
Il responso delle urne in Ecuador è stato chiarissimo e ha assegnato la vittoria a Daniel Noboa, con il 56% dei suffragi, un vantaggio sulla candidata di sinistra, Luisa González, di dodici punti. Una “tendenza irreversibile”, secondo il Consejo nacional electoral (Cne), che ha diffuso la notizia a conteggio non ancora concluso. Anche se González ha chiesto che le forze armate e la polizia non interferiscano con lo scrutinio, denunciando una “grottesca frode elettorale” e chiedendo il riconteggio delle schede, lo scarto del voto a favore di Noboa, oltre a smentire tutti i sondaggi che alla vigilia prevedevano un pareggio tecnico tra i due, difficilmente si presta a una lettura che faccia anche solo sospettare una vittoria fraudolenta.
In un clima di crescente tensione politica, la campagna elettorale per l’elezione del nuovo presidente ecuadoriano ha fatto perno principalmente sulla paura. Da un lato, quella del ritorno del correismo e del suo stesso capofila, Rafael Correa, condannato per un caso di corruzione che lui considera una persecuzione giudiziaria e lo ha portato a rifugiarsi in Belgio. Dall’altro, la paura suscitata in larga parte della società ecuadoriana dal giovane presidente Daniel Noboa per il suo presunto autoritarismo, la mancanza di risultati della sua gestione, specialmente sul fronte della sicurezza, e l’ombra di avere favorito i familiari nel concedere contratti con lo Stato.
Il probabile ritorno nel Paese di Rafael Correa, in caso di vittoria della candidata progressista di Revolución ciudadana, Luisa González, ha riacceso il timore che suscita la sua presunta sete di vendetta contro gli oppositori, e, in campo economico, la minaccia di un ritorno alla moneta nazionale, mettendo fine alla dollarizzazione. Oltre a questo, un certo peso lo ha avuto anche la sicura liberazione dell’ex vicepresidente Jorge Glas, che una vittoria di González avrebbe comportato. La sua carcerazione, per appropriazione indebita di fondi pubblici, macchia indelebilmente l’esperienza del decennio di governi progressisti, guidati dall’ex seminarista fautore del socialismo del “XXI secolo”. Il quale, nel 2020, era stato condannato a otto anni di carcere in contumacia per aver organizzato una rete di corruzione, tra il 2012 e il 2016, quando avrebbe ricevuto contributi indebiti per finanziare il suo movimento in cambio di contratti statali a uomini di affari.
Lo sforzo di Luisa González – teso a prendere una prudente distanza, senza rompere, da Rafael Correa, il suo mentore politico – non ha prodotto i risultati sperati, mentre non le è bastato l’appoggio della formazione indigena del Pachakutik, che al primo turno aveva ottenuto il 5% dei voti, in passato molto critico contro la linea “estrattivista” espressa in economia da Correa, accusato di avere saccheggiato le risorse ambientali del Paese. Profondamente religiosa, i suoi inizi in politica non sono stati proprio a sinistra, salvo poi cedere al socialismo con radici cristiane promosso da Correa. Il suo rifiuto dell’aborto, anche in caso di stupro, non le ha risparmiato critiche tra l’elettorato più giovane e progressista che ha cercato di rappresentare.
Candidata presidenziale nelle elezioni del 2023, convocate in anticipo da Guillermo Lasso per evitare un’indagine per corruzione, González perse per 370.000 voti al ballottaggio contro Daniel Noboa, figlio di uno degli uomini più ricchi dell’Ecuador, il magnate delle banane Álvaro Noboa, candidato alla presidenza in cinque occasioni. Con la sua vittoria del novembre 2023, Daniel, 35 anni, è stato il presidente più giovane della storia dell’Ecuador. Nelle elezioni del febbraio di quest’anno, Luisa era arrivata dietro a Noboa per solo diciassettemila voti, in un Ecuador che si è trasformato nel Paese più pericoloso dell’America latina, con un tasso di trentotto omicidi ogni centomila abitanti nel 2024. Lo scorso gennaio, con i suoi 832 omicidi, è stato il mese peggiore di tutta la storia dell’Ecuador, e febbraio, il secondo peggiore. Nell’anno in corso, il Paese potrebbe raggiungere il tasso più alto del mondo con quarantotto omicidi ogni centomila abitanti, come ricorda Luis Carlos Córdova-Alarcón dell’Università centrale dell’Ecuador. A differenza della mano dura di Noboa, che ha militarizzato il territorio, González proponeva di investire nella salute e nell’istruzione pubblica.
Data la situazione, la principale preoccupazione degli ecuadoriani è diventata la violenza, andata ad aggiungersi, sovrastandoli, ai problemi economici e alla corruzione. L’avere agitato la paura di un ritorno al passato, agli anni di Correa, che per molti in Ecuador sono sinonimo di corruzione, autoritarismo e della difesa del Venezuela e del suo governo, che l’ex presidente ha fatto durante gli ultimi giorni di campagna, ha pesato sulla scelta degli elettori, che quotidianamente convivono con mezzo milione di rifugiati venezuelani. I riferimenti al Venezuela e a Cuba, il pericolo che una vittoria della candidata progressista avrebbe fatto scivolare il Paese verso una “Ecuazuela”, fatti da Noboa in campagna elettorale, come modelli da evitare, hanno avuto presa. Insieme con la disinformazione e la xenofobia che, non solo in Ecuador, imputano ai venezuelani di essere i principali responsabili dell’aumento della criminalità, oltre all’accusa di sottrarre posti di lavoro e di beneficiare di sostegni economici.
Daniel Noboa Azín è l’erede dell’impero delle banane più potente dell’Ecuador. Cresciuto tra privilegi, dal padre Álvaro ha ereditato il desiderio di governare, cosa che al genitore non è riuscita nelle cinque volte che ha dato l’assalto alla presidenza. Ha vinto al suo primo tentativo, e ha realizzato il sogno frustrato di Álvaro. Al contrario di lui, si definisce un uomo di centrosinistra, e, in passato, ha rivelato di provare ammirazione per Lula Da Silva. Un peccato che la destra ecuadoriana gli ha volentieri perdonato, garante la sua appartenenza a una delle più ricche famiglie del Paese. Così l’appoggio politico degli ambienti conservatori non gli è mancato, fin dal 2023, quando ha deciso di correre senza avere un proprio partito alle spalle.
Sommelier e collezionista di peperoncini, Noboa, ha praticato il vegetarianismo. Da ragazzo, voleva dedicarsi alla musica, mentre coltiva una passione per le auto, i cavalli e le chitarre. Il centro della sua proposta politica è la sicurezza, e in Ecuador probabilmente non poteva essere altrimenti. La sua battaglia contro il traffico di droga ha incluso il dispiegamento di militari per le strade, operazioni all’interno delle carceri ed esibizioni di massa di prigionieri in mutande, pratiche che ha mutuato dal salvadoregno Nayib Bukele. Scelte che gli hanno procurato dure critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani per un uso eccessivo della forza. Durante la sua amministrazione, quattro bambini sono stati uccisi e bruciati a Guayaquil, spingendo la magistratura a incriminare sedici militari quali autori del misfatto. La cosa ha creato molta sensazione nel Paese e ha generato uno scandalo che ha colpito la sua politica di sicurezza. Teso anche il suo rapporto con la vicepresidente Verónica Abad, che lo ha denunciato per violenza di genere dopo essere stata allontanata dalle sue funzioni.
Noboa ha vinto giocando la carta della continuità del suo governo. Eserciterà la carica di presidente dell’esecutivo mentre sua madre, Anabella Azín, la più votata tra i deputati, potrebbe diventare la prossima presidente dell’Assemblea. Se ciò accadesse, la realtà supererebbe di gran lunga ogni fantasia concepita in passato da Álvaro, portando la famiglia a controllare, a un tempo, esecutivo e legislativo. Di carattere schivo, Daniel non ha atteso il risultato nella capitale e ha disertato la festa organizzata dai suoi sostenitori a Quito. Ha festeggiato in famiglia, nella lussuosa casa in riva al Pacifico. Si è limitato a mandare un breve messaggio ai suoi, che sono scesi nelle strade della capitale al grido di: “Non vogliamo il socialismo”, “non vogliamo essere il Venezuela”, “non vogliamo la dedollarizzazione”.
Nei prossimi quattro anni, Noboa dovrà mantenere quanto promesso e sradicare la criminalità che tiene l’Ecuador in un perenne stato di emergenza. Un risultato che, per il momento, non è riuscito a raggiungere col suo breve primo governo. Tese le sue relazioni con i governi di sinistra. Con il governo messicano ha addirittura rotto le relazioni, nell’ aprile 2024, dopo aver ordinato, in barba al diritto internazionale, l’ingresso della polizia nella sua ambasciata per arrestare l’ex vicepresidente Jorge Glas, condannato per corruzione.
Sul finire della campagna elettorale, grazie anche ai sondaggi che davano aperta la partita per la presidenza, in Revolución ciudadana si era fatta strada l’idea che, di fronte a una possibile vittoria di González, Noboa si sarebbe rifiutato di riconoscere la sconfitta. Quanto è accaduto è stato invece l’esatto contrario, con lo schieramento progressista che ha visto, ancora una volta, frustrato il desiderio di ritornare al potere dopo l’interruzione del 2017.
Tuttavia, la misura del trionfo non era, per Noboa, nemmeno immaginabile. Del resto la radicalizzazione vissuta dal Paese di fronte alla scelta presidenziale si riflette sulla grande partecipazione degli elettori, l’84% del corpo elettorale, tre punti percentuali in più rispetto al primo turno. Un risultato cui ha contribuito anche il voto degli ultrasessantacinquenni, poco più di un milione e mezzo di persone, non obbligati a votare, ai quali Noboa aveva lanciato un appello affinché partecipassero. Se la storia del voto fraudolento avrà un seguito, dipenderà in massima parte dalla capacità di mobilitazione della sinistra. Ma la differenza a favore del presidente è stata così ampia, che convincere il Paese che il risultato del voto è frutto di brogli non sarà per nulla facile.