Riace è stato per lungo tempo un modello, per noi che abbiamo costruito la rete di accoglienza degli enti locali. Non mi aspettavo questa sentenza che ha condannato l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, a tredici anni e due mesi di carcere. Una pena troppo pesante, per quello che conosco degli atti.
Non voglio parlare come un avvocato difensore o un giudice. Non mi compete, e sarebbe anche inopportuno per il ruolo che ho ricoperto al ministero degli Interni. Voglio però ricordare che, in quegli anni della prima sindacatura, Mimmo Lucano si muoveva ispirato da alti valori civici e morali, e mai mi è parso per motivi personali. Riace è stato il simbolo di quell’Italia solidale per la quale l’accoglienza può diventare una opportunità. Il Comune di Lucano, infatti, viveva un processo di spopolamento, come tanti piccoli centri del Mezzogiorno, e invece con l’accoglienza è tornato a vivere e ad avere un futuro.
Si costruivano il futuro e le opportunità per gli immigrati. Furono aperti laboratori di ceramica e altre attività. Nello stesso tempo ne traeva beneficio la stessa comunità locale.
Purtroppo, a un certo punto, questa esperienza ha conosciuto momenti di difficoltà. E il volere a tutti i costi trovare risposte a una realtà drammatica, subendo una pressione mediatica molto forte, ritrovarsi al centro di un universo sconosciuto, ha portato l’amministrazione comunale a commettere degli errori. Il sindaco Lucano si è sentito fortemente investito di una funzione che ha voluto onorare a tutti i costi. Ricordo che anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti, mi sollecitava a garantire assistenza tecnica, amministrativa al comune di Riace.
Lucano viveva esposto a sollecitazioni mai viste. La rivista “Fortune” lo indicava tra le cinquanta persone più influenti al mondo. Il papa lo riceveva in Vaticano. Ma nonostante questo clamore e le luci della ribalta, nella quotidianità il sindaco si ritrovava spesso solo, non sempre in grado di risolvere i problemi.
E così ha preso il sopravvento una solidarietà “ideologica” che voleva combattere un’aspra guerra tra schieramenti contrapposti. Era l’Italia della solidarietà che doveva contrastare le spinte razziste di chi indicava gli immigrati come la causa di tutti i mali. Per giunta, l’Italia era sola; l’Europa si girava dall’altra parte mentre le nostre navi di soccorso raccoglievano corpi senza vita nel Mediterraneo.
Dobbiamo riconoscere che, anche grazie all’esperienza della prima sindacatura di Lucano, quando il modello Riace muoveva i suoi primi passi, l’Europa ha capito che si poteva coniugare la fermezza del rispetto delle frontiere con la solidarietà e l’accoglienza.
Purtroppo, l’usura del tempo, il perpetuarsi di una emergenza diventata strutturale, ha portato la stessa Riace ad arroccarsi in una dimensione ideologica, e quindi anche dura. Il rispetto delle regole – ricordo a me stesso – deve essere sempre la stella polare di qualsiasi amministratore pubblico.
* Prefetto, ex Capo dipartimento diritti civili e immigrazione del ministero degli Interni