Con le bombe su Kiev, tramonta anche l’ultimo simulacro della Ostpolitik. Il sogno di Willy Brandt – quello di una Germania che sapesse guardare a oriente, espresso nella sua estrema incarnazione dalla politica di Olaf Scholz nei confronti della Russia – pare cancellato per sempre, o quantomeno archiviato fino a un’epoca diversa e certo non prossima. Eppure, quanto a lungo il rapporto con la Russia, nel bene come nel male, è apparso un destino ineludibile per i tedeschi! E viceversa, quante volte sull’asse Mosca-Berlino si sono consumate le sorti dell’Europa!
Il governo della coalizione “semaforo”, dopo essersi mostrato a lungo esitante, poco allineato con le posizioni della Nato, in “concorde disaccordo” con i francesi, e dopo avere fino all’ultimo scommesso sulla trattativa, si è deciso solo in extremis a bloccare le verifiche al gasdotto Nord Stream 2, e anzi lo ha fatto giusto il giorno prima che le cose precipitassero. Il gasdotto sottomarino, ormai ultimato, è importantissimo, perché dovrebbe collegare direttamente la Germania, affamata di energia dopo la chiusura delle ultime centrali nucleari ancora operative, ai giacimenti russi, senza dovere transitare attraverso paesi terzi. Chiuderlo non è solo una “sanzione” al pari di altre: vuol dire rinunciare a un progetto ambizioso.
“Berlino capitale dei vigliacchi”, allora, come titolavano qualche giorno fa commentatori malevoli? O il sopravvivere dell’idea di un progetto politico tedesco, in continuità appunto con la Ostpolitik, teso a garantire ai tedeschi un ruolo “pivotale” nelle relazioni tra Unione europea e Russia, così da conquistare una sorta di rapporto preferenziale con l’Est?
Oggi, “nell’ora più spaventosa per l’Ucraina e più oscura per l’Europa”, Scholz dichiara infine tutta la sua solidarietà alla Ucraina aggredita, invocando la cessazione dell’azione militare. Gli fanno eco la ministra della Difesa, Christine Lambert, e quella degli Esteri Annalena Baerbock, che però nelle loro dichiarazioni insistono, in maniera abbastanza generica, su una “violazione del diritto dei popoli”, che non avrebbe precedenti nella storia recente, mostrando di non cogliere fino in fondo le implicazioni dell’attacco e le sue conseguenze su uno scacchiere geopolitico più ampio. L’intera dirigenza del governo tedesco pare frastornata e presa di sorpresa. Robert Habeck, ministro dell’Ambiente, esclama: “È avvenuto l’inconcepibile”.
Anche le voci che si levano dall’opposizione, in particolare dalla Cdu-Csu, non sembrano cogliere appieno il nocciolo storico-politico della vicenda che si sta consumando: il portavoce dei cristiano-democratici parla di un “attacco alla democrazia” che rischierebbe, in una prospettiva apocalittica, di coinvolgere anche le altre “democrazie europee”; mentre i giornali conservatori invocano addirittura il riarmo tedesco.
È interessante – e al tempo stesso istruttivo – tornare al gasdotto e riflettere sul fatto che, proprio la realizzazione del Nord-Stream 2, alludeva a un piano più complesso; rimandava a un progetto politico non unicamente dettato da considerazioni di tipo economico. Anzi, voci autorevoli – quale quella di Claudia Kemfert, direttrice dello Dwi, l’istituto tedesco per l’economia – avevano già per tempo segnalato che era dubbia la convenienza e la redditività del gasdotto, se considerata unicamente in termini commerciali. Il progetto, non a caso fortemente voluto a partire già dal 2005 dall’ex-cancellliere Gerhard Schröder, altro alfiere e prosecutore della Ostpolitik (divenuto addirittura per un periodo ascoltato consigliere di Putin), doveva rappresentare, dunque, qualcosa di più di un affare più o meno vantaggioso, e assumeva piuttosto la valenza di un collante politico tra i due Paesi, di un passo in direzione di una collaborazione sempre più stretta. Certo, il crearsi di una eventuale convergenza di interessi tra la principale potenza economica europea e la forza militare di una potenza regionale russa che non celava le sue ritrovate pretese egemoniche, non poteva non preoccupare altri attori geopolitici – dai Paesi baltici alla Polonia, passando per gli Stati Uniti, fino alla stessa Ucraina – che lucrava importanti royalties dal passaggio del gas russo sul suo territorio. Forse anche qui si cela una delle possibili chiavi interpretative di quanto è avvenuto e sta avvenendo.
Scholz, comunque, continua a rimanere aggrappato a quanto può sopravvivere delle relazioni pazientemente tessute con la Russia,dato che è l’unico a opporsi ancora all’espulsione delle banche russe dal sistema di pagamento internazionale Swift. Ma pare ormai consumarsi una frattura che sarà a lungo difficilmente sanabile, e che segna la fine dell’illusione tedesca di un rapporto privilegiato con il gigante russo. Scholz riferirà sabato al Bundestag sulla “situazione attuale”; ma è facile immaginare che si stia aprendo una stagione in cui la Germania e l’Europa dovranno riflettere seriamente su quale rapporto avere con l’ingombrante e aggressivo vicino orientale e dovranno farlo in maniera corale e unitaria.
Ma c’è anche chi adombra un’altra possibile lettura dei fatti. Sulle ceneri della Ostpolitik, si andrebbe disegnando un ben diverso progetto, a fronte del quale il gasdotto Nord-Stream 2 appare una bazzecola: il controllo della “via della seta”, da parte russa, di cui potrebbero essere un segno anche l’intervento in Kazakistan e il recente viaggio di Putin a Pechino. Un controllo che obbligherebbe l’Unione europea, e in particolare la Germania, a scendere a patti con la Russia, pur di mantenere le relazioni commerciali con la superpotenza asiatica… Solo fantapolitica? Chissà.