Da tempo aleggia sull’Europa una nuova questione della casa. I prodromi di quanto sta accadendo vanno ricercati in politiche errate, nella illusione, coltivata in particolare dai Paesi dell’Europa meridionale, che il problema fosse stato risolto una volta per tutte, o che ci si avviasse a risolverlo definitivamente trasformando i cittadini in proprietari. L’abbandono, da parte di Spagna e Italia, dei programmi di edilizia popolare, e nel nostro Paese la cessione di parte del patrimonio pubblico (avviata in grande stile dal 1993, con la legge Nicolazzi), hanno creato le premesse per l’esplodere di uno scarto tra domanda e offerta di alloggi, che diviene oggi drammatico in realtà metropolitane come Barcellona, Roma, Milano. Ma anche lì dove le politiche di housing pubblico non si sono mai esaurite – come a Londra, come a Parigi –, anche lì dove ancora predomina l’affitto, come a Berlino, si sperimentano difficoltà abitative estreme.
Se pare ormai esaurito il ciclo di lotte che ha portato al governo in Spagna Podemos – che, ricordiamolo, doveva la sua nascita alle lotte degli indignados, vittime della crisi del 2008, gli espropriati cui era stata sadicamente sottratta dalle banche la casa acquistata col mutuo e spesso già in buona parte pagata –, la questione riemerge prepotentemente altrove, nei disordini e nei movimenti di rivendicazione che attraversano le città europee, nel referendum berlinese per l’esproprio di una parte del patrimonio delle grandi immobiliari (di cui abbiamo già parlato su “terzogiornale”); e si riaccende anche nelle polemiche che investono le grandi torri di abitazione realizzate dagli immobiliaristi e rimaste vuote a Londra, o quelle di lusso andate a fuoco a Milano, di cui pure abbiamo già scritto.
Convergono, nell’alimentare il crescente malessere abitativo, numerose questioni di ordine diverso: il mutare della domanda, sempre meno orientata all’appartamento familiare tradizionale; i flussi migratori, per cui raramente si sono pensate politiche abitative; la precarizzazione del lavoro, che rende difficile accedere a retribuzioni regolari che permettano di accendere mutui. Sullo sfondo, la mercificazione della casa, il suo divenire oggetto privilegiato dell’attenzione di una finanza sempre più interessata a speculare sulla città, a valorizzare l’abitazione. E la pandemia ha ulteriormente accentuato la tendenza a cercare nel mattone un investimento sicuro, mentre la finanziarizzazione del mercato della casa ha condotto le grandi immobiliari, i fondi di investimento e le banche a diventare i padroni assoluti della città, mettendo in discussione la stessa efficacia delle politiche messe in campo dalle amministrazioni e dai governi.
Un rapporto della fine del 2020, commissionato dal gruppo dei verdi europei, dal titolo Who Owns the City (“Di chi è oggi la città”), denuncia dettagliatamente la trasformazione in corso. La città rischia di diventare di pochi che se la spartiscono guardando a guadagni prossimi o remoti, come ci mostrano le torri recentemente costruite, che rappresentano la mera cristallizzazione di un potere economico che non ha fretta di vedere ritorni: un’attività che in realtà nemmeno “gentrifica”, dato che non si cura di trovare acquirenti o affittuari, ma si limita a depositare denaro in forma di edifici in alcune metropoli ritenute “sicure” come forzieri, attendendo il momento adatto per ritrasformarli in liquidità.
Nel frattempo, a Milano, i prezzi già vertiginosi salgono ulteriormente come conseguenza del bonus facciate, diventano inarrivabili per coppie di giovani, per lavoratori dipendenti, mentre prosegue la folle corsa al rialzo dei valori immobiliari. Una parte crescente degli abitanti a reddito medio-basso è costretta ad allontanarsi dal centro, mentre per un perverso effetto domino crescono i prezzi anche in quartieri un tempo considerati periferici. E la periferia cresce. A Milano come a Roma, i margini dell’urbano si estendono sempre più lontano: a mezz’ora, a quaranta minuti dal centro – alla faccia degli sbandierati propositi di realizzare “città a 15 minuti”. A Berlino, come effetto della concentrazione della proprietà, in pochi anni i prezzi degli affitti sono andati alle stelle, per non parlare di Parigi o di Lisbona.
In Italia, poi, il problema ha radici remote: lo si può fare risalire a una serie di riforme mai fatte, a partire dal 1962-63, dal fallimento del progetto di legge sugli espropri presentato dall’esponente della sinistra democristiana Fiorentino Sullo, che schiuse la strada alla nascita del “blocco edilizio”, un blocco sociale ed economico nel quale, attorno agli stati maggiori della proprietà fondiaria urbana, della grande proprietà immobiliare e del capitale imprenditoriale e finanziario si aggregarono i piccoli proprietari e le imprese legate alla produzione edilizia. Un blocco, questo, che ha fatto la storia materiale del Paese, passando indenne attraverso epoche diverse, riplasmandosi a seconda dei momenti e delle congiunture. E questo non solo per motivi di tipo economico e politico, ma anche per una serie di valenze antropologiche e simboliche, che la casa in proprietà fa echeggiare, e di cui testimonia in maniera esemplare la lunga stagione dell’abusivismo.
Così, mentre buona parte dei quattrini del Pnrr rischia di trasformarsi in una ennesima colata di cemento, il problema della casa rimane sostanzialmente irrisolto; e anzi ogni volta che la politica prova ad affrontarne alcuni aspetti, come ha mostrato ieri la votazione in parlamento sulla razionalizzazione del catasto, rischia di uscire sconfitta. Il nodo, però, prima o poi andrà affrontato, e speriamo che non si debbano attendere esempi e buone pratiche che giungono da altri paesi dell’Unione per cominciare a provvedere a una questione che è sempre più centrale.
In Germania il programma della coalizione “semaforo” prevede il rilancio in grande stile di una campagna di edilizia popolare pubblica da centinaia di migliaia di alloggi ogni anno; a Parigi l’amministrazione della città cerca di contrastare il potere delle grandi immobiliari riducendone l’impatto; a Barcellona, dove ormai il 20% delle transazioni immobiliari è operato da grandi società, la sindaca, Ada Colau, ha cercato di frenare l’aumento dei prezzi con una nuova e discussa legge sugli immobili di cui non è ancora chiara la ricaduta complessiva. In Italia, invece, pare che lo slogan più apprezzato dalla maggioranza dei partiti sulla questione casa sia il classico motto “quieta non movere”.