Alla fine, dopo mesi di battaglie unitarie, di manifestazioni e di piazze gestite insieme, di comizi pubblici a tre voci, alla fine – sulla manovra – i sindacati si sono divisi: Cgil e Uil hanno indetto uno sciopero di otto ore per il prossimo 16 dicembre, con manifestazione nazionale a Roma dove parleranno i due leader, rispettivamente Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, in contemporanea con lo svolgimento di analoghe iniziative interregionali in altre quattro città. La Cisl non ci sarà. Al centro della decisione di scioperare ci sono soprattutto le misure sui capitoli fisco e pensioni della legge di Bilancio. Viene in particolare contestata la decisione del governo di ridurre di un miliardo il previsto taglio dell’Irpef per lavoratori e pensionati: si è passati, infatti, da otto a sette miliardi. Cgil e Uil criticano anche la scelta di intervenire sulle aliquote invece che solamente attraverso le detrazioni e la decontribuzione per concentrare i vantaggi sui redditi bassi e medio-bassi.
Messaggi dal Palazzo
Palazzo Chigi si limita a osservare che la manovra è “fortemente espansiva”. Il governo – dicono – ha sostenuto lavoratori dipendenti e pensionati e famiglie con i fatti. Ed Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture, ha dichiarato a “Rai news 24”: “C’è una prospettiva di investimenti nei prossimi dieci anni, un punto sollevato più volte dai sindacati negli anni scorsi perché sono gli investimenti che creano sviluppo e buona occupazione. Come ha detto il ministro Orlando, c’è spazio ancora per discutere. Il mio auspicio è che questa discussione avvenga ed eventualmente si tenga presente una serie di proposte che possono venire dal mondo sindacale”.
Un messaggio che è stato colto dalla Cisl. Il segretario generale, Luigi Sbarra, lo aveva d’altra parte fatto capire subito dopo l’ultimo incontro con Draghi. “L’85% degli sgravi verrà destinato alle fasce di reddito sotto i cinquantamila euro per lavoratori dipendenti e pensionati. Di questi, quasi il 50% riguarderanno i redditi fino a ventottomila euro”. Secondo la Cisl il governo Draghi, almeno per quanto riguarda le decisioni sulle tasse, starebbe facendo meglio del precedente governo Conte. Cgil e Uil criticano, però, non solo le decisioni in campo fiscale, ma anche le scelte del governo sulla scuola, sulle politiche industriali, sul contrasto alle delocalizzazioni, alla precarietà del lavoro, soprattutto dei giovani e delle donne, sulla non autosufficienza.
La decisione di Cgil e Uil
“Le decisioni si prendono di fronte alle decisioni che il governo ha assunto”. Lo aveva spiegato già la scorsa settimana il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, dopo l’incontro con il governo sulla manovra e sulla riforma fiscale, e dopo aver ricevuto una telefonata dallo stesso presidente del Consiglio Draghi e dal ministro dell’Economia, Daniele Franco. Il leader della Cgil ha spiegato poi il giudizio di insoddisfazione rispetto alle posizioni del governo davanti al direttivo nazionale della scorsa settimana, che aveva già cominciato a discutere le date possibili di uno sciopero generale nazionale, senza votare un ordine del giorno conclusivo perché sarebbe stato ripetitivo rispetto alle decisioni e agli indirizzi presi nell’assemblea precedente. Con la decisione della Uil, si è quindi deciso di andare avanti con l’idea di una fermata generale. Lo scontro è dunque su tasse e pensioni, perché le tante promesse del governo Draghi sono per ora riposte in un cassetto, salvo qualche apertura giudicata appunto insufficiente.
Sulle pensioni partita aperta
Sulle pensioni (nel senso di riforma della legge Fornero), sul fisco, sulla precarietà le misure messe in campo dal governo sono per la Cgil insufficienti. I sindacati (tutti, compresa la Cisl) sono insoddisfatti per due motivi. Prima di tutto, per i rinvii continui dell’apertura del tavolo sulle misure da mettere in campo per superare le rigidità della legge Fornero che ha portato l’età pensionabile italiana ai primi posti in Europa. D’altra parte, Cgil, Cisl, Uil lamentano il poco coraggio del governo nel mettere in campo misure dalla valenza immediata, ovvero da inserire nella legge di Bilancio, e quindi nella manovra per il 2022. Sia sulle pensioni sia sul fisco, il premier Draghi ha cercato di mettere in atto il suo approccio: ascoltare le parti e poi decidere tentando di conciliare richieste e interessi diversi. Questa volta, però, complice anche il quadro di incertezza politica che si sta determinando in vista della partita del Quirinale, la tecnica consolidata non ha prodotto risultati positivi. Draghi – in particolare sulle tasse – ha scontentato una parte rilevante del sindacato, nonché (per motivi diversi e spesso opposti) la Confindustria di Bonomi.
Il metodo Draghi inciampa sulle tasse
Il problema principale di tutta questa faccenda è la sconfitta del presidente Draghi in Consiglio dei ministri. Il premier, infatti, non è riuscito a far passare un’idea che avrebbe potuto cambiare il quadro, o quantomeno ridurre le tante frizioni. Non c’è stata intesa nell’ultimo Consiglio dei ministri sul “contributo di solidarietà” proposto dal premier in cabina di regia. La riunione del governo ha discusso della norma, ma al termine del dibattito si è deciso di stralciare la proposta. Durante la cabina di regia, Draghi aveva proposto un contributo straordinario per chi guadagna più di 75mila euro, al fine di fronteggiare il caro bollette. Il Movimento 5 Stelle, il centrodestra e Italia viva hanno espresso perplessità; favorevoli alla proposta si sono dichiarati Pd e Leu. La proposta era quella di sospendere l’entrata a regime del taglio dell’Irpef, per i redditi alti, probabilmente solo nel 2022. Da alcuni calcoli, circolati in questi giorni, si sarebbe trattato di un contributo di circa 300 euro l’anno. Una tantum. Ma neppure questo è stato possibile. Il muro degli interessi – almeno di certi interessi – è sempre alto.
Le riforme non si regalano
Queste scelte non sono piaciute ai sindacati. Ma, come si vede, le scelte tattiche (sindacali) sono divaricanti. Giunti a questo punto, per Cgil e Uil è necessario proseguire la mobilitazione e intensificarla fino allo sciopero nazionale di otto ore. Per la Cisl non è invece il momento di scioperare e si deve piuttosto incassare intanto qualcosa. Una posizione che evidentemente Cgil e Uil non condividono affatto. Per i due gruppi dirigenti, e per i segretari generali Landini e Bombardieri, non ci si può accontentare solo di quello che è stato concesso sull’Irpef. Tutti i titoli che erano stati condivisi nella piattaforma unitaria di Cgil, Cisl, Uil, consegnata in parlamento e a palazzo Chigi, sono ancora validi: la riforma della legge Fornero sulle pensioni, il lavoro e l’occupazione stabile, il lancio di vere politiche industriali. Non basta infatti attendere in modo passivo i soldi che arriveranno dall’Europa. Ci vuole – sostengono Cgil e Uil – “una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare una occupazione stabile e uno sviluppo equilibrati e strutturali”. Per questo, secondo Cgil e Uil, l’unico modo per ottenere davvero qualcosa è continuare a mobilitare i lavoratori aumentando la pressione sulla politica. In fondo, nella storia, nessuna riforma vera è stata mai calata dall’alto.