In Francia, attualmente, i candidati alla presidenza della Repubblica, tra i vari esponenti della sinistra e i verdi, sono almeno tredici, tra quelli che hanno ufficializzato la propria candidatura e quelli che lo faranno nei prossimi giorni. Un vero e proprio ingorgo. Man mano che passano le settimane il confronto tra le varie posizioni, invece di produrre un avvicinamento, segna un rafforzamento delle proprie identità di partito o di movimento. Sembra quasi che la gauche abbia interiorizzato la sconfitta alle presidenziali e si prepari, più che altro, ad affermare una presenza alle elezioni legislative che seguiranno.
È almeno ciò che possono dedurre gli osservatori politici dopo i due weekend di agosto, nel corso dei quali si sono tenuti i meeting delle quattro principali forze in campo (Partito comunista francese, ecologisti, Partito socialista e France Insoumise). I comunisti hanno ribadito la candidatura del loro segretario, Fabien Roussel, al primo turno; i socialisti, nel castello di Blois, hanno di fatto lanciato nella corsa Anne Hidalgo, attuale sindaca di Parigi; nel corso dell’università d’estatedi Europe Ecologie Les Verts, si sono confrontati i cinque candidati alle primarie degli ecologisti; mentre a Valence, per gli “insoumis”, Jean-Luc Mélenchon ha confermato la propria candidatura che guarda più che altro al recupero dell’astensionismo dei ceti popolari.
Una sommaria ricostruzione del contesto
Per capire meglio dobbiamo ricostruire, sia pure sommariamente, il contesto. Innanzitutto le date: il primo turno delle elezioni presidenziali si terrà il 10 e il secondo il 24 aprile 2022. Dunque fra pochi mesi. La figura del presidente della Repubblica è poi dirimente nel sistema istituzionale d’Oltralpe. Sceglie il primo ministro, può sciogliere le Camere di fronte alle quali non è responsabile. Detiene un vero potere di indirizzo politico, specialmente nel campo della politica estera (è a capo della diplomazia e riceve gli ambasciatori stranieri). Benché il primo ministro e il parlamento detengano la maggior parte del potere legislativo ed esecutivo, il presidente francese mantiene una forte influenza. Ha il potere di iniziativa sulla revisione della Costituzione. Nomina persino il vescovo di Metz e l’arcivescovo di Strasburgo (retaggio del concordato del 1801 firmato da Napoleone). Di fatto, le elezioni legislative, che si svolgono subito dopo quelle presidenziali, hanno storicamente quasi sempre fornito una maggioranza parlamentare al presidente in carica. Dunque nella politica francese quasi tutto ruota intorno alla sua persona. A sinistra, molti chiedono perciò una “sesta repubblica” di tipo parlamentare che ridimensioni il peso del re-presidente. Il paradosso è che questa riforma, per potere avere qualche chance, deve passare necessariamente per l’elezione di un/una presidente che dovrebbe in seguito rinunciare a molti dei suoi poteri.
L’altro aspetto da considerare è quello di un Paese attraversato da movimenti di protesta che si susseguono da anni. Gli ultimi sabati hanno visto partecipate e diffuse manifestazioni contro il green pass obbligatorio, contestazioni alle quali, a differenza di quelle italiane, partecipano anche pezzi della sinistra: gilets jaunes, sezioni locali dei sindacati, militanti di diverse organizzazioni politiche. Questi cortei, nei quali l’estrema destra partecipa comunque in forza, si innestano su una sfiducia generalizzata verso il potere macroniano, sia per la gestione della pandemia sia per la sua politica sociale liberista. Se Macron deciderà, come sembra, di rilanciare le sue controriforme del sistema previdenziale e degli ammortizzatori sociali, queste proteste potrebbero aggregare il variegato malessere sociale presente nell’esagono.
Nel frattempo, due tra i principali sindacati francesi, la Cgt e Force ouvrière, insieme al sindacato degli studenti (Unef), hanno indetto uno sciopero per il 5 ottobre con manifestazioni in tutto il Paese contro la riforma delle pensioni, per aumenti salariali e per migliorare le condizioni di lavoro e di studio.
Le speranze dei socialisti e i candidati verdi
Dopo i risultati alle regionali (vedi articoli qui e qui) i socialisti francesi sperano in un recupero e anche che i verdi, alla fine, decidano di appoggiare la loro candidata in pectore, Anne Hidalgo, la quale ufficializzerà la sua candidatura intorno al 15 settembre prossimo, presentando il suo libro Une femme française. Hidalgo da tempo si presenta come esponente dell’ecologia, cercando di ridurre il traffico automobilistico nella capitale a beneficio del trasporto pubblico e delle biciclette. Il segretario, Olivier Faure, ha presentato il programma del partito, Il est temps de vivre mieux (“È ora di vivere meglio”). Erano dieci anni che il Partito socialista non si cimentava nella redazione di un programma organico di governo. I richiami a Mitterrand e alle elezioni del 1981 non potevano mancare all’appuntamento. I socialisti si comportano come se fossero tornati a essere la forza motrice della sinistra. Ma sembrano sopravvalutare i loro risultati alle elezioni regionali alle quali ha partecipato solo un terzo dell’elettorato, con un mare di astensioni: elezioni snobbate soprattutto dai giovani e dai ceti popolari. Inoltre, i verdi non hanno alcuna intenzione di passare la mano. I sondaggi danno Anne Hidalgo al 7%, non molto lontano dello score realizzato nel 2017 dallo sfortunato candidato socialista, Benoît Hamon (6,36%), mentre l’uomo di punta dei verdi, Yannick Jadot, si situa all’8%. Alcuni esponenti della “rosa nel pugno” ne sono abbastanza consapevoli, e argomentano come cinque anni non siano stati sufficienti per una ricomposizione a sinistra: “Facciamo una bella campagna elettorale. Ci si incontrerà di nuovo dopo le presidenziali”.
Contemporaneamente, a Poitiers, si presentavano a una platea di circa tremila ecologisti, i cinque candidati alle primarie dei verdi per designare il loro candidato. Primarie che peraltro non sembrano suscitare un entusiasmo eccessivo tra i loro elettori che solo in quindicimila, a metà agosto, si erano iscritti alla consultazione che avverrà dal 16 al 28 settembre. Si sperava in decine, per non dire centinaia di migliaia di iscrizioni, ma tant’è. I candidati rappresentano comunque tutte le anime possibili dell’ecologismo.
Il già nominato Jadot era il capolista dei verdi per le europee nel 2019, quando il partito ottenne un buon risultato: il 13,5% dei voti (ma le regionali sono state una delusione). Si presenta come una figura mediatica, che può fare convergere sul candidato ecologista voti da sinistra e da destra. È l’alfiere dell’autonomia dei verdi rispetto alla sinistra, pur dichiarandosi lui stesso di sinistra. Il sindaco di Grenoble, Eric Piolle, intende radunare gli ecologisti, la stessa sinistra di Mélenchon e i delusi da Macron. Ha vinto le elezioni comunali nel 2014 e nel 2020, creando una ampia coalizione che include la France Insoumise e diversi collettivi cittadini. Ma l’ala sinistra dei verdi francesi è divisa, e vede anche la candidatura dell’eco-femminista Sandrine Rousseau. Ha solo donne nella sua squadra e ha fondato un’associazione di aiuto alle donne vittime di violenza. Ecologista, ma molto attenta alle questioni sociali, si era fatta notare, nelle manifestazioni contro la riforma delle pensioni nell’inverno 2019, per l’organizzazione di coreografie di donne vestite con tute da lavoro e guanti per lavare i piatti: dei video che avevano ottenuto un grande successo sui social.
Si presenta anche una ex-ministra socialista, Delphine Batho, coordinatrice di un micropartito, Génération écologie, con circa 1.100 iscritti, con un profilo 100% ecologista, che intende depoliticizzare l’ecologia dando la priorità ai dati scientifici e propugnando la decrescita. Questo approccio è considerato l’unico in misura di conquistare una maggioranza culturale. Infine, un outsider, Jean-Marc Governatori, un ricco uomo d’affari che ha fondato un suo partito: Alliance écologiste indépendante. A quanto pare, è un originale che vagheggia di trasformare la Francia in un grande orto. Non è stato preso molto sul serio dalla base dei militanti che, nel corso del suo discorso di presentazione, lo hanno deriso e sbeffeggiato.
Comunisti e “insoumis”: ricerca di visibilità e populismo “creolo”
L’università d’estate del Partito comunista si è tenuta a Aix-en-Provence. Per la prima volta in quindici anni il Pcf parteciperà all’elezione presidenziale da solo. È la linea politica sulla quale Fabien Roussel è stato recentemente eletto segretario del partito e indicato come candidato. Dunque nessun accordo con Mélenchon e i socialisti al primo turno. Il Pcf ha bisogno di un minimo di visibilità per potere riconquistare un congruo numero di deputati e ricostituire, nella nuova Assemblea nazionale, un gruppo parlamentare. E, oltretutto, Mélenchon “non è comunista” (affermazione del portavoce di Roussel). Ovviamente, visto il sistema francese di voto collegio per collegio, sarà necessario per i comunisti stabilire alleanze e convergenze. Alcuni dirigenti sono piuttosto scettici, come la deputata Elsa Faucillon e l’ex-segretario Pierre Laurent: “Come si fa a bypassare un’elezione (quella presidenziale – NdR) di cui tutti i francesi sanno che dà il tono generale alla vita politica della Francia?”.
Un comizio, sarebbe meglio dire una relazione congressuale, di Jean-Luc Mélenchon ha invece chiuso le assisi d’estate della France Insoumise. Il leader ha cercato, tra l’altro, di dare un’interpretazione teorica più precisa all’identità del suo partito rilanciando la “creolizzazione”, un termine preso in prestito dallo scrittore martinicano, Édouard Glissant. Il populismo di sinistra si distingue così in maniera forte dal populismo sovranista e di destra; il populismo “creolo” serve a mobilitare gli astensionisti delle banlieues urbane che rappresentano un largo settore popolare, spesso disprezzato ed escluso dalla scena politica. Si mette così in discussione il razzismo strutturale della stessa Francia repubblicana. Non tanto gli insulti e le violenze apertamente razzisti, ma gli ostacoli che questi cittadini incontrano nella vita quotidiana per accedere alle stesse condizioni di vita, alla dignità e al riconoscimento. Tutti gli altri partiti hanno attaccato l’Unione degli studenti (Unef) per avere organizzato delle riunioni non miste, in cui le vittime del razzismo potevano condividere le loro esperienze in un ambiente protetto. Mélenchon è stato l’unico a sostenerli. D’altronde la “creolizzazione” della Francia non è un progetto ma un dato di fatto. Il presunto universalismo repubblicano ignora di essersi costituito all’origine su un cristianesimo secolarizzato, bianco, maschile, eterosessuale, rispetto al quale gli altri devono integrarsi. In altre parole, l’identità repubblicana francese è in continuo divenire. Non per rivendicare un comunitarismo settario e non laico, ma a favore di paradigma più universalista e repubblicano.
Si comprende meglio così la strategia dell’unione popolare proposta dal leader della France Insoumise: tutta la scommessa consiste nel portare a votare le banlieues delle seconde e terze generazioni degli immigrati dal Maghreb e dall’Africa subsahariana e gli abitanti delle zone periurbane. Senza una partecipazione massiccia al voto, la sconfitta è certa. Il totale dei consensi alle forze di sinistra e ai verdi, attualmente, si aggira intorno al 20-25%. La France Insoumise ha un programma definito da tempo, l’Avenir en commun, e tenta di spostare l’asse del dibattito politico dalle questioni identitarie e della sicurezza alle questioni sociali, di fronte a una destra ossessionata dall’islam e dagli immigrati. Riuscirà nel suo intento? Per il momento i sondaggi accreditano Mélenchon all’11% delle intenzioni di voto. Ma alcuni dirigenti, come la deputata Clémentine Autain, avvertono: “Le elezioni presidenziali non devono diventare le primarie della sinistra, un ripiegamento aggressivo su se stessi, dove ognuno cerca di differenziarsi dagli altri”. Stante lo stato dell’arte, appare difficile.