattutto tedeschi), che voleva bocciare la proposta della Commissione europea. La proposta – un “atto delegato” che classifica il gas e il nucleare tra le attività economiche “sostenibili”, dal punto di vista ambientale e climatico, anche se solo durante la transizione energetica e a certe precise condizioni – non solo non è stata respinta dalla maggioranza assoluta dell’aula (353 voti), come sarebbe stato necessario per bloccarla, ma non ha neanche raggiunto, simbolicamente, la maggioranza relativa, avendo raccolto solo 278 voti contro 328 e 33 astensioni. Questa patente di sostenibilità, che il voto di Strasburgo ha confermato, consentirà ora una serie di attività economiche legate al gas e al nucleare, ammesso che rispettino determinate condizioni, e di ricevere gli investimenti del settore privato promossi nel quadro della Tassonomia verde dell’Unione.
Sulla disfatta ambientalista, potrebbe aver pesato in particolare la lettera inviata alle commissioni competenti del parlamento europeo, alla vigilia del dibattito in aula, dal ministro dell’Energia ucraino, German Galushenko, in cui si sollecitava l’inclusione del gas e del nucleare nella Tassonomia per favorire la ricostruzione del Paese ancora sotto il tallone dell’invasione russa. Una posizione diametralmente opposta a quella presa, nei giorni precedenti, da diverse altre personalità ucraine (tra cui l’ambasciatore a Berlino Andrij Melnyk e la parlamentare del Ppe ed ex viceministra Inna Sovsun), secondo cui l’atto delegato sulla Tassonomia, concepito prima della guerra, era basato sul presupposto, ormai obsoleto, secondo cui sarebbe stato sempre disponibile e affidabile il gas a buon mercato dalla Russia, ed era vantaggioso per l’industria russa. Oggi che questo gas finanzia la guerra di Putin, è chiaro che non può più far parte della soluzione che l’Unione sta cercando per emanciparsi dalla dipendenza dalla Russia e dalle fonti fossili. La lettera di Galushenko (che, secondo diversi eurodeputati, potrebbe essere stata ispirata, o addirittura sollecitata, dalla Commissione europea o dal presidente francese Macron) capovolgeva questa prospettiva, affermando che “la ricostruzione postbellica dell’Ucraina richiederà un piano prevedibile e un clima favorevole agli investimenti per tutte le tecnologie che rafforzerebbero la resilienza dell’energia ucraina”, e anche “il suo contributo alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione europea”.
“Stimiamo – aggiungeva il ministro ucraino – che la produzione di energia nucleare e la produzione locale di gas rimarranno una forte spina dorsale per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e la sovranità dell’Ucraina nel prossimo decennio (fino al 2030)”. Inoltre, la lettera ricordava quanto l’Ucraina possa contribuire, con il proprio gas, al riempimento dei depositi di stoccaggio dei Paesi Ue. Non si saprà mai se sia stato davvero determinante o abbia solo aggravato la sconfitta del fronte ambientalista, ma il messaggio è arrivato dove doveva arrivare e nel momento opportuno.
Tuttavia, la battaglia sulla Tassonomia verde non è ancora conclusa. Sicuramente, non ci sarà la maggioranza super-qualificata (venti Stati membri) necessaria in Consiglio Ue per bloccare l’atto delegato della Commissione. Ma due Paesi – il Lussemburgo e l’Austria, e alcune organizzazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace – hanno annunciato che inoltreranno un ricorso alla Corte europea di giustizia. Ammettendo il gas e il nucleare fra le attività economiche “sostenibili”, la Commissione è accusata di non aver interpretato correttamente i criteri previsti dall’articolo 3 del regolamento Ue sulla Tassonomia verde, in particolare il principio del do not significant harm, ovvero “non arrecare danno significativo” a nessuno dei sei obiettivi ambientali fissati nel testo legislativo. Per aspettare il verdetto della Corte, comunque, bisognerà attendere almeno un paio d’anni.
Va sottolineato, comunque, che la sconfitta a Strasburgo non significa affatto un “assegno in bianco” per il nucleare e il gas. Le condizioni che le attività economiche, nei due settori, dovranno rispettare per avere la patente di sostenibilità sono piuttosto stringenti. Per il nucleare, saranno considerate la ricerca nelle future tecnologie più avanzate (“quarta generazione”), che minimizzano la produzione di scorie, la costruzione di nuovi reattori che utilizzino le migliori tecnologie disponibili (“terza generazione”), e le attività di generazione elettrica delle centrali nucleari esistenti, se saranno oggetto di una proroga del loro iniziale ciclo di vita autorizzata prima del 2040.
In più, per avere i finanziamenti della Tassonomia verde, i progetti nucleari, fino al 2025, dovranno aver predisposto dei depositi finali (disposal facilities) per le scorie con livello basso o intermedio di radioattività; mentre quelli autorizzati dopo il 2025 dovranno presentare dei piani dettagliati per rendere pienamente operativi “entro il 2050” dei depositi geologici profondi per le scorie ad alto livello di radioattività. Tenendo conto solo dell’ultima condizione, gli Stati membri che sono, o si prevede che siano, in regola sono solo quattro: Francia, Svezia, Finlandia ed Estonia.
Per il gas, gli investimenti “verdi” riguarderanno la generazione di energia elettrica, la cogenerazione ad alta efficienza di energia e di calore, e infine i cosiddetti distretti per la produzione di tele-riscaldamento o raffreddamento (district heating and cooling systems). Ma saranno ammessi, senza limiti temporali, solo gli impianti che producono meno di cento grammi di CO2 per kWh (un limite molto basso che può essere raggiunto solo dalle installazioni più efficienti). Questa condizione non è soggetta a una clausola temporale.
Altri impianti a gas potranno qualificarsi per gli investimenti della Tassonomia, ma sottoposti a una data limite: sarà ammessa – solo però fino al 2030 – la costruzione di centrali elettriche a gas che producano fino a 270 g di CO2 per kWh, oppure che riescano a mantenere una media annuale di 550 kg di CO2 per kWh, calcolata su venti anni.
Inoltre, si dovrà dimostrare: 1) che l’impianto a gas non può essere sostituito, in modo efficiente e per la stessa capacità, da un impianto di energia rinnovabile; 2) che la nuova installazione ne sostituisce una preesistente ad alte emissioni (soprattutto a carbone); 3) che non vi sia, con il nuovo impianto, un aumento di capacità superiore al 15%; 4) che la sostituzione dei vecchi impianti con i nuovi porti a una riduzione delle emissioni a effetto serra di almeno il 55% per kWh di energia prodotta; 5) che lo Stato membro, in cui ha sede l’impianto, abbia già preso l’impegno di eliminare progressivamente le centrali energetiche a carbone sul proprio territorio.
Infine, entro il primo gennaio 2026, gli impianti dovranno miscelare col gas naturale almeno il 30% di altri gas “a basso contenuto di carbonio” (gas sintetici, biogas e idrogeno, che producono il 70% di emissioni in meno rispetto al normale gas fossile). Il blending dovrà arrivare poi al 55% entro il primo gennaio 2030, e al 100% entro il 31 dicembre 2035.
Non sono ancora stati resi pubblici dei dati ufficiali – ma secondo alcune associazioni ambientaliste, se si guarda alla condizione della sostituzione delle centrali a carbone, solo la Germania potrebbe giovarsi al 100% delle condizioni favorevoli della Tassonomia per gli investimenti nel settore del gas. Almeno sette Stati membri non avrebbero capacità di produzione a carbone da sostituire, e uno (la Polonia) non ha neanche fissato una data per l’eliminazione del carbone. Quasi tutti gli altri Paesi dell’Unione potrebbero finanziare con gli investimenti verdi solo una parte dell’installazione di nuove capacità di produzione di energia alimentate a gas.