È il 2021, il mandato di Sergio Mattarella volge al termine, si discute sulla successione. I partiti sono afasici e condizionati da ricatti lobbistici, le formule politiche suonano vuote di contenuto e astruse nelle forme, i problemi aperti sono parecchi e il personale istituzionale è inadeguato. Ci si sta rendendo conto che, fra ruggini e veti incrociati, gli ostacoli all’elezione del nuovo presidente pesano. Facendo visita a una scuola, mentre i bimbi sventolano bandierine, Mattarella si schermisce: “Io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”. Tutti registrano con cura e, naturalmente, se molti si rammaricano in pubblico, ci sono altri che hanno l’acquolina in bocca in privato. Però, vecchio: che parola tabù, nel linguaggio della comunicazione. Si dice anziano, magari terza età. Al limite si parla di vasta esperienza, di lungo percorso; e Berlusconi, alle elezioni politiche, strizzando l’occhio alla prudenza risparmiosa, ha detto “sono l’usato sicuro”.
Con quel vecchio, che è una franca ammissione di umanità e anche una velata rinuncia, mentre parla a chi ha la vita davanti, Mattarella si affaccia sulla scelta del prossimo titolare del Quirinale e in pratica si mette di lato. Ma quest’anno, proprio lui, diventa il nuovo presidente. C’è la possibilità che, nell’insieme, le sue funzioni come capo dello Stato durino quasi tre lustri. Non è chiaro se quei bambini abbiano ricevuto spiegazioni.
Adesso Mario Draghi, in visita a una scuola nell’Italia profonda di una provincia, accolto con la musica e festeggiato anche lui con le bandierine, ricostruisce per la storia il suo arrivo a palazzo Chigi, la sua disponibilità quando è stato chiamato da Mattarella e persino le sue vicende personali. Ricorda l’importanza degli insegnanti, della famiglia; poi chiama tutti a fare un applauso per la moglie. Non manca una ricostruzione della guerra in Ucraina, ed è un sunto prezioso: Draghi spiega che se uno grosso grosso prende a schiaffi uno piccolo piccolo, bisogna intervenire. Qualcuno troverebbe un po’ troppo semplice, questa agenda con la politica internazionale già tagliata a bocconcini, pronta per lo zainetto dei quaderni e della merenda. Ma Draghi è Mario quello che risolve i problemi, Supermario, quello che al primo incontro con la Confindustria si sentirono più applausi che parole, quello che ci pensa lui, perché arriva la resilienza e tutto s’accomoda. E forse questa resilienza, moneta di nuovo conio, oggi che la resistenza si è trasferita in Ucraina, ha sottintesi che bisogna insegnare presto anche a chi deve crescere.
A parte la cronaca spicciola del giorno, è evidente che le dichiarazioni politiche provenienti da altissimi livelli, stagliate su fondali accattivanti, simpatici, preferibilmente alla presenza di giovani, meglio ragazzi e meglio ancora bambini, cominciano con la costruzione a tavolino di un corteo mediatico, ben prima degli incontri pubblici. Dopo proseguono, sull’onda del conformismo e della voglia di adeguarsi. Però, va sottolineato: se poi si vanno a rivedere le esternazioni per intero, si nota che i contenuti non sono interamente così, si vede che nella comunicazione rimbalzano e prendono corpo i segmenti verbali più miopi e ordinari. Insomma, politica e informazione fanno una gara al peggio, una rincorsa all’impoverimento del discorso.
Le vere vittime di questo brutto modo di comunicare non sono i giovanissimi, che in definitiva porteranno con sé, a lungo, un ricordo di festa e di importanza, non per forza negativo: quella volta che è venuto il presidente. A rimetterci sono tutti i cittadini, bersagli di puerilizzazione, di miracolismo portatile e alla mano. Niente di soprannaturale, però; anzi, semmai si porge un rimedio tutto di piatta naturalezza, ovvio, rassicurante come un emporio di paese, dove gli scaffali sono comodi. È una questione di formazione, di stile? Può darsi. Eppure, l’Italia ha saputo dare di meglio.
Il figlio dei padroni di una drogheria, aperta nella Torino della belle époque da piccoli inurbati venuti dal Canavese, seppe essere decisamente moderno: si chiamava Piero Gobetti e si sollevò più in alto di un prezzario delle salamoie. Ma non rispettò i sottintesi del suo ceto: non fu resiliente rispetto all’andazzo delle cose di cent’anni fa. Si può essere il figlio del droghiere e ragionare e vivere senza la matita appoggiata su un orecchio. Perciò, neanche modi e toni appresi nel proprio ambiente giustificano tutto. Riprendendo le parole di Draghi, quando in un’altra occasione ha spiegato come e perché bisogna schierarsi sulla guerra in Ucraina, “non ci sono scuse, non ci sono scuse”.
I discorsi ai bambini, diffusi per l’infantilismo degli adulti, continueranno. Vengono in mente le madonne pellegrine del dopoguerra, che però servivano a mietere voti per la Democrazia cristiana e a favorire il piano Marshall, specialmente nelle zone a rischio di mobilitazione popolare. Oggi, in fondo, questi pellegrinaggi fra i banchi di scuola non servono neanche a tenere a bada qualcosa. Non si mettono a posto focolai di dissenso, solo si ribadisce una falsa vicinanza agli interessi dei cittadini, si disegna un vago bonus-consenso, una delega permanente, un assegno in bianco che dev’essere candido come l’innocenza. La cattiva informazione è una cartolarizzazione del potere, specula e scommette su un assenso emozionale, è un future ottimista sull’approvazione politica di ciò che è stato deciso a parte, oppure sarà deciso dopo, a tempo debito e senza discutere.