Perché la direttrice del carcere di Santa Maria Capua Vetere quel maledetto 6 aprile del 2020, il giorno del massacro dei detenuti, era assente? La direttrice Palmieri era malata e non informata di ciò che stava per accadere. Anche la sostituta Parenti, l’unica che avrebbe dovuto autorizzare la perquisizione straordinaria, fu tenuta all’oscuro di tutto.
Con un golpe e una prova di forza, l’anima fascioleghista del corpo della Polizia Penitenziaria pianificò il massacro. A coordinarlo il provveditore degli istituti di pena della Campania, che aveva creato un gruppo d’azione autogestito e autorizzato all’uso delle armi.
Più si scava nella terribile vicenda del massacro dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere, dove sono indagati ben 159 dipendenti dell’amministrazione penitenziaria (52 hanno ricevuto misure interdittive e di custodia cautelare), più emergono fatti e circostanze intollerabili.
Per dirla subito in modo molto chiaro: c’è stato sulle carceri un golpe istituzionale studiato e attuato dal primo governo Conte, quello dell’alleanza Lega-5 Stelle, che le consegna al corpo della Penitenziaria, relegando i direttori dell’amministrazione penitenziaria, che dovrebbero avere un ruolo di garanzia, a un compito solo amministrativo e gestionale.
Ritorneremo su quella circolare del capo della Polizia, prefetto Franco Gabrielli, del 29 gennaio del 2021, che affronta il problema delle rivolte e delle proteste nelle carceri. C’è un passaggio, al suo interno, che sancisce la coabitazione di due figure responsabili della struttura carceraria: il direttore è il responsabile della struttura, il comandante del reparto della Polizia Penitenziaria è il responsabile della sicurezza.
La circolare Gabrielli richiama il regolamento del corpo della Polizia Penitenziaria: “In ordine ai compiti e all’autonomia del comandante di reparto, e in ordine all’intervento delle forze di polizia, affida in via esclusiva al comandante del reparto il mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno dell’Istituto, e al direttore la residuale facoltà di richiedere al prefetto l’intervento delle forze di polizia in caso di gravi eventi, non gestibili con le risorse a disposizione”.
La circolare Gabrielli, emanata dopo le rivolte in 22 istituti carcerari dell’aprile del 2020, è nei fatti la conclusione del riordino dell’amministrazione penitenziaria, la cui responsabilità politica è dell’allora ministro guardasigilli Bonafede e del vertice del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), Francesco Basentini.
Il riordino (con la circolare Gabrielli) suggella quello che sbandiera ai quattro venti come un proprio successo Donato Capece, il segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria con maggiori pulsioni di destra e corporative, il Sappe: “Emerge chiaro – scrive Capece a mezzo governo – che il corpo di Polizia Penitenziaria, e non i direttori, ha il compito di garantire l’ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari”. Il regolamento – ricorda il segretario del Sappe – prevede che, se non si è in grado di mantenere la sicurezza, si chiede al prefetto l’intervento delle forze di polizia.
Torniamo al riordino dell’amministrazione penitenziaria del 2019. Viene riconosciuta la funzione dirigenziale ai comandanti di reparto, anche se non si specifica il mandato loro assegnato. Il primo passo del golpe prevede che, nei fatti, la funzione di garante del direttore sia stata cancellata. E anche la subordinazione gerarchica della Penitenziaria nei confronti dei direttori viene messa in pensione.
È il tempo della leva leghista-pentastellare, dentro la burocrazia del Dap e del ministero della Giustizia. Diventa uno dei protagonisti di questo golpe l’ex comandante del reparto della Penitenziaria del carcere di Trani, Alessandro Salvemini; e diventa senatrice dei 5 Stelle l’ex direttrice del carcere di Trani, Bruna Piarulli. Salvemini finisce nel gabinetto del ministro Bonafede, suo referente per il riordino della Polizia Penitenziaria.
L’operazione, in dirittura d’arrivo, subisce dei contraccolpi. Una parte del Pd, preoccupata dalla deriva securitaria, riesce a preservare, almeno sulla carta, il vincolo gerarchico del direttore sul comandante di reparto della Polizia Penitenziaria. I fatti di Santa Maria Capua Vetere si inseriscono in questo contesto. Oggi siamo in presenza di un drammatico vuoto di potere nelle carceri, generato dalle pulsioni fascioleghiste e dei 5 Stelle. Sintetizza un dirigente carcerario: “Santa Maria Capua Vetere è figlia del complotto delle divise contro i civili dell’amministrazione penitenziaria”.