L’incontro era nell’aria da tempo. Ai membri del Collettivo autonomo lavoratori del porto (Calp) di Genova – in prima linea nello sciopero pacifista sulle banchine del 2019, e che da allora hanno continuato combattivamente a propugnare un’idea di porto etico libero dalle armi – non era sfuggito il riferimento elogiativo alla loro lotta presente in un discorso del papa, in cui si faceva accenno ai portuali che avevano respinto una nave carica di armi. “I lavoratori del porto hanno detto no. Sono stati bravi”, aveva detto Francesco. Così i portuali gli avevano scritto chiedendo una udienza: “Abbiamo deciso di rivolgerci a lei perché abbiamo bisogno di un atto di solidarietà e di coraggio da parte sua per dimostrare che non si deve avere paura di dire la verità, di lottare per la pace, contro quella che giustamente lei ha definito ipocrisia armamentista”. E la lettera proseguiva con un accenno al fatto che, alcuni di loro, sono stati inquisiti dalla procura di Genova: “Ci creda, siamo tutto fuorché delinquenti, abbiamo organizzato scioperi, blocchi, per attirare l’attenzione su quanto stava passando nei porti”.
La lettera è andata a buon fine: il 23 giugno, grazie anche all’interessamento del cardinale Francesco Coccopalmerio e del direttore del giornale Faro di Roma, Salvatore Izzo, i portuali di Genova hanno potuto incontrare il papa, che li ha ricevuti insieme a una delegazione guidata dal professor Luciano Vasapollo, in cui erano presenti anche rappresentanti della scuola di economia antropologica diretta dal docente alla Sapienza di Roma. “Avete coraggio a non caricare le armi”, ha detto loro il papa, che si è concesso anche una battuta riguardo alla proverbiale parsimonia dei genovesi, scherzando sul fatto che chi rischia una parte dello stipendio, se non addirittura il posto, e in alcuni casi subisce denunce penali per il rifiuto di svolgere un servizio che ritiene immorale, dà prova di una generosità che contrasta con lo stereotipo dell’avarizia ligure. “Siamo padri di famiglia, non vogliamo che siano uccisi altri bambini”, ha spiegato uno di loro. Un rappresentante dei portuali ha anche potuto incontrare Francesco in privato, dove lui ha dato tutto il suo appoggio e la sua solidarietà alle lotte e all’azione di bloccare le navi con le armi, che, nata a Genova, ha trovato adesione in altri porti italiani, come abbiamo recentemente ricordato. Dopo l’incontro cordialissimo con la delegazione, Bergoglio si è nuovamente soffermato sulla questione dei portuali ribadendo: “Continuate queste lotte, bene avete fatto a bloccare queste navi da guerra cariche di armi, continuate così”, e, aggiungendo – con riferimento ai lavori che gli avevano presentato i membri della delegazione di economisti antropologi – l’auspicio che il Mediterraneo torni a essere “un mare di cultura e di unione dei popoli piuttosto che un grande cimitero di umanità”.
Una questione che va al di là dell’incontro
Certo, rimangono alcune riflessioni da fare a margine dell’incontro che, se da una parte testimonia la sorprendente capacità dei portuali di fare sentire la loro voce anche in sedi non direttamente legate al mondo del lavoro e delle rivendicazioni sindacali e politiche, e dall’altra esprime un’attenzione non occasionale di papa Francesco alla tematica del disarmo e della pace, si inquadra, però, in una temperie storica nient’affatto favorevole. Come ricordato in un precedente articolo sul tema, sembra che grandi interessi geopolitici ed economici premano per una revisione della legge 185/90 che proibisce l’export di armi a paesi in guerra o che violano i diritti umani. In particolare, è sotto attacco un provvedimento del governo Conte 2 del gennaio scorso, che prevede la rimozione delle autorizzazioni alla esportazione di missili e bombe verso Riad e Abu Dhabi, un vero e proprio embargo. Un funzionario del ministero degli Esteri, Gianluca Di Feo, ha dichiarato recentemente che “l’embargo sta desertificando i nostri rapporti con gli Emirati Arabi”, sottolineando il dispiegarsi di un gioco di ripicche e piccoli dispetti a livello diplomatico, di cui attesta, per esempio, la vicenda finita in tribunale dei rapporti tra Alitalia ed Etihad. La procura di Civitavecchia sta infatti accertando se ci siano stati abusi e irregolarità nella gestione della compagnia aerea emiratiana. Oggetto dell’indagine sono i comportamenti di manager di alto livello, e sono state presentate richieste di risarcimento piuttosto ingenti. Certo la questione della vendita di armi e del loro trasporto rimane in questo caso sullo sfondo, ma è indice di rapporti non propriamente idilliaci tra Italia ed Emirati. Tertius gaudens in questo giro di tensioni parrebbe essere invece il Qatar, storico rivale degli Emirati, che pare attenda dall’Italia la fornitura di una intera flotta.
In qualsiasi modo evolva il quadro, la lotta dei lavoratori del porto di Genova rimette al centro delle contese geopolitiche la soggettività operaia, capace di assumere inaspettatamente una rilevanza nazionale sulla questione, con risvolti e contatti anche internazionali. Si comincia a profilare un ciclo di lotte che potrebbe contare sullo scacchiere complesso della partita che si sta svolgendo intorno alla legge 185/90 e alla ridefinizione degli equilibri di forze e delle alleanze nel Mediterraneo del sud e nel Medio Oriente.