La lunga telenovela parlamentare intorno al disegno di legge Zan, fermo da tempo in commissione Giustizia del Senato a causa dell’atteggiamento ostruzionistico della destra, si è arricchita di una mossa a sorpresa da parte del Vaticano, che “informalmente” (cosa voglia dire in questo contesto un avverbio del genere, ce lo spiegheranno poi gli esperti di diritto internazionale) fa sapere allo Stato italiano, con un nota consegnata all’ambasciatore presso la Santa sede, che la legge sarebbe in contrasto con alcuni punti del Concordato. È appena il caso di ricordare che il disegno di legge introduce delle aggravanti per chi aggredisce in modo violento o insulta una persona omosessuale, transessuale, o anche un disabile (in sostanza una estensione della legge Mancino che già punisce in modo specifico reati come l’espressione dell’odio razziale, le manifestazioni di antisemitismo e simili). Perché mai la Chiesa dovrebbe sentirsi limitata nella propria libertà di pensiero da un simile provvedimento? Non fu papa Bergoglio a pronunciare un giorno le cristianissime parole “chi sono io per giudicare?”, aprendo una volta per tutte – così si sperava – a un riconoscimento di quelle forme di vita fino a ieri messe al bando come “disordine” dalla dottrina ufficiale cattolica?
A noi che di Bergoglio, pur da laici o non credenti, siamo simpatizzanti (come si sarà accorto chiunque ci abbia seguito in questi mesi) piace pensare a una di quelle situazioni in cui il nostro amico in Vaticano abbia dovuto cedere, per timore di spingersi troppo oltre, alle pressioni provenienti dalla sua destra, interna ed esterna. Dopotutto (ne ha scritto proprio qualche giorno fa su “terzogiornale” Riccardo Cristiano), in una Conferenza episcopale importante come quella statunitense, il papa ha solo il 24% dei voti. Ed è presumibile che, anche in Italia, quello attuale sia un pontificato di minoranza.
Ciò nonostante, o anzi proprio per questo – cioè per la carica riformatrice che vediamo all’opera in Bergoglio –, crediamo fermamente che, al fine di sostenere la sua azione, non si debba cedere alla intromissione vaticana. Anche perché le motivazioni ufficiali addotte sono risibili. Si intralcerebbe l’attività delle scuole private cattoliche con l’introduzione di una “giornata contro la omotransfobia”? Ma di cosa parliamo? Se in una scuola qualsiasi, un insegnante volesse riaffermare il principio che una famiglia è una famiglia solo se basata sull’unione di coniugi eterosessuali, potrebbe benissimo farlo. Ciò che la legge intende promuovere è una coscienza antidiscriminatoria: l’eventuale insegnante cattolico tradizionalista non sarebbe in alcun modo limitato nell’espressione del proprio pensiero; sarebbe indotto piuttosto a non disprezzare, e soprattutto a non insultare pubblicamente, chi voglia vivere in modo diverso la propria sessualità. Non si tratta in alcun modo di disegnare una sorta di antropologia alternativa a quella cattolica, ma di educare al pluralismo delle forme di vita.
Certo, se il pretonzolo di quartiere, o l’alto prelato che sia, scatenasse i propri demoni interiori producendosi in qualche omelia offensiva contro le unioni gay, minacciando non le fiamme dell’inferno ma più concrete misure punitive terrene, allora rientrerebbe nelle aggravanti previste dal disegno di legge. Ma sarebbe un bene per la Chiesa cattolica la spinta che ne deriverebbe verso l’acquisizione di uno spirito “protestante”. Il segno che Bergoglio sta cercando di imprimere va proprio in questa direzione. Le forze politiche progressiste italiane devono comprenderlo: dare una mano al papa vuol dire infischiarsene dell’interferenza vaticana ufficiale e andare avanti.
Sotto un profilo più generale, infine, il provvedimento di legge rientra in quel ritiro della tolleranza che è necessario adottare nei confronti degli intolleranti. In altre parole, è del tutto specioso (termine difficile che si può tradurre con “falso”, “sbagliato”, ma con una sfumatura di pelosa furbizia) sostenere che si violerebbe il principio della libera espressione delle opinioni quando invece si mira a reprimere soltanto le manifestazioni di odio e di violenza. La omotransfobia – come l’antisemitismo, o la giudeofobia, o ancora la islamofobia e simili – non è un’opinione. È un reato, e come tale va trattato.