“La camorra è dovunque”. È il titolo della recente intervista rilasciata a Giuseppe Grimaldi del “Mattino” da Alessandro Giuliano, questore di Napoli. In tempi di fiction e di “Gomorra” sembra un titolo forzato per chi non vive a Napoli. Come se la rappresentazione negativa della città rispondesse di più a un cliché antropologico-culturale che alla cruda realtà. Siamo ancora immersi nella narrazione dello stragismo dei Corleonesi o nella esaltazione della potenza militare e di penetrazione della ’ndrangheta. Un giorno forse dovremmo raccontare le ragioni del prevalere di certe rappresentazioni rispetto alle vere emergenze che la realtà ci consegna, giorno dopo giorno. Perché, che la camorra sia diventata un’emergenza nazionale, ne sono consapevoli i rappresentanti istituzionali, anche se l’opinione pubblica non ne è a conoscenza. E che la ’ndrangheta dilaghi, conquisti pezzi di territori nel Nord-est, che insomma colonizzi l’Italia, nessuno sembra accorgersi.
Fa impressione leggere lo studio della Banca d’Italia, La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica, di Sauro Mocetti e Lucia Rizzica. Fa impressione soprattutto perché parla del presente, anche della pandemia e dell’attualità del potere economico delle mafie:
“L’espansione delle organizzazioni criminali può essere facilitata e accelerata anche da shock economici di natura congiunturale. A fronte di particolari difficoltà economiche e finanziarie, cittadini e imprese potrebbero infatti ricorrere alle associazioni criminali in virtù della capacità di queste ultime di fornire liquidità in quantità ingenti e tempi rapidi. In tal modo le organizzazioni mafiose riuscirebbero sia ad ottenere il controllo di un maggior numero di attività produttive a basso costo, sia a rafforzare il proprio consenso sociale tra la popolazione. Le Moglie e Sorrenti (2020), per esempio, mostrano come la crisi finanziaria del 2008, e la conseguente stretta creditizia, abbiano avuto effetti più contenuti, in termini di demografia d’impresa, nelle province con una più marcata presenza mafiosa. In queste aree, infatti, le organizzazioni criminali sarebbero state in grado di iniettare liquidità e investire capitali anche durante il ciclo economico sfavorevole rafforzando così la loro posizione di potere”.
E ancora: “L’attuale emergenza pandemica rappresenta una sorta di esperimento naturale per valutare la relazione tra uno shock economico (negativo) esogeno e l’infiltrazione mafiosa. Per analizzare questa relazione abbiamo costruito un indicatore di intensità della crisi, definito come la variazione del Pil tra il 2019 e il 2020 a livello di settore di attività economica (usando i conti nazionali dell’Istat). La variazione dell’infiltrazione mafiosa è stata invece ottenuta tramite l’indagine presso le imprese condotta dalla Banca d’Italia, in cui si chiedeva la loro percezione della rilevanza del problema nel 2019 e nel 2020″.
“Agli intervistati è stato chiesto di indicare quanto ritenessero probabile che al titolare di un’impresa operante nella stessa area geografica e settore accadesse di: (a) ricevere un prestito fuori dai canali ufficiali (ad esempio banche e società finanziarie); (b) ricevere un’offerta di acquisto della propria attività a condizioni insolite (ad esempio in termini di prezzi, tempi e/o modalità di pagamento); (c) ricevere minacce, intimidazioni o tentativi di estorsione”.
“Sulla base dell’indagine, la percentuale di imprese che ritiene abbastanza o molto probabile che si siano verificati fenomeni legati alla criminalità organizzata nel mercato in cui operano è passata dal 9% nel 2019 al 16 nel 2020, con un aumento sensibilmente maggiore di reati di natura finanziaria (acquisizioni e/o finanziamenti insoliti) rispetto a quelli violenti (intimidazioni, minacce e tentativi di estorsione). Pur essendo più diffusa nel Mezzogiorno, la percezione delle imprese sull’entità dell’infiltrazione mafiosa nell’anno interessato dal Covid-19 è aumentata maggiormente nel Centro-nord, trainata dal fenomeno delle acquisizioni insolite. La maggiore variazione nel Centro-nord potrebbe essere spiegata dalle maggiori opportunità di investimento per le mafie in tale area (a fronte di un mercato più prossimo alla saturazione nel Mezzogiorno), da un lato, e dalla più forte caduta dei livelli di attività per il Covid-19 nella stessa area, dall’altro”.
Leggendo l’indagine Bankitalia sul potere economico mafioso, un dato su tutti lascia sgomenti: “I volumi di affari legati alle attività illegali – attraverso le quali la criminalità organizzata si finanzia e si arricchisce – sono ingenti e si può stimare che rappresentino oltre il 2% del Pil italiano (3mld e 600 milioni di euro) (Transcrime 2015, Istat 2021). A tali valori occorre poi aggiungere i proventi delle mafie ottenuti attraverso l’infiltrazione nell’economia legale. La rilevanza economica del fenomeno mafioso, tuttavia, non si esaurisce con questi (pur rilevanti) esercizi contabili. Vi sono evidenze, in particolare, che la presenza delle organizzazioni criminali in un certo territorio ne freni in misura significativa lo sviluppo economico nel lungo periodo”.
Lo studio della Banca d’Italia avverte che dal punto della metodologia della ricerca si sono introdotti approcci innovativi. “L’indice di presenza mafiosa proposto, coerentemente con altre analisi condotte in passato, mostra valori più elevati nel Mezzogiorno e, in particolare, in alcune aree quali la Calabria, la Sicilia (in particolare la parte occidentale), la Campania (soprattutto a Caserta e Napoli) e la Puglia (principalmente nel Foggiano). Tuttavia, la presenza mafiosa risulta significativa anche in alcune aree del Centro-nord. La distribuzione geografica assume inoltre connotazioni molto diverse a seconda che si considerino indicatori che catturano maggiormente la dimensione del controllo del territorio (power syndicate), più marcata nel Mezzogiorno, o quella relativa allo svolgimento di attività illecite (enterprise syndicate), più diffusa sul territorio”.
“Analizzando i fattori che hanno determinato la distribuzione spaziale del fenomeno mafioso, la letteratura economica esistente si è concentrata soprattutto sulla nascita di Cosa Nostra in Sicilia. Nel lavoro analizziamo delle variabili che ci portano ad affermare che le mafie si sono indirizzate prevalentemente verso le province che erano caratterizzate da un Pil pro capite più elevato e da una maggiore dipendenza dell’economia locale dalla spesa pubblica e, quindi, verso territori con maggiori opportunità di investimento. Ovviamente la rilevanza del fenomeno mafioso non è circoscrivibile alla sola dimensione economica e sulle origini e gli effetti della criminalità organizzata sono stati scritti molti articoli e libri prediligendo, a seconda del caso, l’approccio storico, quello sociologico o quello criminale”.
Cosa sta accadendo alle mafie nel contesto dell’attuale fase pandemica? Un dato preoccupa: “La percezione delle imprese rispetto al livello di infiltrazione delle organizzazioni criminali è significativamente aumentato soprattutto in quei settori (come i servizi di alloggio e ristorazione o l’industria tessile) in cui i livelli di attività economica sono diminuiti in maniera più consistente a causa del Covid-19. L’infiltrazione mafiosa sarebbe avvenuta principalmente tramite il finanziamento e/o l’acquisizione della proprietà delle imprese – sfruttandone la vulnerabilità economico-finanziaria – e relativamente meno attraverso strumenti coercitivi (come intimidazioni o estorsioni)”.
“Secondo le stime dell’Istat, nel 2019 le attività illegali (che sono spesso gestite dalle organizzazioni criminali e i cui proventi sono in buona parte reinvestiti nell’economia legale) rappresentavano l’1,1% del Pil (Istat, 2021). Tale valore, tuttavia, rappresenta una sottostima dei volumi di attività delle mafie”.
Spiega ancora lo studio di Bankitalia: “I dati dell’Istat includono solo il valore del commercio di sostanze stupefacenti, dell’attività di prostituzione e del contrabbando di sigarette e di alcol mentre escludono altre tipologie di attività illegali quali l’estorsione, la contraffazione, l’usura, la gestione illecita del ciclo dei rifiuti, le scommesse, ecc. Secondo le elaborazioni di Transcrime (2015), le tre attività illegali considerate dall’Istat rappresenterebbero circa la metà dei ricavi ottenuti dal complesso delle attività illegali. Si può quindi ragionevolmente affermare che il complesso di tali attività rappresenti oltre il 2% del Pil”.
“Ma i proventi dalle attività illegali non esauriscono i volumi di affari delle mafie. L’infiltrazione nelle imprese, ad esempio, viene utilizzata sia per riciclare i proventi illeciti sia per generare valore aggiunto addizionale. È inoltre ragionevole ipotizzare che parte dell’economia sommersa (per sotto-dichiarazione degli operatori economici e/o per l’impiego di lavoro irregolare) sia anch’essa riconducibile alla criminalità organizzata”.
“Misurare l’intensità del fenomeno mafioso è complesso perché le azioni e le attività delle mafie sono nascoste per definizione, sfuggono alle rilevazioni statistiche e, spesso, alle attività investigative. Esse, inoltre, hanno confini labili che rendono difficile individuare le singole fattispecie criminali”.
Lo studio riporta alcuni dati ricavati da fonti istituzionali e istituti di ricerca: “Secondo Transcrime (2015), i ricavi dalle attività illegali sarebbero circa 26 miliardi di euro, derivanti principalmente da droghe (7,7), estorsioni (4,8), prostituzione (4,7), contraffazione (4,5) e usura (2,2)”.
“Secondo Mirenda et al. (2021) il fatturato delle società di capitali presumibilmente infiltrate dalla ’ndrangheta nelle regioni centro-settentrionali è intorno al 2% del totale. Il complesso dell’economia non osservata vale oltre 200 miliardi di euro, l’11,3 per cento del Pil (Istat, 2021). Guardando alle sue componenti principali, l’economia non osservata è attribuibile per quasi la metà alla sotto-dichiarazione degli operatori economici e per oltre un terzo all’impiego di lavoro irregolare, mentre le attività illegali rappresenterebbero circa un decimo del totale”.
“Il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite è uno dei più insidiosi canali di contaminazione tra l’economia legale e quella illegale. La distribuzione territoriale dei flussi finanziari illeciti può, tuttavia, non coincidere con quella dell’attività di riciclaggio. Le organizzazioni criminali, specie quelle più strutturate, sono infatti in grado di canalizzare i proventi della propria attività illecita verso le piazze finanziarie più sviluppate, sia per rendere più difficile l’individuazione dell’origine dei flussi, sia per ottenere rendimenti più elevati”.
Lo studio di Bankitalia si sofferma inoltre sulla geografia della presenza mafiosa: “Le province con un più alto indice di presenza mafiosa sono concentrate in Calabria (in particolare Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia), Campania (soprattutto a Caserta e Napoli), Puglia (principalmente nel Foggiano) e Sicilia (in particolare nella parte occidentale dell’isola). La presenza mafiosa non è tuttavia circoscritta alle province del Mezzogiorno, quelle del Centro-nord con un indice più elevato sono Roma, Genova e Imperia. I territori con una minore presenza della criminalità organizzata sarebbero, invece, le province del Triveneto, la Valle d’Aosta e l’Umbria”.
“Sulle percezioni della diffusione del fenomeno si basano i confronti internazionali. Ogni anno il World Economic Forum pubblica un set di indicatori, aggregati poi nel macro-indicatore Global Competitiveness Indicator, tra i quali è inclusa anche una domanda agli esperti di ciascun Paese sui costi imposti alle imprese dalla presenza della criminalità organizzata. Secondo tale indagine, l’Italia è il paese dell’Unione europea, dopo la Bulgaria, in cui tali costi sono più elevati. Facendo più diretto riferimento alle politiche di contrasto alla criminalità organizzata, Fenizia e Saggio (2021) si concentrano sugli impatti sui livelli di attività economica dello scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa. Essi trovano, in particolare, che circa un decennio dopo lo scioglimento del comune, l’occupazione risulta più elevata di circa il 17%”.
“In relazione agli indicatori oggettivi, si osserva che nel Mezzogiorno, e in particolare, in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, si sono concentrati oltre il 90% degli omicidi di stampo mafioso, delle denunce delle forze di polizia all’autorità giudiziaria per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e dei comuni sciolti per mafia. Anche le infiltrazioni nelle imprese sono concentrate soprattutto nel Mezzogiorno ma una quota rilevante riguarda territori al di fuori dei confini tradizionali delle mafie: oltre il 30% delle imprese confiscate alle mafie erano infatti localizzate nel Centro-nord. Indicazioni analoghe, sebbene più sfumate, emergono dall’analisi dei reati ‘spia’ della presenza mafiosa associati al controllo del territorio. La distribuzione territoriale che più si discosta dalle altre è quella relativa ai reati ‘spia’ di attività illecite, che risultano più diffusi lungo la dorsale tirrenica, tra la Liguria e la Campania. Queste evidenze suggeriscono che le regioni del Centro-nord non possono considerarsi immuni, sebbene il fenomeno mafioso in questa area del Paese assuma connotazioni parzialmente diverse. Le percezioni delle imprese, infine, forniscono indicazioni in linea con i dati oggettivi che contribuiscono ad arricchirne ulteriormente il contenuto informativo e corroborarne l’affidabilità. Con riferimento alle estorsioni, per esempio, l’indice di vittimizzazione, la percezione delle imprese sulla diffusione del fenomeno e i reati effettivamente denunciati dalle forze dell’ordine risultano correlati positivamente ma non in misura elevata, suggerendo quindi che essi catturano fenomeni simili ma non del tutto sovrapponibili e quindi possono completarsi a vicenda”.