Dopo lunghe trattative, di cui solo una parte è stata pubblica, il nuovo governo tedesco sta prendendo forma: e all’insegna dello slogan “osare più progresso” (mehr Fortschritt wagen), sono stati distribuiti tra i partiti della coalizione “semaforo” i diversi dicasteri. La cattiva notizia è che il ministero delle Finanze, centrale non solo per la Germania, ma per il prossimo futuro dell’intera Europa, come accennavamo in un precedente articolo, è stato attribuito al leader dei liberali, Christian Lindner, legato all’ordoliberismo della Banca centrale tedesca, per cui ci dobbiamo aspettare, alla scadenza della deroga al patto di stabilità alla fine del 2022, un ritorno al rigore e una chiusura dei cordoni della borsa.
Lindner non è un personaggio troppo rassicurante, sia per la modesta caratura politica e culturale che lo contraddistingue, sia per una petulante volontà di protagonismo che certo ha giovato alla crescita elettorale del suo partito, ma lo ha anche spinto, in alcune occasioni, a dichiarazioni intempestive e fastidiose: da piccolo-borghese.
Ai verdi rimane la consolazione di avere ottenuto l’altro super-ministero, di nuova creazione, quello che unisce Ambiente e Trasformazione economica. A capo ci sarà Robert Habeck – presidente del partito, uomo di grandi capacità e carisma, già soprannominato “Mister Clima”. Habeck era la figura di prestigio, in lizza anche per il ministero delle Finanze, dato che la preoccupazione dei verdi era che, al di là delle parole di prammatica presenti nel documento di intenti sottoscritto da tutte le forze di governo, ci fossero veramente a disposizione i quattrini per avviare la transizione energetica. La cassa invece è andata ai liberali, e ora starà a Habeck tessere una strategia che permetta un dialogo con Lindner, che vada oltre le generiche promesse reciproche e gli impegni di massima definiti nei colloqui preliminari.
I verdi si sono presi anche un altro ministero importante, quello degli Esteri, che è andato ad Annalena Baerbock, che sarà la prima donna della storia tedesca a rivestire questo importante incarico. La Baerbock, che in passato si è già occupata di diritti umani, si troverà ad affrontare un momento delicatissimo, in cui le relazioni diplomatiche con Russia e Cina sono quanto mai complicate. Non depongono a suo favore le precedenti asserzioni in campo di politica estera, che già le avevano attirato molte critiche durante la campagna elettorale. Le confuse esternazioni del nuovo capo della diplomazia in fatto di diritti umani potrebbero risultare infatti difficilmente reiterabili o addirittura pericolose, così come le scelte di campo che implicano. Un vecchio militante socialista come Oskar Lafontaine ha dichiarato, senza tanti fronzoli, che l’ascesa di Annalena agli Esteri potrebbe rappresentare una “catastrofe”, dato che, viste le precedenti dichiarazioni, la Baerbock corre seriamente il rischio di allinearsi in maniera acritica alla politica americana, aumentando la pressione sulla Russia e seguendo un orientamento politico decisamente anticinese.
Un’altra figura importante è quella di Hubertus Heil, che appartiene alla élite della Spd, a cui è andato il ministero del Lavoro, altro dicastero cruciale dato che il documento di intenti sottoscritto dai tre partiti prevede anche l’innalzamento del salario minimo a dodici euro e primi timidi cenni di un tentativo di ridurre la precarizzazione del lavoro, con la cancellazione dei cosiddetti mini-jobs, su cui avevano particolarmente insistito sia Spd che verdi durante la campagna elettorale. I mini-jobs, lavoretti precari e sottopagati, verranno sostituiti da posti di lavoro regolari e dotati di sicurezza sociale.
A Heil spetta un compito non facile: ha la responsabilità di proteggere il mercato del lavoro tedesco dalla crisi prodotta dalla pandemia, e al tempo stesso di introdurre le riforme previste dagli accordi. Tra le varie questioni da affrontare, c’è anche la revisione di alcune norme della legge Hartz IV, riguardanti il sussidio di disoccupazione e le modalità della sua erogazione, oggetto da tempo di aspre polemiche tra i socialdemocratici, la cui base non ha mai visto di buon occhio il taglio complessivo della Hartz IV, in particolare il principio restrittivo e sanzionatorio – “sostenere e pretendere” – che la anima. Heil è anche fautore della introduzione di una nuova disciplina del lavoro da casa, e ha sostenuto in diversi suoi interventi un “diritto allo homeoffice” che dovrebbe riguardare per lo meno ventiquattro giorni all’anno. I liberali non sono però favorevoli alla sistematizzazione per legge del lavoro in remoto, e un dibattito acceso sta investendo anche la questione del “superamento delle otto ore”, inteso come una maggiore possibilità da parte del lavoratore di gestire in maniera flessibile il monte ore complessivo dovuto.
In effetti, rispetto ai fifoni di casa nostra, il programma del nuovo governo appare, per lo meno sulla carta, un vero programma riformista che guarda alle parti più deboli della società: disoccupati, pensionati, persone che vivono con i sussidi statali, e ha spunti decisamente audaci, non solo per quanto riguarda la transizione energetica e il fronte del lavoro con la cancellazione dei mini-jobs, ma anche per quanto riguarda per esempio una questione di civiltà come la legalizzazione della cannabis. Un governo che volesse “osare di più” da noi è difficilmente immaginabile, e non lo si intravede nemmeno con il cannocchiale…
Se si considera che il nuovo governo tedesco muoverà i suoi primi passi nel pieno della quarta ondata della pandemia, al rassicurante, modesto e forse sottostimato Olaf Scholz spetta un compito estremamente difficile e delicato: tenere fede a quanto dichiarato nell’impegnativo documento programmatico e riuscire a conciliare gli orientamenti spesso divergenti delle altre due componenti della coalizione, cui tra l’altro manca completamente una esperienza di governo, dato il loro recente passato come forze di opposizione.
Scholz si è circondato di fedelissimi non solo nei posti che più contano, ma anche nei vari gabinetti ministeriali, e, rispetto alle vicende italiche, colpisce la densità di politici di professione che sono presenti nella compagine governativa. Chissà che una sana eredità weberiana di diffidenza nei confronti dei “dilettanti di talento” non continui a permeare il mondo politico germanico.