All’inizio di ottobre quasi tutti i grandi giornali hanno riportato le parole di Greta che a Milano ha concluso la grande mobilitazione Youth4Climate: “Il cambiamento verrà dalle strade, da noi, non dalle conferenze. La speranza non viene dal bla bla bla dei politici, non viene dalla mancanza d’azione e dalle promesse vuote. La speranza siamo noi, la speranza c’è quando le persone si mettono insieme per un obiettivo comune. Abbiamo tutto il diritto di essere arrabbiati, di scendere in strada e chiedere il cambiamento, che non solo è possibile ma anche urgentemente necessario. Vogliamo cambiare le cose e chiediamo che le cose cambino”.
Poche ore dopo, invece, non molte testate nazionali hanno riferito quando detto da papa Francesco in un videomessaggio trasmesso in diretta ad Assisi e nelle altre quaranta città del mondo dove si concludeva l’incontro mondiale “The Economy of Francis”, costruito con giovani economisti e ricercatori: “Oggi la nostra Madre Terra geme e ci avverte che ci stiamo avvicinando a soglie pericolose”. E voi – ha detto ai giovani – “siete forse l’ultima generazione che ci può salvare: non esagero”. Servono “la vostra creatività e la vostra resilienza” per “sistemare gli errori del passato e dirigerci verso una nuova economia più solidale, sostenibile e inclusiva”.
Dunque una differenza tra Francesco e Greta c’è, ma non riguarda la mobilitazione, la critica al bla bla bla dei politici. No, riguarda il nesso inscindibile tra difesa dell’ambiente e una nuova economia. Lo sguardo di Francesco è uno sguardo cosmico sulla fratellanza che unisce: l’enciclica Fratelli tutti, l’enciclica Laudato si’ e il sinodo sull’Amazzonia, con la sua celebre frase “questa economia uccide”. La saldatura sta nel fatto evidente che la fratellanza di Francesco supera e archivia le teologie o cosmologie basate sul dominio. Dominio dell’uno sull’altro o sull’altra, dominio dell’uomo sulla natura, dominio di una cultura sulle altre.
Il mondo è complesso, è fatto di diversi ambienti, ecosistemi, che creano culture diverse: quelle del deserto, del fiume, della foresta, quelle del mare, dei monti o della campagna, quella metropolitana, quelle orientali, quelle occidentali. Preservare la complessità del mondo, il suo equilibrio plurale, richiede la preservazione delle diverse culture, comprendendo, dal suo punto di vista, che quello di Dio è un disegno pluralista nel quale essere fratelli non vuol dire essere uguali: vuol dire essere diversi di diversità che sono tutte uguali agli occhi di Dio, come i figli (fratelli) agli occhi del padre.
Nel documento che Francesco ha firmato ad Abu Dhabi con l’imam di al-Azhar sulla fratellanza si legge: “Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.
Questa diversità degli uguali si unisce nella fratellanza con la casa comune, che è poi l’ecosistema che richiede e plasma le diverse culture. Escludere il dominio sulla natura esclude il dominio sul prossimo, compresi i famosi popoli nativi, indispensabili per mantenere in vita il fiume o la foresta. Ecco, allora, che si capisce meglio la frase con cui rispose a chi gli contestava di aver ricevuto in Vaticano degli uomini che si coprono il capo di piume: “Che differenza c’è tra chi si copre il capo di piume e chi indossa il tricorno?” che è il noto cappello a tre punte dei cardinali. Tradizioni diverse e da difendere, da preservare per quello che significano nella tutela del pluralismo del disegno divino.
Ai giovani collegati con Assisi, la città del santo a cui fa riferimento il tema “The Economy of Francis”, il papa ha detto: “La pandemia ci ha ricordato questo profondo legame di reciprocità; ci ricorda che siamo stati chiamati a custodire i beni che il creato regala a tutti; ci ricorda il nostro dovere di lavorare e distribuire questi beni in modo che nessuno venga escluso. Finalmente ci ricorda anche che, immersi in un mare comune, dobbiamo accogliere l’esigenza di una nuova fraternità”.
La spinta di Greta e del movimento, che alcuni amano definire “gretini”, non assume in pieno tutte queste valenze, ma certamente va nella direzione di una consapevolezza che non ha senso risolvere, come ha fatto un giornalista straniero, dicendo: “Voi siete i giovani che hanno voluto l’aria condizionata in tutte le stanze”. È lo stesso discorso della Cina che dice agli occidentali: “Siete quelli che sono cresciuti inquinando, ora vogliamo recuperare lo svantaggio”. Non sono le recriminazioni che salvano il mondo, sebbene fondate, ma convincersi tutti che bisogna cambiarlo davvero, possibilmente a partire da sé, non dagli altri.