Conclusa la requisitoria dell’accusa, ora tocca alle parti: il processo ai mandanti della strage di Bologna si sta avviando verso la sentenza finale dopo 69 udienze. Scontata la richiesta della procura generale nei confronti di Paolo Bellini, l’ex avanguardista, ’ndranghetista, informatore: per lui chiede l’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni, schiaccianti le prove che lo collocano sulla scena del crimine la mattina del 2 agosto 1980. Il senso della durissima pena chiesta per Bellini è tutta nell’articolo 285 del codice penale (“devastazione, saccheggio e strage”): un’offesa alle vittime, ma anche allo Stato democratico, dunque a un valore supremo, fondante della nostra Repubblica.
Anche più direttamente il sostituto pg di Bologna, Umberto Palma, ha spiegato il senso della gravità con poche parole: “Con il sangue si tenta di condizionare la vita democratica, i flussi di voto, il consenso, tento di far scattare una reazione che possa influenzare la vita politica del Paese e offendo la Costituzione, il Paese stesso, l’Italia” – riassumendo così il senso della strage. E poi ci sono anche 85 omicidi pluriaggravati: allora, oltre all’ergastolo, che non si può raddoppiare, “la legge dice che la soluzione è aggiungere qualcosa alla pena, ovvero associare l’ergastolo all’isolamento diurno”, tre anni, il massimo consentito e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’interdizione legale e la decadenza della potestà genitoriale”. Una esplicita volontà di pena che risarcisca le vittime e la comunità e, se possibile, il ritardo dell’inchiesta.
Con la probabile condanna in primo grado di Bellini, la squadra dei killer è così destinata a un macabro allargamento: del resto, oltre a Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, si era già aggiunto – ma solo con una sentenza di primo grado – Gilberto Cavallini: tutti avrebbero agito in concorso con gli ex Nar e con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e non più imputabili, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato. I magistrati bolognesi hanno ricostruito un quadro delle responsabilità che va molto al di là della esecuzione materiale della strage alla stazione, puntando il dito contro i finanziatori, cioè i vertici della P2, con i soldi distratti dal fallimento del Banco Ambrosiano.
È destinata a finire – se la sentenza darà ragione all’accusa – la storia di una strage fatta da tre pazzi spontaneisti (lo abbiamo spiegato qui), che di spontaneo non avevano niente essendo “meri strumenti esecutivi prezzolati di strategie altrui di più alto livello”, visto che sarebbero coinvolte varie formazioni della destra eversiva dell’epoca, come Terza posizione e Avanguardia nazionale, “cementate” da un fiume di denaro che arrivò dai conti svizzeri del Venerabile Gelli e dei suoi prestanome.
Oltre alla condanna di Bellini, la procura ha chiesto sei anni per l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, e tre anni e sei mesi per Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli, a Roma, che secondo i magistrati è responsabile di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini.
Il 2 marzo ha preso poi la parola, per la sua arringa finale, Andrea Speranzoni che fa parte del collegio di parte civile e rappresenta 55 famigliari delle vittime, oltre alla Regione Emilia-Romagna e al Comune di Bologna: “Non ci siamo mai fermati nella ricerca della verità e anche dopo questo processo non ci fermeremo, ma non parlerò del dopo, perché se dovessero spuntare altri attentatori non vorrei pensare che qualcuno in Corte d’appello volesse aspettare un altro potenziale processo per poi unire tutti questi procedimenti” in secondo grado.
Parole pesanti che possono far pensare a un nuovo filone d’indagine aperto con tutto il materiale informativo raccolto, e che resterebbe riservato, per cui si possono fare solo ipotesi. Invece, di sicuro, quelle di Speranzoni sono parole di preoccupazione e amarezza verso una decisione del tutto incomprensibile, non spiegata dalla Corte d’appello bolognese, cioè il rinvio di oltre un anno del processo di secondo grado, per concorso nella strage, all’ex Nar Gilberto Cavallini, inizialmente fissato per gennaio. Un rinvio che, secondo le parti civili, è stato disposto con l’idea di unire il processo a Cavallini e l’eventuale appello del procedimento contro Bellini, Segatel e Catracchia. Se così fosse, non sarebbe una scelta di economia giudiziaria-processuale, ma un salto nel buio. La complessità di questi procedimenti rischierebbe di far slittare le conclusioni: e il tempo, a oltre quarant’anni dai fatti, è oro.
Venerdì ancora la parte civile, poi le difese. Nella prima settimana di aprile, attesa la sentenza.