Rischio inondazioni, piogge violente, caldo tropicale e isole di calore. Roma è una bomba pronta a esplodere. E al momento di un piano cittadino di adattamento ai cambiamenti climatici non si vede neppure l’ombra. Ma andiamo per ordine. Secondo un recente rapporto del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici – “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia” – il nostro Paese è un’area più esposta di altre ai rischi del cambiamento climatico. Lo studio sostiene che, se l’aumento delle temperature dovesse superare i due gradi nel periodo 2021-2050, rispetto a quello 1981-2010, il Belpaese dovrebbe affrontare costi per lo 0,5% del Pil nazionale (sette miliardi di euro) legati ai rischi climatici ogni anno.
D’altronde le mutate condizioni del clima sono sotto gli occhi di tutti: basta scorrere le cronache degli ultimi mesi per capire che gli eventi estremi si susseguono sempre più frequentemente. È documentato che nel 2020 gli eventi climatici estremi in Europa siano stati 1499, in media quattro al giorno, provocando un bilancio pesante di 251 morti e cinquantamila persone evacuate. Siamo letteralmente nell’occhio del ciclone.
Per correre ai ripari, le principali città italiane ed europee si stanno mobilitando: in molte di queste le pubbliche amministrazioni hanno elaborato dei piani di adattamento locale al cambiamento climatico, unitamente alla sperimentazione di alcune azioni pilota concrete da realizzare sui territori al fine di rendere le città più resilienti. La finalità generale di queste iniziative è quella di preparare le amministrazioni e i cittadini a fronteggiare in modo più efficace eventi atmosferici come ondate di calore, siccità, inondazioni, alluvioni, riducendo al tempo stesso le vulnerabilità esistenti sul territorio.
Nel maggio 2016 è stata avviata l’elaborazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici basata sulla Strategia nazionale di adattamento al clima, adottata nel giugno 2015, e sui suoi rapporti tecnico-scientifici pubblicati nel 2014. Ma il Piano è fermo presso il ministero della Transizione ecologica in attesa di una valutazione complessiva.
Roma è una delle città più colpite secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente: tra il 2010 e il 2020, si sono verificati circa quarantasette eventi meteorologici estremi, più della metà dei quali ha avuto un forte impatto, provocando lo stop di varie linee del trasporto urbano. Ciò nonostante, non solo la capitale non ha un piano di adattamento climatico, ma nemmeno uno studio che individui le maggiori aree a rischio.
“Roma non ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, malgrado che negli ultimi dieci anni si siano verificati numerosi casi di allagamenti rilevanti prodotti da piogge intense. È la città italiana che ha avuto più eventi di questo tipo, e la ragione è il modo in cui si è costruito: è il centro che ha il più grande patrimonio ereditato di edilizia abusiva, e quindi molte sue aree hanno delle infrastrutture inadeguate” – dice Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente. E prosegue: “Ci sono delle aree di Roma che sono state costruite in territorio a rischio idrogeologico, l’assenza di un piano di adattamento si avverte particolarmente, ci sono stati anche dei morti; e periodicamente si ferma la metropolitana, si allagano i trasporti. Un piano del genere è importante: servirebbe a individuare i problemi prioritari per progettare interventi efficienti senza essere in balia degli eventi. Con un sistema di monitoraggio e allarme, si possono mettere in sicurezza le persone e fare manutenzione; in alcune aree di Roma bisogna intervenire subito cambiando la situazione, soprattutto in alcuni quartieri che saranno a rischio nei prossimi anni”.
Gli altri Paesi europei non sono sicuramente rimasti a guardare: la Francia ha approvato il piano di adattamento nel 2011, e attualmente ne sta elaborando uno nuovo, mentre in Germania i sedici Länder si sono mobilitati già da tempo.
E le altre città italiane? Bologna è senz’altro all’avanguardia nel settore: con il progetto Life Blue Ap la città emiliana si è dotata di un piano di adattamento al cambiamento climatico, che prevede anche la sperimentazione di alcune misure concrete da attuare, a livello locale, per rendere il centro meno vulnerabile, in grado di reagire in caso di alluvioni, siccità e altri effetti catastrofici. Si tratta, inoltre, di un esperimento molto interessante di democrazia partecipativa, visto che nel processo di elaborazione e monitoraggio del piano si punta anche al coinvolgimento della cittadinanza.
Milano invece non ha un piano di adattamento vero e proprio, ma il green è il pallino di tutte le politiche dell’amministrazione attuale: dalla mobilità all’edilizia, dalla gestione del verde pubblico, al ripensamento degli spazi urbani. Per le ristrutturazioni edilizie il capoluogo lombardo ha introdotto l’Indice di riduzione di impatto climatico, elemento necessario per avere le autorizzazioni. C’è poi il progetto Forestami, che punta a piantare tre milioni di alberi entro il 2030. Non è un caso che qui è previsto, a settembre, lo Youth4Climate, l’incontro dei giovani preliminare alla conferenza dell’Onu COP26, che quest’anno si terrà a Glasgow, in Scozia, dal primo al 12 di novembre.
Per ritornare a Roma, nel 2018 la giunta Raggi presentò una “strategia di resilienza”, elaborata dopo aver partecipato – unica città italiana – al bando 100 Resilient Cities della Fondazione Rockfeller. In questo documento vengono però dedicate all’adattamento ai cambiamenti climatici circa tre pagine su 158. E negli ultimi anni l’amministrazione non ha prodotto alcun rapporto al riguardo.
C’è poi il Pnrr di Draghi che, nella seconda missione, prevede investimenti per rafforzare “le infrastrutture e la capacità previsionale di fenomeni naturali e dei loro impatti”, oltre a interventi diversi, in primo luogo contro il dissesto idrogeologico. Roma, in quanto capitale dello Stato italiano, deve diventare protagonista e avanguardia di questo processo di transizione ecologica. La prossima amministrazione comunale sarà quindi chiamata al compito storico di traghettare la città di Romolo e Remo verso il “decennio verde” degli anni Trenta del Ventunesimo secolo, considerando che l’Unione europea si prefigge di abbattere del 55% le proprie emissioni. Una sfida, e nello stesso tempo una grande opportunità.