Non siamo nati ieri. Sappiamo benissimo che il rispetto dei diritti umani vale a seconda delle convenienze. E che sempre a seconda del proprio tornaconto i “dannati della terra”, evocati a suo tempo dal sociologo terzomondista Frantz Fanon, vanno protetti o meno. Così, mentre da un lato milioni di profughi ucraini vengono doverosamente accolti da un Occidente che solitamente non scatta certo come un sol uomo per dare assistenza a chi sfida il mare o il gelo dei Balcani, dall’altro quegli stessi che danno aiuto a chi fugge dalla guerra tra l’Ucraina e la Russia prevedono invece le deportazioni per chi, raggiunta l’agognata terra dell’accoglienza, viene spedito a seimila chilometri di distanza dal luogo di approdo.
È ciò che ha deciso il governo conservatore britannico di Boris Johnson, emulando la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen. Come abbiamo già scritto su questo giornale , il Paese scandinavo ha approvato questo provvedimento chiamandolo “trattamento esterno delle domande d’asilo”, che consiste appunto nel trasferire il più lontano possibile tutti coloro che chiedono asilo a Copenaghen, mentre le loro richieste vengono elaborate e, con tutta probabilità, respinte.
Ora Londra ha deciso di fare lo stesso nei riguardi di migliaia di migranti che attraversano il Canale della Manica a bordo di piccole imbarcazioni per raggiungere la Gran Bretagna. Come nel caso della Danimarca, il Paese scelto per ospitare chi fugge da guerre e povertà è il Ruanda, anche per via della sua appartenenza al Commonwealth e per la disponibilità offerta dal piccolo Paese africano, particolarmente bisognoso di aiuti economici da parte del ricco Occidente.
Ma veniamo ai fatti. Il 14 aprile scorso l’esecutivo presieduto dal discusso premier conservatore ha approvato questa misura che i partiti dell’opposizione, laburisti in testa, e le organizzazioni umanitarie non hanno esitato a definire “disumana”. Per edulcorare questo provvedimento, il ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, ha definito la decisione “partenariato per lo sviluppo economico”. Operazione che costerebbe a Londra circa 120 milioni di sterline, con l’obiettivo – sostiene il governo – di stroncare il business di chi lucra sull’arrivo dei migranti. Ma il costo in termini di rispetto dei diritti umani è troppo alto da pagare. Per Steve Valdez-Symonds, direttore dei rifugiati di Amnesty International U.K., citato dal sito “sicurezzainternazionale.it”, “l’idea mal concepita dal governo infliggerà maggiore sofferenza, mentre spreca enormi quantità di denaro pubblico”. Per Enver Solomon di Refugee Council si tratta di un progetto “pericoloso e crudele”. E perfino l’estrema destra di Nigel Farage ha manifestato dei dubbi. Negativo anche il parere dell’Onu, mentre la commissaria dell’Unione europea agli Affari interni, Ylva Johansson, ha definito “inumano” il provvedimento. Anche perché, di fronte a un ricorso, la via ruandese potrebbe essere contestata in quanto contraria alla Convenzione Onu sui diritti dei rifugiati.
A tuonare contro il provvedimento, con dei toni quasi da scomunica, è stato l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che ha definito la decisione di deportare in Ruanda i richiedenti asilo “un atto contro Dio”. Un prelato che nel passato aveva stigmatizzato l’accusa di razzismo nei confronti di chi ha paura del fenomeno migrazione, ma che non ha esitato a scagliarsi contro questa decisione nei confronti della quale la politica dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump appare umanitaria.
La stessa efficacia del provvedimento non tiene conto del fatto che chi tenta di raggiungere la Gran Bretagna difficilmente può essere a conoscenza della misura presa da Downing Street. E il desiderio di una vita migliore è più forte di qualsiasi legge che cerchi di scoraggiare questi pericolosissimi “viaggi della speranza”. Chi li intraprende, partendo dalle coste francesi, non esita a nascondersi all’interno di camion e traghetti, spesso in celle frigorifere dove si muore per congelamento, oppure, come dicevamo, a bordo di piccole imbarcazioni.
Sempre secondo “sicurezzainternazionale.it”, lo scorso anno più di 28.000 persone, per la maggior parte provenienti dall’Africa e dall’Asia, sono entrate nel Regno Unito via mare rispetto alle 8.500 del 2020 e solo ai 300 del 2018. A nulla sono valsi i tentativi di collaborazione tra Gran Bretagna e Francia nella gestione del fenomeno migratorio, con frequenti accuse reciproche circa il fallimento delle misure prese per ridimensionare le migrazioni. Londra aveva anche accettato di aiutare Parigi, con un finanziamento di 54 milioni di sterline, al fine di raddoppiare il numero di poliziotti che pattugliano le aree costiere francesi.
Tra le altre bizzarre idee per combattere il fenomeno migratorio, il governo britannico ha pensato alla costruzione di una macchina a onde nella Manica per riportare indietro le barche, oppure all’individuazione di altri luoghi nei quali spedire i migranti. Tra questi, l’Albania, Gibilterra, l’isolotto di Alderney, nella Manica, oppure le basi britanniche a Cipro e sull’isola di Ascensione, nell’Atlantico meridionale, senza avere però una risposta positiva. Kigali riceverà, per questa disponibilità alla “accoglienza”, circa 120 milioni di sterline.
Per il momento – come riporta il quotidiano cattolico “Avvenire” – sono destinati ad arrivare in Ruanda solo gli uomini di età superiore ai quarant’anni, ovvero circa il 70% degli arrivi complessivi. Tra le altre misure previste, la militarizzazione dei controlli nel Canale della Manica, con l’impiego dei marinai della Royal Navy al posto degli agenti della polizia di frontiera, e l’ergastolo per gli scafisti.
Questa necessità di rispedire in patria, attraverso la tappa ruandese, migliaia di migranti si scontra con la carenza di lavoratori stranieri costretti a tornare a casa dopo la Brexit. Siamo dunque di fronte a una decisione paradossale, che evidentemente è mossa da ragioni propagandistiche ben distanti dalle reali necessità del Paese. Tra le tante, il bisogno di aumentare il proprio gradimento dopo la scandalosa vicenda del “partygate”, con la conseguente richiesta di dimissioni, alla quale il premier non intende dare seguito. Da qui il ritorno al tema dell’immigrazione, rispolverato ogni volta che un governo è alla ricerca di nuovi consensi.
E sullo stesso fronte ucraino, sono stati sbloccati 56.500 visti, cioè la metà di quelli richiesti.
Insomma, si potrebbe rammentare il titolo del libro dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, riferendosi alle politiche del “mondo libero” nei confronti degli immigrati. Aggiungiamo che, una volta finita la guerra tra Kiev e Mosca, anche l’obbligata accoglienza europea nei confronti degli ucraini e delle ucraine diventerà un ricordo, e in quei luoghi insanguinati dal conflitto tutto tornerà a essere verosimilmente come prima.