Scriveva Pietro Nenni, il grande leader del socialismo italiano del secolo scorso, che la politica sarebbe la cosa più semplice del mondo se non ci si dovesse preoccupare di quali saranno le conseguenze, nel medio e lungo periodo, di quanto si dice e si decide. La pandemia ha reso ancora più feroce il senso di questo aforisma. In questi quasi due anni di caccia al virus continuiamo ancora a vivere alla giornata, con governi che misurano il contagio con le percentuali dei sondaggi elettorali. Mentre il virus sta giocando una sua partita dentro di noi, mutando ed evolvendo con una dinamica che ancora non abbiamo decifrato correttamente.
I dati ci fanno intendere che lo scenario è ancora fortemente instabile. In pochi giorni i contagi in Italia sono aumentati del 50%, superando quota mille al giorno. Rimane ancora bassa l’intensità di nocività: pochi ricoveri e ancora meno decessi, per fortuna. In Inghilterra, il grande laboratorio a cui tutti guardano, dove la vaccinazione è più estesa, anche se con dinamiche contraddittorie, siamo arrivati a trentamila positivi al giorno, ma la letalità rimane ancora limitata. Il protagonista di questa recrudescenza è la cosiddetta variante delta, che si sta espandendo in maniera geometrica in tutta Europa. Siamo dinanzi a uno stadio dell’evoluzione del virus – questo è il concetto su cui ragionare e non la fotografia di quello che accade ora – che pare in grado di aggirare anche la protezione vaccinale, o comunque trovare varchi nelle aree intermedie, come i vaccinati con una sola dose.
Già alle porte bussa una ulteriore versione del contagio, definita per il momento variante super-delta, che in Spagna e Portogallo sta incrementando il numero dei positivi. Il dottor Sergio Abbrignani, immunologo e membro del Comitato tecnico-scientifico, si spinge fino a prevedere, lungo questa traiettoria, che accelererà con i riti estivi, di arrivare a fine agosto anche in Italia ai vertici attuali del contagio inglese, con trentamila positivi al giorno. Ma, ci rassicura, con una permanente bassissima intensità dei ricoverati e dei decessi. L’immunologo parla di una cronicizzazione del Covid 19 “come l’influenza”. Torna così, periodicamente, la suggestione che aveva fatto inizialmente deragliare le strategie di contrasto nella primissima fase del contagio: come l’influenza. Una previsione che avevano certificato illustri clinici, per confermare che non bisognasse fermare nulla, in quanto tutto sommato poco sarebbe cambiato. Abbiamo poi visto cosa è accaduto.
Oggi continuiamo a galleggiare sulla corrente, senza chiederci dove ci porterà. Benché immersi in una realtà assolutamente inedita, dove è ancora più importante considerare, come chiedeva Nenni, soprattutto per i decisori, quali possano essere le conseguenze nel medio e lungo termine di soluzioni e deliberazioni.
Nel libro che abbiamo scritto con Andrea Crisanti, Caccia al Virus (Donzelli editore www.caccialvirus.it), il microbiologo di Padova sostiene: “È la prima volta nella storia dell’epidemiologia che si procede con una vaccinazione di massa dell’intera scala anagrafica di una popolazione, dai giovani, agli adulti, agli anziani in età avanzatissima. Gli adulti, e ancora a maggior ragione gli anziani, si portano dietro un bagaglio di malattie e di degenerazioni fisiologiche rilevanti, che comunicando con le diversità genetiche generano combinazioni che possono influenzare la risposta del vaccino”.
Questa anomalia è la causa delle varianti. Dunque quando si valutano le condizioni epidemiologiche di un territorio non bisogna basarsi solo sulla fotografia del momento, ma proiettare le tendenze sullo scenario proprio di questa dinamica genetica. Esattamente questa valutazione spinge Crisanti a proporre una strategia basata appunto sui vaccini, che vanno periodicamente riprogrammati, insieme con una vigilanza territoriale.
La scelta inglese che prevede, a partire dal 19 luglio, un’indiscriminata apertura delle “gabbie”, con la liberalizzazione dei comportamenti è invece esattamente l’opposto. Ma anche la stasi di questo governo in Italia non aiuta. Come diceva Napoleone, “in tempo di guerra nulla compensa la perdita di tempo. Nulla”.
Invece di tempo ne stiamo perdendo fin troppo. Tutti siamo protesi alle vaccinazioni. Ed è giusto. Ma non basta. In questi mesi bisognava approntare anche un modello organizzativo capace di fronteggiare il vero dato che sta emergendo: l’endemicità del contagio. Risolvere tutto con l’auspicio, perché tale è, che il Covid 19 diventerà come l’influenza sembra davvero irresponsabile. Bisogna colmare i buchi del sistema sanitario sul territorio: network per i test di massa attorno ai positivi, sistema di tracciamento connesso ai medici di base e a un’app come Immuni, da resuscitare, agganciandola al Gps.
Sono i passaggi che Crisanti reclama nel suo libro e che rimangono altrettanti interrogativi alla vigilia di una nuova fase, che rischia solo di portarci a una repentina chiusura che ecciterà ulteriormente i rancori populisti. E proprio questa potrebbe essere una risposta alla domanda: ma perché non si fa niente?