Mentre il Gotha della politica e dei media si concentra sulla legge Zan, passa quasi inosservato il documento delle Commissioni finanze della Camera e del Senato che costituisce un atto politico di indirizzo per il governo che dovrà, entro il 31 luglio prossimo, presentare al parlamento una legge delega di riforma complessiva del nostro sistema fiscale con le relative linee guida. E scusate se è poco.
Il documento di ventuno pagine redatto dopo sei mesi di lavoro – e ben sessantuno audizioni di esperti, rappresentanze istituzionali, professionali e sociali – tratta una materia delicata e complessa e queste poche righe non hanno la pretesa di farne un’analisi compiuta, ma piuttosto di enunciare alcuni elementi per una prima riflessione (qui il documento conclusivo).
Il documento è stato votato quasi all’unanimità dall’eteroclita maggioranza con l’astensione del rappresentante di Leu, Luca Pastorino. Notevoli le perplessità o, per meglio dire, la contrarietà espressa in una nota congiunta dai tre principali sindacati. Forse l’unica opposizione di sinistra rimasta in campo.
Il documento, secondo Cgil, Cisl e Uil, non affronta in maniera efficace il tema della lotta all’evasione fiscale che vede l’Italia maglia nera in Europa. La riforma dell’Irpef dovrebbe essere fondata, secondo i sindacati, su un ampliamento della base imponibile e sulla strutturazione di un’imposta pienamente progressiva dai redditi più bassi ai più elevati. La leva fiscale, insieme alle politiche sociali ed economiche, dovrebbe essere utilizzata anche per colmare le diseguaglianze di ricchezza che hanno raggiunto dimensioni preoccupanti nel nostro Paese. Le organizzazioni sindacali si dicono contrarie all’abolizione dell’Irap, mentre giudicano un errore gravissimo portare la tassazione delle rendite finanziarie al di sotto del 26%. Un giudizio netto.
Ma prima di addentrarci nelle proposte di riforma elaborate dalle due Commissioni, cerchiamo di fare sia pure sommariamente il punto della situazione delle imposte sul reddito nel nostro Paese con l’aiuto di uno dei più noti fiscalisti italiani, Roberto Artoni, professore emerito di Scienza delle finanze all’Università Bocconi.
Le imposte sul reddito nel Bel Paese
Si pagano troppe tasse in Italia? Non particolarmente. Nelle statistiche di finanza pubblica nell’Unione europea elaborate dalla Banca d’Italia nel 2018 la pressione fiscale totale è stata nel nostro paese pari al 41,7 % del Pil, contro il 41,5 della Germania e il 47,4 della Francia; le imposte dirette nei tre paesi sono rispettivamente pari al 14 (ma per l’Ocse, il 13), al 13,3 e al 13% del Pil.
Oggi l’Irpef si applica solo ai redditi di lavoro autonomo e dipendente, oltre che alle pensioni. Al contrario, ai redditi di capitale e immobiliari si applicano in larghissima misura regimi sostitutivi. La sua base imponibile complessiva è pari a 833 miliardi, il 50% del Pil. È un’imposta fortemente progressiva nelle prime classi di reddito complessivo (fino a 26.000 euro) e poi moderatamente per redditi via via crescenti.
Il gettito è concentrato per il 33% nei redditi superiori a 60mila euro (dove troviamo il 4% dei contribuenti) e per il 24% nei redditi compresi fra i 35 e 60mila euro (dove troviamo il 10% dei contribuenti). L’87% dei contribuenti percepisce un reddito inferiore a 35mila euro e versa il 47% dell’imposta. Emerge che nel 2018 il gettito dell’Irpef di 164 miliardi proviene per l’82% da lavoro dipendente e da pensioni. Stante che la quota sul Pil del reddito da lavoro dipendente (che comprende retribuzioni lorde e contributi sociali) è pari al 47%, è evidente che l’Irpef pone un onere eccessivo sui contribuenti, impossibilitati a evadere, che percepiscono redditi compresi fra i 30 e i 50mila euro.
Ma la base imponibile è erosa dalle deduzioni e dalle molteplici detrazioni. Le deduzioni dall’imponibile, in larga misura concentrate nei redditi più elevati, sottraggono alla base imponibile dell’Irpef ben 50 miliardi. A cominciare dai 17 miliardi che derivano dall’applicazione della cedolare secca (21%) ai redditi derivanti da locazioni. Gli oneri deducibili, ammontanti a 25 miliardi, sono costituiti essenzialmente da contributi previdenziali alle casse professionali – 17 miliardi – e da versamenti volontari ai fondi pensione – 4 miliardi – oltre a altre voci minori (assegni al coniuge, contributi lavoratori domestici, erogazioni a favore di istituzioni religiose). Infine, è deducibile dal reddito complessivo la rendita catastale dell’abitazione principale – 9 miliardi – a eccezione di quella per le abitazioni signorili.
Per quanto concerne il prelievo sugli immobili nel nostro Paese, va considerata l’esenzione della rendita catastale dell’abitazione principale non solo dall’imposta personale ma anche dall’Imu. Inoltre, le rendite catastali implicano valori degli immobili molto lontani da quelli di mercato; mentre la riforma del catasto è pronta e tenuta a bagnomaria dal ministero dell’Economia da almeno un decennio.
Le detrazioni dall’imposta a loro volta sottraggono all’erario ben 63 miliardi. Ma esse riguardano principalmente e giustamente quelle relative ai carichi familiari e quelle per lavoro dipendente e pensioni. Circa 13 miliardi riguardano detrazioni al 19% in particolare per le spese sanitarie e interventi vari sul patrimonio edilizio (tra cui il bonus al 110%), e altre voci minori.
Fino a 65mila euro di ricavi (nozione diversa da quella del reddito, ma per alcune categorie equivalente) esiste una flat tax per gli autonomi al 15% che crea una notevole disparità di trattamento con il lavoro dipendente. Come conseguenza, c’è un forte incentivo all’elusione e ad allargare il campo delle false partite Iva. Mentre tutte le analisi confermano che in Italia l’evasione si concentra nel reddito di lavoro autonomo.
Le imposte sostitutive sui redditi da capitale (aliquota al 26% a esclusione dei titoli di stato tassati al 12,5%) danno un gettito esiguo di circa 12 miliardi. La mancata congruità di queste entrate con i dati di contabilità come calcolati dall’Istat sottolinea come sia estremamente arduo tassare i redditi da capitale a livello personale. È venuta meno la progressività dell’imposta per quanto concerne i redditi da capitale. Il nostro è nei fatti un sistema di tassazione duale dove la progressività si applica solo ai redditi da lavoro.
Cosa propone il documento delle Commissioni
Le Commissioni si sono prodigate nell’indicare diverse riduzioni delle imposte, ma senza dire dove recuperare la corrispondente diminuzione di gettito. Fin troppo facile. Il relatore, Luigi Marattin di Italia Viva è arrivato a auspicare una riduzione delle tasse anche in deficit. Se si attuassero i desiderata del parlamento il conto sarebbe salato, e secondo il professore Simone Pellegrino dell’Università di Torino, di circa 40 miliardi annui. Secondo Cecilia Guerra, sottosegretaria all’economia, tra i 40 e i 60 miliardi. Per questo motivo il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha messo le mani avanti: si procederà nei limiti delle compatibilità di bilancio, qualunque cosa ciò possa significare. Il rischio è che si vada a intaccare i pilastri del welfare, le spese per salute, assistenza, pensioni o scuola.
Una delle proposte tra la più costose concerne l’abolizione dell’Irap, imposta particolarmente invisa perché difficilmente eludibile. L’Irap fu introdotta nel 1997 e servì ad abolire sei imposte fiscali. Produce un gettito pari a 20 miliardi che contribuisce a finanziare il servizio sanitario. Le Commissioni indicano addizionali sull’Ires, l’imposta sui profitti delle società, come alternativa. Ma anche non considerando che tali addizionali darebbero un gettito molto diverso tra regione e regione, il gettito non sarebbe superiore ai 7-9 miliardi.
Si propone di ridurre significativamente l’aliquota sui capital gains portandola dal 26 al 23%, pari alla prima aliquota dell’Irpef. Niente è previsto per le successioni. Tanto meno per l’introduzione di una patrimoniale.
Per il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale è previsto ben poco. Anzi si afferma che “andrebbe in particolare considerato attentamente il meccanismo del cosiddetto reverse charge, (l’Iva trattenuta alla fonte – NdR), valutando attentamente il suo effettivo impatto sul recupero del gettito evaso”. Mentre è noto che ha conseguito un robusto recupero di imposta. Piuttosto che inasprire la lotta all’evasione si auspica un meccanismo di premialità per i contribuenti leali (verrebbe da chiedere: cioè per la quasi totalità dei lavoratori dipendenti e dei pensionati?). Le “rottamazioni” delle cartelle esattoriali sarebbero un esempio da seguire anche in futuro, probabilmente in occasione del varo della prossima riforma fiscale.
Per quanto concerne l’Irpef si punta ad abbassare l’aliquota effettiva per lo scaglione medio tra i 28mila e i 50mila euro, la cosiddetta “gobba” determinata dal bonus del 2014 (Renzi) e da quello del 2020, e a un disboscamento delle deduzioni, delle detrazioni e, più in generale, delle spese fiscali, le cosiddette tax expenditures. Le quali sono 620 e determinano un mancato gettito di 75 miliardi. Tra esse, anche una parte dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) per circa 17 miliardi. Sul punto il documento propone “la progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l’ambiente, evitando aggravi di costi per le imprese”. Cioè, in parole povere, non si riducono – alla faccia della transizione ecologica!
L’unità impositiva resterebbe il reddito individuale, non quello familiare, sconfessando i modelli di imposizione familiare (quoziente o splitting) molto cari alla destra. L’obiettivo è quello di favorire l’offerta di lavoro femminile, che sarebbe penalizzata dal cumulo dei redditi. Si propone anche di rivedere la detrazione per coniuge a carico e introdurre per un periodo definito una imposizione agevolata in caso di ingresso al lavoro del secondo percettore di reddito in famiglia. Si prevede anche una tassazione agevolata per i giovani under 35.
Per gli autonomi viene confermata l’attuale flat tax e si indica il superamento della ritenuta d’acconto con l’istituzione di un nuovo meccanismo di rateizzazione del saldo e del primo acconto in sei rate mensili.
Per quanto concerne l’Iva, la madre di tutte le imposte evase (35 miliardi di gettito evaso), si propone una semplificazione e una riduzione dell’aliquota ordinaria. Non si capisce come una riduzione complessiva del gettito Iva possa conciliarsi con il costo complessivo delle proposte e con l’indicazione europea di spostare il carico tributario dall’imposizione diretta a quella indiretta. Posizione comunque da contrastare in quanto ne deriva l’implicita sottovalutazione degli effetti distributivi, che conseguirebbero per i redditi medio-bassi e bassi, ove la manovra di ricomposizione tributaria avesse un minimo di consistenza.
Alla fine, dunque, si è scelto di confermare il nostro sistema fiscale ibrido che prevede molteplici regimi di tassazione diversi dall’Irpef, rifiutando alla radice un riordino più adatto a conseguire la progressività fiscale prevista dalla Costituzione. Non si intaccano i patrimoni dei più ricchi e si favoriscono le società senza contropartite reali. Una delle poche note positive è che non è stata presa in considerazione la flat tax proposta dalle destre, peraltro poco attuabile.
Di fronte all’aumento della povertà, le scelte delle due Commissioni e della maggioranza di governo sembrano volere favorire la parte superiore della nostra società, i vincenti della globalizzazione.