Domenica scorsa ci sono state le elezioni regionali in Catalogna. Separatismo indipendentista? Riscrittura del patto di coabitazione in una Spagna confederale? Convivenza tra Barcellona e Madrid, come una coppia che non può divorziare? Il “problema Catalogna” torna questione irrisolta nella realtà spagnola del 2021. E non può essere ignorato dal resto d’Europa.
Il Partito socialista catalano (Psc) è stato il più votato con il 23%, ottenendo 33 seggi (li ha raddoppiati). Un successo, soprattutto nella metropoli Barcellona, per la forza principale che governa la Spagna insieme a Podemos, da sempre disponibile a discutere forme di riforma costituzionale ma non di divisione unilaterale del Paese. Affermazione pure delle liste indipendentiste, forti nelle zone rurali: Sinistra repubblicana (Erc) di centrosinistra con il 21, 3 per cento dei voti e 33 seggi; Insieme per la Catalogna (Junts per Catalunya), di centrodestra, con il 20% dei voti e 32 seggi, Candidatura popolare unita (Cup), di estrema sinistra, con il 6,6 % dei voti e 9 seggi. Questi partiti hanno quindi 74 seggi per governare. La quota della maggioranza assoluta è stabilita in 68. Da non dimenticare, però, che l’astensione ha superato il 47 per cento, complici forse la pandemia e pure una certa stanchezza per il braccio di ferro con Madrid che non trova soluzione. Da segnalare, infine, l’inquietante affermazione di Vox, partito neofranchista di estrema destra, con il 7,6% dei voti, e il risultato di Comú Podem (Unidas Podemos), formazione di sinistra con il 6,8% dei voti. Forti flessioni al “centro” per Ciudadanos (5,5, passa da 30 deputati a 6) e per il Partito popolare (solo il 3,8).
Il nocciolo della trattativa in corso riguarda per Erc la possibilità di fare un governo con i socialisti, il cui leader è Salvador Illa, ex ministro della Salute del governo centrale, o di puntare a un esecutivo formato esclusivamente con le altre forze indipendentiste regionali. Dai primi colloqui postelettorali, sembra prevalere la seconda ipotesi, anche se Erc appoggia il governo di Pedro Sanchez e Pablo Iglesias a Madrid. Una soluzione, quest’ultima, che riporrebbe il “problema Catalogna” tra i grattacapi della Spagna governata dalle sinistre, impegnata su pandemia, crisi economica e crisi della forma monarchica dello Stato (l’esilio di fatto dell’ex re Juan Carlos sulla scia di scandali a ripetizione).
Non certo sullo sfondo di quello che si muove a Barcellona c’è il tema dei prigionieri politici, che sono: Jordi Sánchez (ex presidente Anc, JxCat), Jordi Cuixart (presidente Òmnium), Carme Forcadell (ex presidente del parlamento regionale, Erc), Oriol Junqueras (ex vicepresidente governo e presidente di Erc), Raül Romeva (ex consigliere governo regionale, Erc), Dolors Bassa (ex consigliera governo, Erc). Quim Forn (ex consigliere governo, JxCat), Jordi Turull (ex consigliere governo, JxCat), Josep Rull (ex consigliere governo, JxCat). In esilio resta inoltre Carles Puigdemont, ex presidente della Catalogna e presidente di Erc. Sono tutti condannati a pene severe (dai 9 ai 13 anni di reclusione) per “sedizione e malversazione” a seguito del referendum per l’indipendenza del 2017, indetto senza rispettare le norme delle leggi spagnole.
L’impegno esplicito e concreto a risolvere il tema dei detenuti politici in carcere dalla fine del 2017 potrebbe sbloccare la trattativa con i socialisti? Intanto proprio martedì è stato arrestato e condannato a 9 mesi di reclusione per “esaltazione del terrorismo e ingiurie alla corona” il rapper Pablo Hasel. Gli indipendentisti chiedono l’amnistia, il governo di Madrid lavora invece su possibili indulti e riforme del codice penale, in particolare sul delitto di sedizione. Al di là di ciò che riguarda Barcellona, resta il nodo democratico che finora pure l’Europa comunitaria ha assolutamente sottovalutato.
Questi “prigionieri politici”, in definitiva, sono in carcere per delitti di opinione sulla liceità dell’indipendentismo e per aver organizzato un referendum fuori dalle regole costituzionali. Dovrebbe essere possibile trovare una soluzione politica e non giudiziaria al “problema Catalogna”. La riscrittura delle regole confederali dello Stato spagnolo, già tentata dall’ex premier socialista Zapatero, più in prospettiva un auspicabile referendum su monarchia o repubblica, è la via per evitare l’anacronismo di una secessione nell’Europa dei recovery plan e dei recovery fund, che tutti vorremmo più politica e meno mercantile.