Come nella fiaba, c’è voluta una giovane dalla faccia di bambina per dichiarare apertamente l’incapacità dei tessitori della politica mondiale di dare una veste concreta alle decisioni necessarie a garantire un futuro all’umanità su questo pianeta. Glasgow, Cop26: Draghi si dichiara soddisfatto perché i responsabili dei governi hanno preso coscienza del problema al G20 di Roma. Ma in realtà rimandano alle calende greche le decisioni indispensabili ad affrontare la catastrofe in arrivo.
L’India dice che raggiungerà la neutralità nel 2070: prima non possono, perché avendo gli occidentali inquinato, ora tocca a loro. È vero che se cresce il livello del mare il nemico Bangladesh scompare, ma i suoi abitanti dove andranno? Forse proprio in India, che è vicina. I Paesi europei e gli Stati Uniti devono aiutare il resto del mondo, ma semplicemente perché il pianeta è unico ed è il solo che ospita la specie umana. Tutti sull’orlo del baratro, prigionieri di una mentalità meccanicistica lineare, per cui a ogni azione corrisponde una reazione immediata.
Il “sistema terra”, tuttavia, non procede in modo lineare: alcuni effetti ne innescano altri che incrementano la crescita della temperatura. Per esempio, gli incendi che liberano anidride carbonica, lo scioglimento del permafrost che nelle regioni artiche libera metano, altro potente gas serra, lo scioglimento dei ghiacci al nord, al sud e sui monti, che aumenta la capacità di assorbimento della radiazione solare da parte della terra. Tutti processi che tendono ad autoalimentarsi. Dobbiamo quindi subito ridurre le emissioni di gas e i comportamenti climalteranti. E per ottenere una riduzione del 50% nel 2030 siamo già in ritardo.
Ora però si tingono tutti di verde! L’uso del metano gassoso o liquido è green, il nucleare è green! Tutto per continuare come prima, senza guardare ai tempi necessari per realizzare gli impianti che davvero permetterebbero di tentare di rallentare il riscaldamento. Le fonti rinnovabili permettono di produrre energia elettrica in pochi anni, mentre realizzare centrali nucleari richiede decenni, come mostra l’esperienza della Francia e degli altri paesi industrializzati. Ovviamente se si vogliono fare le cose con un po’ di attenzione alla sicurezza presente e futura. Sicurezza legata alla gestione delle centrali e dei rifiuti eternamente pericolosi, sicurezza connessa all’entità delle risorse disponibili, dato che pure l’uranio è una fonte energetica limitata.
Anche la proposta di Stefano Mancuso di piantare mille miliardi di alberi richiede decenni, come lui stesso scrive; condivisibile – da fare – ma dopo aver già rallentato i cambiamenti del clima entro il 2030, tra nove anni. Come ha scritto Stefano Liberti su “L’Espresso” del 7 novembre 2021, è necessaria una conversione non religiosa, ma nei modi di vivere e produrre, quella che in altri tempi avrebbe richiamato il termine “rivoluzione”. La transizione-conversione ecologica richiede soluzioni tecnologiche, ma queste non bastano. Senza cambiare la struttura delle città, le modalità di trasporto, il modello di sviluppo, senza abbandonare la fede nella crescita del Pil, non sarà possibile mantenere un ambiente che possa permettere un livello di vita accettabile per l’attuale popolazione umana.
Già oggi sono milioni i migranti climatici, persone scacciate dai loro paesi dalla siccità, dalle alluvioni, disgraziati che talvolta rafforzano le truppe di gruppi terroristici. Nei Paesi ricchi alcuni pensano che sia possibile mantenere gli attuali stili di vita per alcune fasce di popolazione, quelle che già oggi vivono spesso in quartieri isolati dal resto delle città, chiusi da mura e protetti da guardie. Ma questa idea di un mondo alla Brave New World di Aldous Huxley, non è in realtà possibile, perché le modifiche del clima renderanno difficile procurarsi energia, acqua e cibo anche a piccole minoranze.
Dobbiamo costruire una cultura nuova, di cui ci sono già le basi, come mostrano le encicliche di papa Francesco e tutte le iniziative per costruire un’economia circolare riducendo i consumi, e con essi i rifiuti, ma dobbiamo diffondere conoscenza e coscienza. La conoscenza delle nostre capacità umane e dello sviluppo delle scienze permette una consapevolezza della debolezza e interdipendenza della specie umana rispetto al mondo, e anche delle sue responsabilità verso il pianeta e le altre forme viventi.
Si lamenta che i cambiamenti richiedono elevati finanziamenti, non si considera però il costo dei danni. Si stima che le alluvioni di quest’anno, in Germania e nel nord Europa, abbiano fatto duecento miliardi di euro di danni; e quanto è costata la tempesta Vaia in Trentino? Stanno crescendo gli uragani mediterranei, come abbiamo visto in Sicilia, con Catania passata dagli incendi estivi alle alluvioni, che erodono un terreno riarso e privo di alberi. Questo per parlare di fenomeni a noi vicini, altrimenti sembra che i cambiamenti climatici tocchino solo la California o l’Australia, con le loro siccità decennali e i loro devastanti incendi. O l’Amazzonia che, con Bolsonaro, fa ripartire la deforestazione. Oppure i Caraibi e le coste statunitensi con i tornado sempre più frequenti e violenti. Ciò è un effetto dovuto al riscaldamento degli oceani, ma non sembra che i mari siano comparsi nell’agenda della Cop26, così come l’agricoltura.
Perché si trovano sempre finanziamenti per nuove armi distruttive, cacciabombardieri, bombe, sommergibili, portaerei, basi militari, Cina e Stati Uniti in testa, con tutti gli altri al seguito a consumare risorse, che sarebbero invece molto più utili a costruire un futuro per gli abitanti delle varie nazioni? Le dimostrazioni muscolari di potenza militare nel mar della Cina e sul cielo di Taiwan aumentano solo le emissioni di CO2. I migranti intrappolati ai confini della Polonia fanno muovere gli eserciti, con folli minacce di escalation, ancora una volta nel cuore di un’Europa che si voleva pacificata.
Ai Paesi più vulnerabili, abitati da miliardi di persone, sono stati promessi nel 2009 cento miliardi di dollari all’anno. Da noi si protesta perché non c’è futuro, mentre nel resto del mondo si chiede giustizia climatica. I ricchi consumano molto più dei poveri e tolgono loro il futuro. Avendo i soldi si può pensare di fuggire su Marte; gli altri, come quelli delle Maldive, che affoghino pure dopo essere stati a lungo luogo di vacanze per gli stessi ricchi che ora sognano di trasferirsi su un altro pianeta.