
“Perché – ci viene domandato – non avete aderito alla manifestazione ‘con solo bandiere europee’ lanciata da Michele Serra per sabato 15 marzo?” La risposta, pur richiedendo qualche argomento di spiegazione in più, potrebbe essere sintetizzata così: perché non ci convincono le piazze che si mobilitano senza una piattaforma politica chiara. Siamo europeisti, lo siamo da sempre, e anzi ci augureremmo una maggiore integrazione dell’Unione, ma mai ci verrebbe in mente di agitare semplicemente la bandiera europea. Non diciamo nemmeno che, accanto a quella, vorremmo vedere sventolare la bandiera della pace (o, non sia mai, quella rossa!); se si tratta di andare in giro con la bandiera azzurrostellata, ci piacerebbe però che almeno fosse chiaro perché lo facciamo.
Ora – diciamoci la verità – negli scorsi giorni si sono viste almeno due idee di Unione europea. La prima è quella che mira a una (peraltro relativa) emancipazione dalla tutela statunitense (che con Trump rischia di venire meno) attraverso un rafforzamento militare affidato ai singoli Stati, con una spesa tutt’altro che indifferente, in una prospettiva di costruzione – vaga e non si sa bene con quali tempi – di una difesa comune. La seconda punterebbe invece fin da subito, magari mediante l’emissione di eurobond, a dare vita al progetto di un unico esercito europeo. Fermo restando che ci piacerebbe di più se l’Unione sciogliesse contestualmente anche altri suoi storici nodi (per esempio quello di un’armonizzazione delle politiche fiscali tra i diversi Stati), ci dichiareremmo comunque soddisfatti se, riguardo alla difesa, si procedesse verso una lineare integrazione delle forze. Ma, come ha mostrato il voto di qualche giorno fa al parlamento europeo, le cose si stanno mettendo nella maniera opposta: saranno essenzialmente i singoli Stati, con il loro debito pubblico, a finanziare la prospettiva di riarmo; e lo scantonamento dalle rigide compatibilità di bilancio potrà avvenire soltanto riguardo alla difesa, senza che si riesca a scorgere una correzione di rotta in materia di austerità in generale.
In questa situazione, al di là di un generico europeismo, ci saremmo aspettati una presa di posizione da parte di chi, con entusiasmo, ha lanciato l’idea della manifestazione. Quello che abbiamo capito, invece, è che – anche per fare posto ad associazioni di base come quelle cattoliche – sarà benvenuta, insieme con quella europea, la bandiera della pace. Così, però, si resta nel vago e nel generico: chi mai è per la guerra? Anche quelli più fortemente anti-Putin non vedono di cattivo occhio un inizio di trattative per una tregua, sebbene sottolineino (del resto a ragione) che debbano esserci delle garanzie per l’Ucraina. Il punto dirimente non è nemmeno la posizione anti-Trump, del tutto scontata, da una parte, e, dall’altra, inessenziale riguardo alla questione del momento. Che è piuttosto: quale Europa?
È intorno a una domanda del genere, e sulle risposte alternative possibili, che andrebbero convocate piazze perfino opposte. Quelli che sono per un’Europa ancora e sempre degli Stati si vedranno in una; quelli che vogliono spingere per una maggiore integrazione si vedranno in un’altra. Sappiamo, tuttavia, che le cose non sono così lineari come sarebbe bene che fossero; sappiamo che il gruppo dei socialisti e democratici al parlamento europeo ha votato in modo maggioritario per la proposta di von der Leyen, che va in una direzione che non convince, e di come la segretaria del Pd si sia assunto l’ingrato compito di una posizione di minoranza.
Ma quelli che si vedranno in piazza sabato che cosa ne pensano? Da quale parte si collocano? Sono per un riarmo in capo ai singoli Stati o sono per andare velocemente, per quanto possibile, verso la costruzione di una difesa comune europea – senza dimenticare una serie di altri punti sui quali insistere per un’integrazione? La risposta non c’è. Prevediamo comunque che la manifestazione avrà successo, in parte proprio per la vaghezza dei suoi obiettivi. Per questo non ci sentiamo (non saremmo neanche in grado, in verità) di convocarne un’altra. Ci limitiamo a dire, riprendendo un vecchio e sotto certi aspetti glorioso slogan socialista – lanciato al momento della caduta nel baratro della Prima guerra mondiale, e tuttavia una parola d’ordine di compromesso escogitata per tenere insieme la componente massimalista e quella riformista –, che non aderiamo, ma nemmeno intenderemmo mai sabotare una piazza che vedrà in ogni caso la presenza di tante persone di buona volontà.