Una sommossa, non si può definire diversamente ciò che sta accadendo nella île de beauté (“l’isola della bellezza”) da quando, il 2 marzo scorso, nel carcere di Arles, nel Sud della Francia continentale, un esponente dell’indipendentismo corso, Yvan Colonna, sotto alta sorveglianza, è stato aggredito da un altro detenuto che lo ha ridotto in fin di vita senza che intervenissero le guardie carcerarie. Da quella data, il militante è in coma. L’episodio ha rappresentato la scintilla della rivolta che in questi giorni infiamma la Corsica.
Il bilancio dell’ultima manifestazione, svoltasi domenica 13 marzo a Bastia, sa di guerra civile. Nel corso di un corteo aperto da uno striscione con la foto di Colonna e la scritta Statu francese assasinu, e alla quale hanno partecipato diecimila persone, un gruppo di circa trecento giovani vestiti di nero, con il passamontagna e una fascia verde al braccio, ha assaltato la prefettura a ondate, per cinque ore, incendiandola, incoraggiati e applauditi dal resto dei manifestanti. Sono state tirate seicentocinquanta bottiglie molotov verso gli agenti, malgrado la polizia ne avesse sequestrato quattrocento nelle ore precedenti. Una carica esplosiva ha anche provocato danni ingenti all’ufficio postale centrale. Altri proiettili di diversa natura – scrive “Corse-Matin” – tra i quali bombe artigianali, biglie di piombo, bocce di metallo (quelle della pétanque) e pipe bomb (tubi-bomba), sono stati lanciati contro le forze di polizia, che hanno risposto con granate Gm21, il cui utilizzo è riservato ai casi estremi per il rischio di provocare ferite particolarmente gravi. Risultato: settantasette feriti tra i gendarmi e ventitré tra i manifestanti (quelli che hanno voluto farsi curare negli ospedali). Si è sfiorato il dramma. “Una situazione vicina alla sommossa” aveva sentenziato qualche giorno prima il prefetto della Corsica, Amuary de Saint-Quentin. Non si era sbagliato. Ogni giorno si susseguono manifestazioni e scontri. Non si era mai vista una mobilitazione di questa ampiezza, con questa continuità e con una così ampia partecipazione della gioventù.
Venerdì 11 marzo, a Porto Vecchio, un reparto della gendarmeria nazionale era stato assaltato a colpi di molotov da decine di incappucciati, che avevano tentato di penetrare nella sede della polizia senza riuscirci. I responsabili della sicurezza hanno denunciato le loro carenze di uomini, materiali, mezzi di trasporto. Ad Ajaccio, i lavoratori del Sindacatu travagliadori corsi (Stc) avevano impedito l’attracco di un traghetto francese proveniente da Tolone, con a bordo diversi agenti anti-sommossa della Compagnie républicaine de sécurité (Crs). Da allora, per non sollevare sospetti, il materiale è stato inviato nell’isola nascosto in camper turistici, mentre per i rinforzi si sono utilizzati degli aerei, anche se le truppe si sono ritrovate poi senza veicoli sufficienti sul terreno.
A Calvi, centinaia di manifestanti si erano radunati qualche giorno prima davanti alla sotto-prefettura lanciando bottiglie incendiarie. Ad Ajaccio, al termine di una manifestazione, nella notte di mercoledì 9 marzo, un gruppo di manifestanti aveva provocato un incendio all’interno del Palazzo di giustizia.
Un’altra grande manifestazione, con quindicimila partecipanti e animata dagli studenti, si era tenuta domenica 6 marzo a Corte, nel centro dell’isola, dove ha sede l’Università della Corsica, al grido di ghjustizia è verità e francesi di merda. Da allora, la mobilitazione più che dai partiti e dai movimenti nazionalisti, è guidata dai sindacati studenteschi, come Consulta di a ghjuventù corsa oppure la Ghjuventù indipendentista, da universitari e da liceali spesso giovanissimi. Gli istituti dell’istruzione sono in prima fila nelle proteste. Il consiglio di amministrazione dell’Università ha approvato una mozione che richiede “la liberazione di tutti i prigionieri politici corsi”. La maggior parte degli istituti di insegnamento secondario superiore sono bloccati da giorni. Uno sciopero degli insegnanti è previsto per giovedì 17 marzo.
Ma chi erano Yvan Colonna e il commando Erignac?
Nel febbraio 1998, i componenti del Commando Erignac, di cui faceva parte Yvan Colonna, con Alain Ferrandi e Pierre Alessandri, uccisero il prefetto Claude Erignac, con una pallottola sparata alla nuca mentre si recava all’Opera, e nel 2007 furono condannati definitivamente all’ergastolo.
La maggior parte dei corsi non difese e non difende l’attentato compiuto dal commando, e la condanna si era espressa con imponenti manifestazioni. Quasi tutte le forze politiche dell’isola condannarono ieri e condannano oggi questo attentato, ma chiedono la detenzione sull’isola dei tre membri del commando – come avrebbe dovuto accadere fin dal 2016 e come prevede la stessa legge francese. Questo accanimento a tenerli lontani dalle loro famiglie viene vissuto, dagli isolani, come una vendetta da parte dello Stato. Alcuni partiti nazionalisti chiedono l’amnistia per i tre ergastolani in vista di una soluzione politica alla questione corsa. Comunque, da anni nell’isola si possono leggere scritte sui muri che inneggiano al detenuto: “Gloria a te Yvan”.
Colonna è un detenuto di 61 anni sotto stretta sorveglianza, in un carcere di alta sicurezza, che ha sempre rivendicato la propria innocenza ed è stato ridotto in fin di vita da un tentativo di soffocamento durato ben otto minuti, da parte di un co-detenuto jihadista senza che intervenissero le guardie carcerarie. Ora combatte tra la vita e la morte. La responsabilità viene fatta risalire allo Stato francese che, da alcuni, è denunciato come mandante del tentativo di omicidio.
Una rivolta giovanile all’ombra del conflitto tra autonomisti ed indipendentisti
Il movimento attuale va ben oltre la protesta per il tentativo di assassinio del detenuto indipendentista: la gioventù corsa, ribattezzata come la “Generazione Colonna”, soffre del declassamento e ha paura per il proprio avvenire. “I giovani si sentono disprezzati da questo governo che non vuole vedere la situazione di miseria nella quale si trova la Corsica e in particolare i giovani”, denuncia Jacques Casamarta, un militante di Inseme a manca (“Insieme a sinistra”).
Uno su quattro, dei trecentomila abitanti dell’isola, vive sotto la soglia di povertà, mentre i disoccupati ufficiali sono venticinquemila. I prezzi delle abitazioni sono inabbordabili, e i corsi denunciano gli speculatori francesi che vengono a fare affari a detrimento dei residenti. Inoltre, la Corsica ha delle particolarità economiche, sociali e culturali che non vengono riconosciute: i giovani rivendicano la possibilità di far vivere la loro cultura, le loro tradizioni, e che l’uso della lingua corsa sia ufficializzato. Comunque l’identità culturale non è certo sufficiente, servono anche politiche sociali e per il lavoro.
Sono sette anni che i nazionalisti sono al potere in Corsica, ma niente di sostanziale è cambiato. Occorreva iniziare delle trattative nel 2017. La politica della mano tesa a Macron – da parte del presidente della Corsica, Gilles Simeoni – non ha dato risultati. Ottenuta una prima volta la direzione della Regione – grazie a una coalizione tra gli autonomisti, di cui fa parte, e i partiti indipendentisti – il presidente corso ha scelto poi di presentarsi da solo alle regionali del 2021. Una scommessa apparentemente vinta, visto che ha ottenuto 32 seggi su 63 nell’Assemblea della Corsica, ma che ha suscitato molto rancore tra gli indipendentisti di Corsica Libera guidati dal loro leader storico, Guy Talamoni, che sospettano ci sia un accordo tra Macron e Simeoni, il quale, in cambio della garanzia del voto degli autonomisti a favore del presidente della Repubblica attuale alle elezioni presidenziali del 10 aprile prossimo, otterrebbe il rimpatrio dei detenuti sull’isola e una qualche forma di autonomia.
Da parte degli autonomisti, si adombra il pericolo che, dietro gli episodi di violenza, ci sia anche la mano di Corsica Libera che auspica pubblicamente il blocco totale dell’isola; non si esclude neanche la presenza di elementi del ricostituito Fronte nazionale di liberazione della Corsica (Flnc), un’organizzazione armata fondata nel 1976, che si presentò proprio il giorno della sua creazione con l’esplosione di più di venti bombe fra la Costa azzurra e Marsiglia. Il Fronte decise di interrompere la lotta armata nel 2014. Attualmente diversi militanti si starebbero orientando verso il ritorno alla clandestinità. In un video, realizzato a fine agosto 2021, il nuovo Flnc, che riunisce il Movimento 22 ottobre e l’Unione dei combattenti, si lamentava dell’oblio in cui erano cadute le ambizioni della lotta di liberazione a profitto dell’esclusiva via elettorale, che avrebbe portato all’avvento di un nuovo clan, quello intorno a Simeoni. Ci si può chiedere se il ritorno del Flnc darà luogo ad altre nuits bleues (“notti blu”), cioè a una serie di attentati con gli esplosivi come nel 1976, nel 1981, nel 1982, o come i ventuno attentati perpetrati in tutta l’isola nella sola notte dell’8 dicembre 2012.
Si può credere alle promesse sull’autonomia in piena campagna elettorale?
Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, in seguito agli episodi di protesta, per pacificare gli animi, ha tolto lo statuto di detenuto sotto alta sorveglianza a Colonna, e anche ad Alain Ferrandi e Pierre Alessandri, due altri membri del “Commando Erignac”. Nonostante ciò, la calma non è tornata nell’isola. Il rappresentante dell’esecutivo parigino, in una intervista a “Corse-Matin”, aveva annunciato la sua visita nell’isola per mercoledì 16 e giovedì 17 marzo, e l’apertura di un ciclo di discussioni su una possibile autonomia della Corsica, sul modello in vigore per la Polinesia, che beneficia di una larghissima autonomia, pur precisando che le discussioni sarebbero state lunghe e difficili.
Dopo alcune iniziali promesse, fatte da Macron nel corso della campagna elettorale del 2017, l’Eliseo aveva rifiutato di riconoscere la lingua corsa come lingua ufficiale a fianco del francese, come pure l’amnistia ai prigionieri politici, e non aveva insistito nel portare avanti il suo disegno di legge che riconosceva una qualche forma, sia pure minima, di autonomia, progetto bloccato dal Senato francese. Un’ambiguità che pesa, e che rappresenta una delle cause degli eventi odierni. Simeoni stesso è accusato di doppiogiochismo, di essere cioè intransigente in Corsica ma conciliante a Parigi.
Le aperture attuali del governo rappresentano un incoraggiamento per i giovani scesi nelle strade in questi giorni. Il presidente dell’esecutivo corso non era stato capace, in cinque anni, di ottenerle da Macron, e che sono state ottenute, invece, in quindici giorni di mobilitazione di piazza. Simeoni ha accettato il confronto definendolo “storico” e ha auspicato di ottenere, per la Regione, ampie competenze, con l’esclusione di quelle relative alla sicurezza, alla difesa e alla politica estera.
Il cambio di rotta del governo sulla questione corsa – denunciano i movimenti nazionalisti – rischia di essere puramente elettoralistico: “Siamo a meno di un mese dall’elezione presidenziale e Darmanin (il ministro dell’Interno) discute, ma non prenderà nessuna decisione”. Macron teme che la rivolta isolana possa perturbare la sua campagna elettorale. Nessuno entra nel merito dei contenuti reali di questa “completa autonomia”. Se si proponesse, per esempio, un’autonomia anche fiscale della Corsica, bisognerebbe considerare che lo Stato centrale sborsa all’isola 3,7 miliardi all’anno, ma raccoglie solo 2,1 miliardi nella Regione. La Corsica necessita dunque di una perequazione nazionale delle risorse, una perequazione in cui la ricchezza di alcune regioni corregga la povertà delle altre.
Nei prossimi giorni molto dipenderà dalle decisioni del collettivo creato dai sindacati degli studenti, dai quattro partiti nazionalisti, dall’Università della Corsica e da altre associazioni, che hanno chiesto di partecipare alle trattative. Una cosa è certa: la Corsica è uscita dal suo torpore, e non si accontenterà delle solite ambigue promesse dell’Eliseo.