Il sole che ride ammiccante, associato alla scritta Atomkraft nein danke (“energia atomica no grazie”), è un ricordo che accompagna tutta una generazione di militanti antinucleari. I verdi tedeschi sono stati tra gli antesignani del movimento di critica all’impiego del nucleare per la produzione di energia già molto prima della catastrofe di Chernobyl. Ricordo che da ragazzo mi colpì il racconto di un amico che descriveva la loro presenza di massa e la loro organizzazione durante quella che è passata alla storia come la “battaglia di Malville” del 1977, una giornata di scontri violenti che si svolsero intorno a un’allora costruenda centrale francese, e a cui parteciparono anche molti militanti italiani. Questo avveniva ancor prima che si costituissero formalmente in partito nel 1980, e cominciassero il loro lungo processo di conquista delle istituzioni.
Oggi che i verdi sono uno degli elementi integranti della coalizione che governa la Germania, non è difficile immaginare come la decisione di includere il nucleare nella “tassonomia verde” delle energie in cui investire per la transizione ecologica dell’Unione europea sia stata tormentata, e abbia scosso non poco le acque all’interno della coalizione. Due importanti ministri del governo, Robert Habeck, che presiede al dicastero Economia e protezione del clima, e Steffi Lemke, che sta all’Ambiente, hanno espresso durissime critiche alla decisione presa in sede europea. Habeck ha liquidato con disprezzo tutta la faccenda come greenwashing, mentre Lemke ha tuonato alla radio di una “gravissima falsificazione” in corso, pur ammettendo che sarà difficile “fare macchina indietro”.
Con la consueta prudenza, il cancelliere Olaf Scholz si è astenuto dal commentare le sortite arroventate dei suoi ministri, e il portavoce del governo ha semplicemente ammesso che in sede di Consiglio europeo i Paesi critici nei confronti del nucleare si sono trovati in minoranza rispetto a quelli favorevoli. È certo che Scholz, pur nel suo estremo pragmatismo, non ha granché gradito una scelta che lo mette in difficoltà non solo nei confronti degli alleati, con cui ha sottoscritto un programma di governo in cui il nucleare è messo definitivamente al bando, ma anche all’interno del suo stesso partito in cui non mancano le voci critiche rispetto all’impiego di questa fonte energetica.
Non sono solo i Grünen, che hanno l’antinuclearismo scritto nel loro Dna, a essere scontenti dalla decisione presa in sede europea: perfino il moderatissimo Christian Lindner, leader dei liberali, pur rimanendo cauto sulle scelte europee, considerate “giuridicamente corrette”, ha ribadito senza mezzi termini che sul nucleare “non si torna indietro”, e che per quanto riguarda la Germania si continuerà nel programma di spegnimento progressivo delle ultime tre centrali rimaste attive sul territorio tedesco. Programma che peraltro non è dovuto alla coalizione “semaforo”, ma risale a una decisione della cancelliera Merkel nell’immediato dopo-Fukushima nel 2011, e che era già nelle corde del cancellierato Schröder. Va anche ricordato che i liberali si sono sempre smarcati dalle posizioni ambientaliste più oltranziste, innalzando la bandiera delle “tecnologie” necessarie per la transizione energetica, e hanno spesso rimproverato ai verdi di volere proibire troppo e di sapere dire solo di no.
In realtà, dietro la scelta europea di includere nucleare e gas tra le energie suscettibili di finanziamenti non ci sono solo i paesi dell’est, in cui continuano a funzionare vecchie centrali di fabbricazione sovietica, ma anche e soprattutto la Francia. Secondo quanto scrivono i giornali francesi durante il loro incontro del dicembre scorso Macron avrebbe manovrato in modo da fregare Scholz, mediante una sorta di gioco delle tre carte, con cui non solo è riuscito a difendere le cinquantasei centrali francesi ancora operanti, in buona parte obsolete, ma ha centrato al tempo stesso l’obiettivo di mettere in luce la fragilità del programma energetico tedesco, che dovrà forzatamente affidarsi al gas se vuole realizzare l’obiettivo programmatico di fuoriuscita dal carbone entro il 2030. Insomma la partita nucleare /gas si è giocata insieme, e Scholz, pur vedendo sostanzialmente sconfitte molte delle sue istanze, nell’incontro con Macron ha portato a casa almeno il risultato di vedere le centrali elettriche a gas tedesche classificate come “sostenibili”, esattamente come il nucleare francese. D’altro canto l’ambizioso programma tedesco di fuoriuscita accelerata dal carbone appare di delicata e complessa realizzazione, tanto che il “Wall Street Journal” lo ha potuto recentemente svillaneggiare e mettere in ridicolo come “il programma energetico più stupido del mondo”.
In ogni caso, si prospetta ora una fase di negoziati estremamente difficili: il governo tedesco si è lasciata aperta la decisione su come comportarsi rispetto al testo europeo, che sarà esaminato nei prossimi giorni dalla Cancelleria, dal ministero dell’Economia e da quello dell’Ambiente. Tutto lascia pensare che non mancheranno tensioni di rilievo dato che i Grünen si giocano una parte importante della loro credibilità nei confronti di una base che non ha per nulla gradito il documento. Stefan Wenzel, deputato verde responsabile per le questioni ambientali al Bundestag, ha dichiarato laconicamente che “l’Europa sta perdendo troppo tempo sulla querelle intorno alla tassonomia. Alla fine sarà la tecnologia più economica e più sostenibile a imporsi. E, allo stato attuale delle cose, si tratta delle energie rinnovabili”.
Al di là di queste considerazioni estremamente generiche, volte più che altro a rassicurare, rimane bruciante la ferita dello scandalo che la decisione europea ha suscitato in Germania. Malignamente il deputato della Csu, Markus Ferber, ha commentato che “il governo ha miseramente fallito il suo primo test a Bruxelles”, ed è certo che anche sul da farsi ora le diverse anime della coalizione “semaforo” si presentano divise. Se i verdi e una parte della base Spd appaiono indignati, e vorrebbero bloccare la decisione europea, i liberali appaiono molto più prudenti. Lukas Köhler, vicepresidente del gruppo parlamentare liberale, ha detto che il blocco non rappresenta una opzione, e ha aggiunto che “non ci sarà una maggioranza qualificata contro la proposta della Commissione europea sulla energia nucleare”. Pare improbabile, dunque, che si raggiunga una posizione comune di rifiuto in toto dell’accordo; si vocifera di una semplice astensione in sede di votazione, mentre nel frattempo la partita del nucleare europeo pare fuoriuscire dai confini tedeschi per assumere sempre più i contorni di una grande questione geopolitica, in cui si misurano diversi orientamenti di leadership e diversi progetti di Europa a venire.