Lui l’ha buttata così: “Serve un partito che ci rappresenti. Parliamo di unità e rivolgiamo un appello a tutti i leader dei gruppi e dei partiti nuovi che stanno nascendo e che non sono rappresentati in parlamento”. Enrico Montesano prova a scrollarsi di dosso la “mandrakata” e si riscopre politico e speaker del magma “no pass” e “no vax”.
Sì, è proprio un fiume incandescente che cerca un letto in cui scorrere. E sabato 23 ottobre, all’ennesima manifestazione nelle piazze italiane, il popolo del rancore e dell’odio si è scaldato ancora di più. È vero, a Milano sono stati denunciati un po’ di neofascisti (nove, otto di Varese e uno di Bergamo) della “Comunità dei dodici raggi”. Ma nella manifestazione – almeno diecimila partecipanti – che voleva arrivare alla sede della Camera del lavoro di Milano, c’erano anche anarchici e un ex brigatista mai pentito e neppure indebolito da trent’anni di carcere.
Alla fine della giornata, sono stati oltre ottanta i denunciati, trecento dalla fine di luglio. Se solo si potesse fare uno studio sociologico su tutti i fermati e denunciati in Italia, nel corso delle proteste di questo mondo che è insofferente alle regole e ai vaccini, scopriremmo uno spaccato preoccupante dell’Italia. Troveremmo sicuramente una quota minoritaria di neofascisti e anarchici, perché la vera pancia di questo movimento sono i “senza volto”, i “senza identità”, sono gli invisibili di un tempo, i nipotini di quella maggioranza silenziosa degli anni Ottanta che poi diede carburante alla rivolta di Mani pulite. Sono parte del ceto medio impoverito dalla crisi e dai lockdown, evasori incalliti di un tempo che oggi pretendono di imporre le loro regole, e nelle piazze gridano “libertà, libertà!”. Sono gli stessi che bivaccano nella rete, dando sfogo ai loro pensieri violenti. Gli odiatori e i bastian contrari che non vedono l’ora di materializzarsi nelle piazze.
Raccontano gli investigatori che in questi mesi, “monitorando” chat, Telegram e piazze del web, spesso i neofiti della violenza minacciavano di lanciare molotov, di averne già preparate e di essere pronti a farle. Bruciare i palazzi del potere. Adesso, si sentono forti per essere riusciti a rompere la loro inedia sociale, scendendo nelle piazze a manifestare il sabato. Sarebbe facile paragonarli ai cugini francesi dei “gilet gialli”: ma qualsiasi sociologo potrebbe scrivere dei libri per spiegarne le differenze.
Semmai, ricordano i nostri Forconi. Una decina di anni fa, nati in Sicilia, si moltiplicarono anche sul continente. Dal Veneto alla Puglia. Anche loro infiltrati dalla destra neofascista, protestavano contro le imposizioni fiscali, chiedendo di poter respirare senza l’oppressione di regole e “gabelle”. Riuscirono a coinvolgere autotrasportatori, agricoltori, pastori. Il loro programma era semplice: “Bisogna dichiarare guerra alla classe politica criminale”.
La radicalità dei proponimenti e i linguaggi senza filtri sono la costante comune di questi movimenti che nascono all’improvviso, salvo poi declinare verso uno sfarinamento e la loro fine. Del resto, in questi ultimi decenni, abbiamo visto anche movimenti politici vivere momenti di affermazione e rapidamente dissolversi, come l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro.
Lo speaker comico, Enrico Montesano, ha lanciato il sasso. Vorrebbe un partito nuovo. L’ennesimo dal dopo crollo del Muro di Berlino. In realtà fa riferimento a un problema vero: la rappresentanza politica di questi cittadini elettori, che esprimono disagio sociale incanalandolo verso la violenza. Che sia così, lo dimostra anche l’astensionismo elettorale che, due settimane fa, è stato tra il 50 e il 60% dell’elettorato. È l’Italia sommersa e anonima che può ritrovarsi senza un perché nelle strade delle rivolte. Ed è un pericolo.