Solennità, liturgia del protocollo, intensità di un momento di pura e alta formalità che serve a dare sostanza a un passaggio istituzionale delicatissimo per la vita del Paese, com’è la piena assunzione di potere da parte del capo dello Stato. Così è iniziato il pomeriggio nel quale Sergio Mattarella ha giurato la sua fedeltà alla Costituzione e ha parlato al Paese e ai grandi elettori, tutti in gran “tiro”, che lo hanno votato e oggi accolto con un applauso da spellarsi le mani – anche dai banchi degli ultrà di destra meloniani.
Un atto dovuto, visto che Mattarella ha accettato la seconda “chiamata con forte senso di responsabilità”, dopo aver ripetuto in diverse occasioni che non lo avrebbe mai fatto per rispetto della Carta: che non prevede, se pure non esclude, la rielezione del presidente della Repubblica, per evitare di dare potere a un solo uomo per quattordici anni di seguito. Una faccenda molto seria che ci ricorda l’estrema preoccupazione dei padri costituenti nel dare anima alla democrazia.
I vari e noti commentatori hanno fatto precedere il discorso del presidente spiegando che sarebbe stato breve, e che sarebbe stato ben diverso da quello tenuto da Napolitano in occasione della sua seconda rielezione, quando Re Giorgio lanciò diversi strali verso il parlamento che non aveva saputo trovare altre scelte: Mattarella non lo farà, non è nel suo stile.
Eppure, a ben vedere, le sue parole – circa quaranta minuti, non male – non sono volate come soffici ali di vento: il capo dello Stato ha iniziato spiegando che la sua non facile e “travagliata” decisione di accettare “l’inattesa” chiamata è stata figlia di questo tempo: se si fosse prolungata l’incertezza politica, le tensioni nel Paese sarebbero lievitate di giorno in giorno, sempre più alte “mettendo a rischio le risorse” con cui possiamo pensare al futuro.
Quali parole potrebbero suonare più severe e dure nei confronti di una classe politica che non sa districarsi tra le proprie contraddizioni e la necessaria “progettualità” che serve al Paese? Mattarella ha svolto il suo discorso attorno alla parola chiave “dignità”, legandola alla realtà del Paese: dando un quadro delle necessità, delle urgenze, dei problemi, un lungo elenco che è stato via via accolto dalla platea con 53 applausi e standing ovations, per 19 volte, un “su e giù” dai banchi dove siedono i referenti di quel discorso: siete voi che dovete dare risposte, siete voi che dovete saper esprimere “progettualità”, anch’essa parola chiave di un discorso che ha richiamato fortemente il parlamento ai suoi doveri. Anche perché il parlamento “è il luogo della democrazia” ed è necessario “non comprimere i suoi tempi”: parole che suonano molto bene, un chiaro richiamo al governo che sputa un decreto dopo l’altro, soprattutto se si pensa alle insistenze di chi vorrebbe i processi decisionali rapidi e indolori senza tante storie. In questo senso Mattarella ha espresso una visione della democrazia che rassicura rispetto alle pulsioni autoritarie e ai pruriti presidenzialisti che attraversano questo Paese da molti, troppi anni.