Misurare è conoscere, proclamava nella fase pionieristica dell’industrializzazione del Diciannovesimo secolo il capostipite dei grandi ingegneri inglesi, Lord Kelvin. Si era nella fase della prima rivoluzione tecnologica, quando la grande corsa della misurazione della natura in termini scientifici, iniziata più o meno nel Tredicesimo secolo, era giunta a un tornante decisivo, quello della meccanizzazione. Da allora siamo oggi alla fase delle psico-tecnologie, in cui si misurano pensiero e desiderio e non solo i fenomeni naturali. È vero quel che è certo, ed è certo quel che è misurabile, sintetizza Mauro Magatti nel suo Oltre l’Infinito (Feltrinelli). E oggi solo pochi soggetti, quali i grandi centri tecnologici della Silicon Valley, hanno il potere di misurare, e dunque di segnare, quel fondamentale confine fra il vero e l’incerto.
Amazon sta esercitando con tracotanza questo potere e l’Authority della concorrenza italiana è arrivata a comminare una multa per più di un miliardo di euro per aver esercitato la sua posizione dominante in maniera discriminatoria e penalizzante per i competitori. Si tratta però, per quanto deciso dall’Authority, di un aspetto collaterale dell’azione del gruppo di Bezos: avere privilegiato le proprie strutture logistiche nella visibilità delle merci da vendere sulla propria piattaforma di e-commerce. In sostanza venivano premiati coloro che si avvalevano dei servizi Amazon rispetto alla concorrenza. Ma davvero Amazon guadagna in questo modo?
In realtà, quanto ha sanzionato l’Autorità italiana è un aspetto largamente minore e parziale della reale attività del gruppo monopolistico americano. Cerchiamo di mettere a fuoco quale sia la vera distorsione che sta rivoluzionando dall’interno lo stesso mercato capitalistico da parte di uno dei suoi più rilevanti agenti, quale è appunto Amazon. Cosa fa concretamente il gigante americano?
Amazon semplicemente sfrutta un doppio ruolo – operatore del mercato e commerciante sul mercato – in due modi: primo, implementando politiche di mercato che privilegiano il proprio marchio come produttore e venditore di singole merci, esercitando un controllo totale su marchi e prezzi dei concorrenti che sono costretti a transitare sulla sua piattaforma e, secondo, appropriandosi delle informazioni commerciali di tutti i terzi agenti operativi sul mercato, siano essi clienti o concorrenti diretti, per profilarli, tracciarli, programmarli e prevenirli.
Un modo in cui Amazon ha favorito i beni e i servizi di Amazon è con il presentarsi come il venditore predefinito, anche quando i venditori del marketplace hanno offerto prezzi più bassi. Un’indagine di ProPublica ha scoperto che Amazon ingegnerizza il suo algoritmo di classificazione per favorire i propri prodotti e quelli venduti dai commercianti che acquistano i servizi logistici e commerciali che il gruppo vende. In sostanza, è come se il titolare di un’unica vetrina in una strada molto frequentata sia anche il titolare di una larga parte dei prodotti che vengono messi in bella mostra su quella vetrina – a danno dei concorrenti che rimangono in fila ad attendere uno scampolo di visibilità. In questo modo si stima che l’82% delle vendite di Amazon si realizzi proprio grazie al privilegio di essere al primo posto, cioè nella posizione privilegiata per raggiungere i clienti, nonostante si tengano delle aste per aggiudicarsi quella collocazione: chiunque vinca la Buy box di Amazon fa vincere, alla fine, sempre e solo Amazon.
E questa azione truffaldina è solo l’atto finale di una ben più grave e destabilizzante strategia che altera i margini minimi della trasparenza del mercato. Amazon, infatti, è essenzialmente un’azienda di storage, cioè di gestione delle memorie e dei data base, che monopolizza le informazioni sensibili di gran parte dell’umanità. Solo nel nostro paese i cloud della pubblica amministrazione, in ultima istanza, risalgono ad Amazon per circa il 70%. E l’imminente nuova architettura del cloud unico, a cui sta lavorando il ministro Colao, si appoggerà inevitabilmente, per segmenti rilevanti, ancora su quella infrastruttura.
Contemporaneamente, Amazon combina le informazioni che custodisce nei suoi cloud con quelle che ricava dalla movimentazione di oltre sette miliardi di pacchi all’anno in tutto il mondo, ricavando una profilazione completa di decine di milioni di utenti. È questa la vera discrasia da regolare, il reato da impedire. E non riguarda solo Amazon, ma tutto il mercato digitale.
Concretamente Amazon è l’unico soggetto – in un mercato che, per quanto malato, squilibrato e artefatto dalle vocazioni monopolistiche dei suoi protagonisti, mantiene comunque un’alea di incertezza nella previsione dei comportamenti dei consumatori agli occhi dei venditori – che gioca a carte scoperte, creando quella cosiddetta correlazione in grado di determinare, mediante continui e incessanti calcoli algoritmici, ogni diretta conseguenza evolutiva nei comportamenti che vengono registrati sulla sua piattaforma. Le grandi piattaforme del capitalismo della sorveglianza, per dirla con Shoshana Zuboff, si trovano in mano una potenza del tutto inedita e incontrollata per la storia del mercato: sanno, a volte prima ancora degli interessati, cosa vogliono e come lo vogliono i propri clienti. E hanno gli strumenti per interferire su di loro, cosicché – conclude nel suo saggio la Zuboff – “questi gruppi della sorveglianza sanno troppo per essere liberi”.
In particolare il mercato viene distorto e squilibrato, in modo molecolare, mediante il meccanismo del cosiddetto pricing discriminatorio, come ha denunciato il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, nel suo saggio Popolo, potere e profitti (Einaudi): poiché l’intelligenza artificiale e i megadati consentono alle piattaforme di stabilire quale sia il valore che ciascun individuo attribuisce ai diversi prodotti, e che quindi è disposto a pagare, essi danno a queste aziende il potere di discriminare i prezzi, “facendo pagare di più a quei consumatori che hanno più bisogno di quella merce o che hanno meno opzioni”.
A questo punto non si tratta più di procedere con interventi palliativi, occasionali multe che, per quanto rilevanti, rimangono episodi marginali nel flusso continuo di immensi profitti accumulati, e soprattutto nella dinamica distorta di quella risorsa che era sempre rimasta inviolata nel capitalismo industriale, cioè appunto il processo psicologico di organizzazione della relazione fra valori, bisogni e azioni che ogni individuo organizza nella sua esistenza di tutti i giorni. Siamo in presenza di un salto di qualità nella sopraffazione che la proprietà esercita nei confronti dello scenario sociale in cui agisce. Non si tratta più di mitigare gli eccessi di una prevaricazione nell’esercizio della produzione e della distribuzione da parte dei detentori dei mezzi di produzione; siamo dinanzi a un’omologazione preventiva di intere popolazioni e meccanismi neurali, che non sono nemmeno percepiti dai consumatori come intrusioni da parte dei proprietari degli algoritmi.
Quando la merce che una piattaforma distribuisce, riproducendo il meccanismo che abbiamo sommariamente riassunto per Amazon, mediante l’accumulo dei dati individuali, la combinazione di questi dati fra loro e la capacità infinita di calcolo per estrarre da questi dati alchimie psico-attitudinali degli utenti – non beni di consumo materiali, ma beni immateriali, come sensazioni, emozioni, valori o più consuetamente informazioni –, cosa accade? Accade quanto è già accaduto con Cambridge Analytica: salta il banco della democrazia e bisogna faticosamente risalire all’origine di questa manomissione. Ma ogni volta il meccanismo è meno individuabile, meno rilevabile, meno arginabile. Dunque è indispensabile arginare questa forma di arbitrio, neutralizzando la materia che rende asimmetrica la relazione sociale: il controllo dei dati medianti algoritmi.
Non si tratta di sanzionare un eccesso, quanto piuttosto di stroncare una spirale di sostituzione del diritto con la potenza di calcolo privata. Questo è oggi in gioco. C’è un partito, un sindacato, un movimento capace di organizzarsi su questo crinale per ricostruire modelli di conflitto?