Non ci siamo proprio: “riaprire l’economia”, come ha dichiarato il presidente del Consiglio Draghi, – in fondo per ricevere un po’ più di turisti a Pasqua –, è una scempiaggine bella e buona, che ci costerà più caro delle residue restrizioni che stiamo per togliere. È in atto una nuova ondata pandemica, dalla Cina all’Europa (in Germania trecentomila contagi al giorno, ottantamila in Italia); ed è sconfortante dover constatare come sia risultata vincente, alla fine, la linea di darwinismo sociale di Boris Johnson. Contro di essa, a quanto pare, nulla può il pur prudentissimo ministro della Salute, Roberto Speranza. È il difetto di fondo di una compagine governativa con la destra al suo interno, diretta da un campione dell’economia come Draghi. Gli affari sono affari; i contagi e le morti contano fino a un certo punto, l’importante è che gli ammalati non intasino il sistema sanitario.
Si può osservare oggi, al tempo stesso, come fosse fuorviante il paragone, stabilito da alcuni, tra il contrasto al virus e una guerra. Ora che in Europa abbiamo e la pandemia e la guerra, possiamo vedere bene in cosa consista la differenza: un missile, una bomba ti uccidono di sorpresa, nei confronti del diffondersi dei contagi, invece, si può mettere in campo una serie di misure preventive – dal confinamento alla campagna vaccinale, passando per l’uso dei dispositivi di protezione – che costituiscono una difesa. Contro la guerra non c’è che altra guerra – o la ricerca di una via diplomatica, che però, stando a quanto al momento si può vedere, in mancanza di un “cessate il fuoco”, non è affatto un’alternativa ma solo un’opzione subordinata alle distruzioni e alle stragi. La politica come continuazione della guerra, dunque. Una regressione all’epoca in cui il diritto internazionale era carta straccia: c’è un che di ottocentesco nel modo in cui la Russia di Putin concepisce i rapporti internazionali. Con la differenza che, nell’Ottocento, non c’erano i bombardamenti sui civili.
Ulteriore considerazione, probabilmente decisiva: può una guerra essere fermata, o almeno frenata, dalla diffusione di un morbo? La storia – quella che secondo Montale non sarebbe “magistra di nulla che ci riguardi” – direbbe di sì. E lo si direbbe riguardo alle città assediate dell’Ucraina, in cui – a quanto si vede dalle immagini televisive, con gente che fuggendo si affolla, completamente ignara dell’uso della mascherina – nessuno sembra curarsi di una pandemia che pure, tra breve, potrebbe tornare a mordere, considerando anche il tasso non altissimo di vaccinazioni in quell’area del mondo. Come una qualsiasi arma chimica, poi, il virus può ritorcersi contro lo stesso aggressore. E Putin sarebbe, se non definitivamente sconfitto, quanto meno ancora più infognato di quanto già non sia, a causa di una variante detta “omicron 2”. Preso in trappola dal “generale virus”, un po’ come gli aggressori di un tempo (Napoleone e Hitler) lo furono dal “generale inverno”.
Un’ondata pandemica per costringere i nazionalismi ottusi a trattare? Una catastrofe a limitare un’altra catastrofe? È questo tutto ciò che sa offrire il nostro tempo?