La battaglia per il cancellierato si sta facendo incandescente. Con ragione già qualche mese fa Angela Merkel aveva affermato, senza mezzi termini, che le elezioni per la sua successione “sono le più difficili da quelle del 1949”. I tre candidati principali hanno visto, nello scorso semestre, un’altalena continua nei sondaggi. Le variazioni, di settimana in settimana, sono state tali da far pensare che le rilevazioni dicano ormai poco del risultato finale vista la volubilità dell’elettorato, e servano tutt’al più come una sorta di termometro degli orientamenti. Gli ultimi dati danno in netto vantaggio il candidato della Spd, Olaf Scholz, accreditato di un 25%, mentre sempre più staccato appare il candidato Cdu-Csu, Armin Laschet, ormai sotto il 20% nonostante tutti gli sforzi fatti da Merkel per sostenerlo. La terza incomoda, la verde Annalena Baerbock, rimane su percentuali di intenzione di voto intorno al 18%.
Al crescere del vantaggio di Scholz, fino a poco fa quasi appaiato con Laschet, ha contribuito una campagna di comunicazione politica estremamente aggressiva e innovativa che ha saputo smussare gli aspetti meno gradevoli del profilo del candidato, proponendolo perfino come “la nuova cancelliera” e avvicinandolo, così, a un pubblico più giovane che lo percepiva come un grigio apparatchik.
Negli ultimi giorni, però, i toni della campagna elettorale si sono accesi e non di poco. Dalle polemiche su Annalena Baerbock, del cui “plagio” abbiamo già parlato, passando per le velenose frecciate sulla intelligenza politica del “piccolo Armin”, fino alle tegole ben più consistenti che si stanno abbattendo sul lanciatissimo Scholz. Si sono riaperte, infatti, due vicende legate a due scandali finanziari, quello Wirecard e quello CumEx, in cui, in maniera diversa, il candidato socialdemocratico era stato coinvolto. Se nella vicenda Wirecard il ruolo giocato da Scholz appare decisamente marginale, più complessa è la questione della CumEx. Il 9 settembre, infatti, l’avvocatura dello stato ha perquisito il ministero delle Finanze (di cui Scholz è attualmente responsabile), a seguito dell’evoluzione delle indagini su fatti che risalgono al 2017, quando Scholz era sindaco di Amburgo, e incontrò – a quanto pare più volte e proprio nella fase delicatissima in cui la faccenda stava venendo a galla – il capo della banca Warburg, responsabile di una truffa fiscale ai danni dello Stato.
Come fanno i politici in questi casi, Scholz minimizza e nega gli incontri ripetuti con il vertice di Warburg Bank, ammettendone solo uno, ma c’è il rischio consistente che venga chiamato a testimoniare al processo. Un bello smacco per “Scholzomat” come era stato ironicamente soprannominato per la sua precisione e affidabilità nell’amministrare la cosa pubblica. L’immagine di fedele servitore dello stato, monotono certo, ma razionale e meticoloso, rischia di uscirne incrinata.
Scholz ha fatto di tutto per rallentare l’uscita degli atti dello scandalo, che sono per il momento ancora secretati, ma di cui è stata chiesta insistentemente la pubblicazione da parte degli avversari della Cdu. In attesa di capire meglio quali siano state le modalità del suo coinvolgimento, certo rimane una evidente responsabilità politica, dato che è intervenuto in una faccenda dai tratti ancora non chiari, e che sicuramente è costata parecchio alle finanze pubbliche. Scholz ha inoltre sbagliato nel mostrare una certa sicumera quando è stato chiamato in causa: sicumera che a molti è sembrata arroganza, tanto che è stato addirittura accusato dai media conservatori di mentire consapevolmente per depistare le indagini.
Una certa inquietudine serpeggia anche negli ambienti finanziari riguardo a un possibile cancellierato Scholz: un quotidiano economico si è divertito a redigere una specie di elenco di tutti gli errori da lui commessi nella sua carriera. Peraltro, nei due dibattiti televisivi finora svoltisi, il candidato della Spd se l’è cavata molto bene, approfittando di alcune ingenuità della Baerbock e della scarsa statura politica di Laschet, che il pubblico televisivo ha giudicato nel complesso “inadeguato”.
Negli interventi televisivi Scholz ha insistito sugli aspetti sociali: ha dichiarato, per esempio, che “chi oggi guadagna poco deve essere meglio remunerato, ci vuole un salario minimo orario di dodici euro e ci vogliono delle pensioni stabili”. Laschet, invece, ha insistito in maniera un po’ generica sulla libertà: “Non vi dirò come dovete pensare o come dovete vivere, non vi metterò i bastoni tra le ruote”, mentre Baerbock ha richiamato l’emergenza climatica e la responsabilità per le generazioni future, dichiarando: “Questo è l’ultimo governo che possa fare qualcosa contro il riscaldamento globale. Facciamo in modo che i nostri figli non ci debbano dire un giorno: perché non avete fatto nulla?”.
Se i candidati sembrano tentare di condensare in pochi slogan le loro posizioni in vista degli ultimi giorni di battaglia, appare sempre più evidente che, con le percentuali che si stanno disegnando, un ruolo decisivo lo giocheranno le coalizioni. Dato che nessuno dei partiti in lizza ha più del 25% non saranno sufficienti due partiti per avere la maggioranza, ma ce ne vorranno almeno tre. Il negoziato non si annuncia facile, e vale la pena di ricordare che, dopo le elezioni del 2017, ci vollero mesi prima di trovare un’intesa. Si prospetta un vero e proprio rompicapo in cui difficilmente potranno funzionare le coalizioni in precedenza sperimentate, come spiegavo in un precedente articolo, tanto che con una battuta il co-presidente della Linke, Dietmar Bartsch, ha detto che a Natale Merkel potrebbe essere ancora cancelliera.