Sul finire degli anni Ottanta, Giorgio Ruffolo, all’epoca ministro dell’Ambiente in visita a Genova, rimase sbalordito dalla completa commistione di industria e abitato nel ponente cittadino, tanto da scrivere su “Repubblica” un lungo articolo all’insegna dell’allarme per le possibili conseguenze sulla popolazione di una così inaudita prossimità. Non aveva visto male: tra i lasciti meno nobili del passato industriale a Genova, c’è sicuramente la questione delle scorie tossiche e dei depositi chimici, sparsamente collocati nella città. Una parte consistente di questi materiali, prodotto di risulta delle fabbriche Carmagnani e Superba e del porto petroli, è da tempo stoccato nella località di Multedo, piccolo quartiere di poco più di quattromila abitanti diventato nel corso degli anni, suo malgrado, luogo di accumulo di questi materiali pericolosi.
Nella zona sono presenti diverse aziende etichettate come a “rischio incidente rilevante”, e nella memoria dei genovesi è ancora viva l’eco dell’incidente del 1987, un’esplosione in uno dei depositi sotterranei che costò la vita a quattro operai della Carmagnani. I rischi per chi abita nel quartiere non derivano unicamente dalle caratteristiche dei materiali stoccati, altamente infiammabili, ma anche dalle sostanze che essi rilasciano nell’aria, come aveva già nel 2010 mostrato uno studio epidemiologico dell’Istituto tumori, che aveva messo in evidenza una possibile associazione tra patologie riconducibili alle esalazioni emanate dalle sostanze e prossimità dell’abitato ai depositi. Una sorta di bomba chimica rimasta per anni innescata e sostanzialmente irrisolta.
Per decenni si sono susseguiti gli esposti e le denunce dei cittadini del quartiere per segnalare miasmi legati alla movimentazione di questi materiali tossici. Il demanio portuale di Genova, nella vasta estensione spaziale e nella versatilità di funzioni industriali e commerciali che lo caratterizzano, è stato peraltro oggetto, nel corso degli anni, di svariate indagini e valutazioni per individuare un sito alternativo, senza che l’Autorità di sistema portuale, cui tale compito è demandato, sia mai stata capace di trovare una soluzione.
Negli ultimi mesi, ha fatto perciò molto discutere un’operazione avviata dal sindaco Bucci per ottenere proprio dall’Autorità di sistema portuale lo spostamento dei depositi chimici da Multedo nel porto di Sampierdarena, a Ponte Somalia. Si è parlato di una mossa pre-elettorale, di un ennesimo coniglio tirato fuori dal cilindro da prestigiatore della “giunta del fare”, anche perché, come ha mostrato bene un contributo dell’università, Sampierdarena non rientrava nei siti ipotizzati per la dislocazione delle scorie nell’ambito del miliardario progetto della nuova diga foranea. Progetto che prevede la riorganizzazione delle infrastrutture portuali, e che dovrebbe vedere completamente modificata l’attuale struttura del porto per permettere l’attracco di gigantesche navi portacontainer.
L’ipotesi di spostamento ha suscitato però l’immediata reazione degli abitanti di Sampierdarena, quartiere da tempo caratterizzato da fenomeni di declino e periferizzazione sociale e spaziale, su cui si è inoltre recentemente abbattuta anche la servitù di essere attraversato da una strada di lungo scorrimento, Lungomare Canepa, in cui il traffico si è enormemente intensificato come conseguenza della trasformazione della viabilità cittadina dopo il crollo del Ponte Morandi. Gli abitanti della zona temono di dovere subire tutte le conseguenze dello spostamento di queste sostanze pericolose in un’area prossima alle case; e intravedono rischi non solo per quanto riguarda la salute, ma anche per l’eventuale ulteriore intensificazione del transito di mezzi pesanti, con il conseguente deprezzamento di appartamenti che già da tempo vengono svenduti a meno di metà del valore che avevano una decina di anni fa.
La scelta di delocalizzare i depositi chimici di Multedo presso il Ponte Somalia appare, inoltre, una scelta intempestiva e in fondo anacronistica, che contrasta fortemente con gli sbandierati obiettivi della sostenibilità e della green economy. Spostare la bomba chimica a Sampierdarena vuole dire infatti ricentralizzarla, sia rispetto alla città sia rispetto alle stesse strutture portuali. La concessione dell’area a Ponte Somalia, tra l’altro, non è temporanea, ma dovrebbe avere la durata di cinquant’anni, e costituisce un’ipoteca di lungo periodo sullo stesso futuro della città.
La zona individuata a Sampierdarena è piuttosto vasta – circa 77mila mq –, il che potrebbe schiudere la strada a qualcosa di più della mera ricollocazione di depositi invadenti e pericolosi, e cioè alla creazione di un vero e proprio “porto chimico”, non isolato e circoscritto come avveniva per il porto petroli di Multedo, ma nel bel mezzo del porto commerciale, a dispetto di qualsiasi previsione pianificatrice e delle regole di sicurezza della navigazione, con potenziali ripercussioni anche sul turismo cui si vorrebbe affidare buona parte del rilancio di Genova.
Certo, dal punto di vista del sindaco con Ponte Somalia si raggiungerebbe l’obiettivo di liberare finalmente un quartiere della città dall’incubo dei depositi chimici e di guadagnarsi voti importanti per la sua rielezione nelle elezioni comunali che si approssimano. Che lo stesso problema lo si trasferisca in un altro quartiere – le cui case si troveranno a poche centinaia di metri da depositi di sostanze infiammabili e tossiche classificate con il più alto grado di pericolosità, mentre le strade saranno percorse da autobotti e ferrocisterne –, non pare tuttavia suscitare la stessa preoccupazione. Intanto gli abitanti di Sampierdarena si sono costituiti in un combattivo comitato.
Comunque si concluda, e da una prospettiva più ampia, la vicenda non può non riportare alla mente esempi di governance tipici delle metropoli terzomondiali, in cui, nella impossibilità di fornire servizi decenti a tutti, a un quartiere si dà e a un altro si sottrae, con il meccanismo tipico del “carta vince, carta perde”, a seconda della convenienza e degli interessi economici ed elettorali che le amministrazioni scelgono di volta in volta di tutelare.