Erano pochi i deputati in aula alla Camera, l’altroieri 13 dicembre, durante la prima discussione in plenaria del disegno di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita o suicidio assistito. E benché la discussione, durata quattro ore, sia stata di “alto profilo”, si è risolta con un bel rinvio a febbraio, dopo la rinuncia alla replica da parte dei relatori, Alfredo Bazoli del Pd e Nicola Provenza dei 5 Stelle. Quindi il testo, frutto del lavoro difficile e delicato delle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali, approvato il 9 dicembre scorso, rivedrà la luce solo dopo l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, tema che sta ben più a cuore a tutte le forze politiche.
“È un giorno storico per i diritti civili in questo Paese: l’approdo in aula del testo sul fine vita, dopo tre anni dalla sua prima calendarizzazione e molti rinvii, concretizza la possibilità di far fare un salto in avanti al nostro Paese che potrà dotarsi di norme certe per andare incontro ai malati senza speranza” aveva dichiarato il presidente della commissione Giustizia della Camera, il grillino Mario Pierantoni. Ma si potrebbe dire di più: erano almeno quindici anni che si aspettava una legge sul suicidio medicalmente assistito, almeno dalla morte di Piergiorgio Welby avvenuta nel 2006.
È chiaro che la mediazione in sede di commissione sia stata dura e feroce: il testo è stato approvato con i voti di Pd, Liberi e uguali, Italia viva, +Europa e 5 Stelle, e, nonostante il voto contrario di tutto il centrodestra, si tratta di un testo sostanzialmente modificato rispetto alla sentenza della Consulta del 2019, riguardante il caso di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo – accompagnato in Svizzera nel 2017, da Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, per ricevere la “dolce morte”. I punti intorno a cui si è trovata una convergenza sono stati quelli della introduzione della obiezione di coscienza per il personale sanitario, della retroattività per tutti i casi precedenti l’entrata in vigore della legge, e della eliminazione della sola sofferenza psichica dai requisiti necessari per poter richiedere il suicidio assistito, collegando così la sua richiesta alle sofferenze fisiche in modo indissolubile. Devono insomma esserci entrambe le forme di sofferenza, fisica e psichica, per poter volere la propria morte.
Invece, tra i punti nodali di dissenso, quello riguardante la sperimentazione in prima battuta delle cure palliative come conditio sine qua non per poterle poi rifiutare e accedere al percorso che conduce alla morte volontaria assistita, e la necessità che la malattia debba essere caratterizzata non solo da una clinica irreversibile ma anche da una prognosi infausta. Benché il presidente Pierantoni ritenga che si tratti di “un buon testo al quale hanno partecipato tutti”, e che verrà approvato perché “sarebbe un errore gravissimo affossarlo per pretendere di più”, nulla ci pone al riparo da un prossimo eventuale voltafaccia da parte di chi finora si è dichiarato a favore. La sorte del disegno di legge Zan, di recente affossato dai franchi tiratori renziani, purtroppo fa scuola.