Con riferimento all’articolo “Un golpe nelle carceri” pubblicato sul vostro giornale, vorrei esprimere alcune osservazioni.
Mi ha creato rabbia e turbamento l’essere chiamata in causa impropriamente in una vicenda così raccapricciante quale quella del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove si sono verificati il cortocircuito di diritti inviolabili e la violazione di qualsiasi norma di uno Stato di diritto. In quella struttura è stata calpestata la dignità umana. Avrei gradito che fosse stata controllata la mia pagina pubblica sul sito del Senato, il mio curriculum, da cui si evince l’impegno profuso sia da direttore di carcere sia da senatrice della Repubblica.
Nel mio impegno pubblico ho acceso i riflettori sull’urgenza di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e di tutti i lavoratori, in modo da rendere vivibile e dignitoso il carcere nel rispetto dei principi costituzionali. Ho presentato emendamenti e proposte di legge. Ho fatto interventi in aula e in commissione, ho lavorato a lungo per la diffusione dello sport nelle carceri minorili, per la mediazione, per l’esecuzione penale in comunità esterne, a favore del rafforzamento della rete delle Rems per i soggetti psichiatrici. E ancora, sull’incremento degli organici di educatori, direttori, agenti della Polizia Penitenziaria, per la creazione della figura dei mediatori culturali: molte di queste proposte sono state recepite dal governo Conte, che ha dato un’accelerazione nelle assunzioni. Quando si parla di riordino delle forze dell’ordine, non si può dimenticare il necessario allineamento della Polizia Penitenziaria alle altre forze di polizia, ricordando, tra l’altro, il lavoro prezioso di questo corpo, a livello di interforze, nella repressione dei crimini di mafia.
Per andare più direttamente al contenuto del vostro articolo, desidero sottolineare come, nella commissione bicamerale Semplificazione, in qualità di relatrice sul provvedimento di riordino delle forze dell’ordine, ho presentato un parere con osservazioni, sottolineando la necessità che fosse ripristinato il vincolo gerarchico della Polizia Penitenziaria rispetto al direttore, in quanto quella modifica presupponeva una riforma strutturale dell’ordinamento penitenziario. Pertanto, in concreto oggi vige il principio gerarchico, per cui nulla è mutato: il direttore resta a capo della struttura.
Non si possono correlare due fatti distinti: uno di abominevole violenza, l’altro il riordino della polizia penitenziaria. Questi accostamenti non possono che creare confusione e conflittualità: la responsabilità penale è personale per cui va evitata qualsiasi strumentalizzazione politica.
I riflettori sul carcere devono restare accesi ma occorre una visione condivisa, scevra da condizionamenti politici, che possa portare l’Italia a raggiungere un grande risultato: fare delle carceri il luogo dei diritti.
Bruna Piarulli
Cara senatrice, ho letto con attenzione la sua lettera che non fa che rafforzare il mio convincimento nel cercare di capire quali siano le cause che hanno determinato i fatti di Santa Maria Capua Vetere, così come si fa per qualsiasi evento. Ebbene, tra le tante cose da lei citate vi è anche il riordino della Polizia Penitenziaria, di cui lei evidenzia la necessità legittima dell’allineamento alle altre forze di polizia; mi consta, infatti, che la sua pregressa esperienza come direttore e la sua conoscenza professionale del commissario Salvemini l’abbiano opportunamente orientata a sostenere l’originaria bozza di decreto, salvo poi farla rettificare quando i dirigenti penitenziari insorsero con particolare riferimento al ripristino del vincolo gerarchico.
E poiché gli eventi raccontano la necessità di riequilibrare il sistema proprio in riferimento alla figura del direttore penitenziario, ed essendo io un cronista, questo ho evidenziato, con la certezza o la speranza che il contributo attuale di tutte le forze in campo faccia ammenda degli errori commessi, così da poter procedere in senso diverso.
Del resto, a riprova della mia buonafede e consapevolezza dei limiti di quella che continuo a considerare una sciagurata scelta politica, è lo stesso ex capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), Francesco Basentini, che in una intervista si pugnala da se stesso dichiarando, a proposito del ripristino della calma nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: “Il provveditore Fullone mi teneva costantemente aggiornato sulle situazioni di maggior rischio, come appunto Santa Maria Capua Vetere (…). Il giorno successivo mi inviò il messaggio per informarmi che avevano proceduto a una perquisizione straordinaria (…)”.
Dunque il capo del Dap è in comunicazione costante con il provveditore Fullone, ma non si relaziona mai con la direttrice del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Di questo stiamo parlando.
Guido Ruotolo