Oggi, parafrasando un famoso slogan femminista degli anni Settanta, dovremmo gridare “la vita è mia e la gestisco io”. Sì, perché l’autodeterminazione dell’individuo, sancita dalla Costituzione, è sacrosanta. Eppure, a differenza di altri Paesi europei e non, in Italia non c’è una legge che definisca ed estenda il concetto di autodeterminazione a tutta la sfera sanitaria, incluso il fine vita. I notevoli passi avanti della scienza e della tecnologia hanno portato alla possibilità di salvare molte più vite umane rispetto al passato, ma troppo spesso a scapito della dignità dell’individuo. Non si contano i casi balzati all’onore della cronaca di persone ridotte a una vita insostenibile e invalidante, senza possibilità di cura, che non hanno la possibilità di scegliere se continuare o meno la propria esistenza. E non sono pochi coloro costretti a raggiungere la Svizzera per avere la tanto agognata “dolce morte”.
Proprio per il rispetto dovuto a questa tematica che riguarda tantissimi e con la quale tutti noi dobbiamo fare i conti, l’Associazione Luca Coscioni – con l’appoggio di numerosi partiti e il sostegno di Arci e Cgil nuovi diritti – ha dato il via alla raccolta firme per il referendum sulla eutanasia legale che dovrà raccogliere almeno cinquecentomila adesioni entro il 30 settembre. La campagna si è già aperta a Roma e a Milano, e dal 30 giugno sarà estesa a tutto il territorio nazionale.
Qualcuno si interrogherà circa la bontà del ricorso all’uso di questo istituto di democrazia diretta che scavalca il parlamento. Non siamo per un utilizzo indiscriminato di questo strumento che, come nel caso del referendum sulla giustizia promosso dai radicali e appoggiato dalla Lega – di cui abbiamo già parlato su “terzogiornale” –, rischia di venire utilizzato in chiave populistica escludendo un necessario iter riformatore da parte del parlamento. Nel caso dell’eutanasia legale, però, l’utilizzo è appropriato, e rappresenta la via più veloce per il conseguimento di un importante diritto civile riparando a un vuoto normativo.
Il quesito referendario riguarda l’articolo 579 del codice penale sull’ “omicidio del consenziente” e la sua parziale abrogazione, così da prevedere la non punibilità dell’eutanasia “attiva”, cioè di quella “buona morte” che il medico dà con la somministrazione di farmaci a chi richiede di lasciare questa vita. La formulazione modificata dal quesito reciterebbe: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.
Non si tratta solo di mettere nero su bianco un diritto fondamentale della persona, ma anche di colmare il vuoto normativo per cui la Consulta ha sollecitato un tempestivo intervento da parte del legislatore. Nel 2019, infatti, nel processo a Marco Cappato per aver aiutato dj Fabo nel percorrere la strada del suicidio assistito, la Corte costituzionale dichiarò l’imputato non colpevole bocciando l’art. 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) ritenendo non punibile chi, in determinate condizioni, agevoli il proposito di suicidio di coloro che soffrono a causa di patologie irreversibili e siano tenute in vita con il sostegno di trattamenti medici.
Ma l’urgenza di addivenire a una normativa non è bastata a far sì che il parlamento desse corso all’iter legislativo, a fronte di diversi disegni di legge presentati negli ultimi anni, a cominciare da una legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia depositata alla Camera nel 2013 e ancora ferma, a cui sono seguite altre proposte di legge targate Lega, 5 Stelle e radicali, tuttora lettera morta.
Lo scorso maggio è stato presentato un testo base in Commissione da Alfredo Bazoli del Pd e Nicola Provenza dei 5 Stelle, che prende le mosse dalla proposta di iniziativa popolare e prova a mediare tra le diverse posizioni presenti in Aula, ma non è ancora stato esaminato. A detta di alcuni, non c’è la volontà politica di portarlo avanti, e molto probabilmente anche questo provvedimento si arenerà. Inoltre, benché salutato con gradimento dallo stesso Marco Cappato dell’Associazione Coscioni, quest’ultimo tentativo legislativo presenterebbe delle lacune, perché escluderebbe dal diritto al suicidio assistito chi è colpito da sofferenze insopportabili e irreversibili ma non dipende da trattamenti salvavita, come i malati di cancro. In questo modo si verrebbe a creare una grave discriminazione tra malati.
Alla luce della situazione, ben venga dunque l’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni, che procede con l’obiettivo di raggiungere una piena e non discriminatoria legalizzazione dell’eutanasia, sul modello olandese, il primo a essere stato approvato in Europa e in vigore dal 2002.
Come per l’aborto, di cui si parlava all’inizio, anche per l’eutanasia vale il diritto ad averne accesso, al di là del pensiero individuale. Chi non voglia usufruirne, libero di farlo. Ma che non impedisca a chi ne avverte la necessità di potervi accedere.