L’autogoverno dei magistrati ne garantisce l’indipendenza. E ha detto bene, nel 2007, il Consultative Council of European Judges del Consiglio d’Europa, nell’“Opinion” The Council for the Judiciary at the Service of Society: l’indipendenza non è un privilegio dei giudici ma un beneficio per i cittadini e per tutta la società. È ora di liberarci da un “ce lo chiede l’Europa” a senso unico, tutto economia e burocrazia. Quindi non è una diatriba interna, il referendum svolto dall’Associazione nazionale magistrati fra gli iscritti. L’Anm ha dimostrato una bella dose di pazienza, non troncando sul nascere certe idee sbagliate. Ha posto un doppio quesito, sul Consiglio superiore della magistratura: favorevoli o contrari al sorteggio per l’elezione dei togati; sistema elettorale proporzionale o maggioritario.
Del sorteggio si parla da anni come panacea contro le degenerazioni delle correnti: si tratterebbe di una scelta casuale, o magari di un contributo del caso alla scelta, con varie tecniche: sorteggiare una base di candidati e poi votare fra quelli, o sorteggiare i votanti e poi raccogliere i loro voti, o altro. Tutti sistemi barbari che, invece di restituire valore all’autogoverno, lo mortificano; hanno in comune di non scalfire né le ambizioni personali né gli accordi sottobanco.
Non esiste una pietra filosofale contro le manovre di scambio e le pastette. Esiste invece un’ostilità di pancia alle correnti, col ritornello “sono tutti uguali” (smentito dai fatti). Così si oscura la storia italiana: grandi conquiste giuridiche democratiche si devono al contributo della parte più consapevole della magistratura, quando le correnti davano il meglio perché funzionavano come aggregatori di proposte, di coraggio, di lavoro culturale operativo. Erano tempi in cui anche l’eresia e la forzatura costruivano giustizia sociale. Anni in cui un magistrato scriveva in un provvedimento, citando la legislazione fascista: “Visto e disapplicato…”.
Neppure l’obiezione che il sorteggio, se riuscisse a passare per il Csm, alla fine potrebbe essere proposto anche per gli enti locali e il parlamento, sembra scuotere i suoi sostenitori. Qualche forza politica ha osato candidamente parlarne proprio per le Camere; di recente, però, sembra che le ripicche fra demagoghi e la riduzione del numero dei parlamentari abbiano fatto sbiadire questi progetti.
In ambito parlamentare, nel 1993 un referendum disgraziato – quella volta nel popolo e non fra le toghe – mise da parte il sistema proporzionale corretto (non c’era quello puro) e fece vincere il maggioritario promettendo all’Italia novità, modernità, progresso. Da allora la rappresentanza cammina zoppa. In cambio abbiamo avuto una stabilità guercia: l’attuale legislatura ha visto tre governi e numerose geometrie. Per l’autogoverno dei magistrati, poi, il maggioritario non ha senso: il Csm non vota la fiducia a un esecutivo, e se lavora procedendo per maggioranze eterogenee, purché prenda provvedimenti ragionati, tanto meglio. Un Csm con una maggioranza immutabile per tutta la consiliatura, qualsiasi cosa gli passasse sul tavolo, farebbe danni.
L’esito del referendum dell’Anm è stato chiaro, anche se non così schiacciante come sarebbe stato necessario.
Premessa. I magistrati ordinari, secondo il ruolo organico, sarebbero poco più di diecimila e in servizio sono alcune centinaia di meno; gli iscritti all’associazione sono più di novemila. Su nessuno dei due quesiti ha votato la maggioranza degli iscritti, ma sarebbe sbrigativo leggere questo come disinteresse. La materia è già regolata da leggi e gli aventi diritto al voto lo sanno bene: chi non vota, semplicemente non vuole cambiare le cose (e bisogna sottolineare: i promotori del sorteggio certamente hanno votato).
Risultati. Sul sistema elettorale, ha vinto il proporzionale con 3.189 voti, il maggioritario ne ha avuti 745. No al maggioritario, non c’è storia. Sul sorteggio, i contrari sono stati 2.470, i favorevoli 1.787. La sconfitta del sorteggio è evidente, sia prendendo per base il numero dei magistrati in servizio sia prendendo quello degli iscritti all’Anm. Resta il fatto che circa il 18% dei magistrati considera il sorteggio una cosa seria. Quasi uno su cinque: davvero troppi. Il sottinteso bigio e fatalista di questo orientamento – forse da attribuire all’aver visto o subìto bassezze che mettono alla prova l’ottimismo – deve preoccupare.
Ancora. Confrontando le percentuali, si vede che i sostenitori del sorteggio sono vistosamente più di quelli del maggioritario. Risalta, insomma, una percentuale significativa di favorevoli sia al sorteggio sia al sistema proporzionale, contemporaneamente. Sono un migliaio di magistrati. Considerando che il proporzionale è il metodo più fedele per esprimere la rappresentanza, l’idea che, in un votante, il sacrosanto desiderio di scegliere, di dare un voto che conta, possa convivere con quello di affidarsi ai dadi lascia sorpresi.
La voglia di abbandonarsi al caso stride con la cittadinanza, perché ha l’odore della sudditanza e il colore della polvere. La stessa voglia, in un magistrato proprio non va. Anche considerando un sorteggio parziale (prima o dopo il voto, o temperato in altro modo), approvarlo è concettualmente poco lontano dall’ammettere che si possa, magari in parte (su una posta contabile di un credito? sulla colpevolezza di un imputato? sulla pena?), affidare alla sorte un processo. L’ipotesi è meno assurda di quanto sembri, se letta insieme all’ingresso di algoritmi probabilistici nelle consulenze e nelle valutazioni delle prove e, per alcuni aspetti, all’affacciarsi dell’intelligenza artificiale. È oscuro se chi evita di porsi domande su tutto questo approverebbe la conseguenza estrema: la sorte contribuisce all’autogoverno e alle decisioni, quindi che sia lei a ricevere una parte dello stipendio.
Per il bene della società – “lo vuole l’Europa”, potremmo dire – i magistrati devono essere indipendenti. D’altra parte, nella società i magistrati ci vivono, e non sono impermeabili. I grandi centri decisionali sono sempre più distanti; le regole diventano minuziose e astruse; i fenomeni (economici e sanitari, per esempio) ricevono spiegazioni contraddittorie, faziose o fantasiose; l’Italia brulica di bische legalizzate e ogni bar e tabaccheria invita a scommettere. Nulla di più facile, che i dadi cerchino la rivincita anche contro la giustizia.