
Da quando Elly Schlein è stata eletta segretaria del Partito democratico, pezzi del partito – poco consistenti elettoralmente ma chiassosi e potenti – non hanno mancato occasione per boicottarla in ogni modo possibile (vedi qui), cercando di cogliere al volo e anzi auspicando una sua défaillance, che però non si è verificata visto che i risultati elettorali, dalle europee alle amministrative, sono stati nell’insieme soddisfacenti. Non sorprende affatto, allora, che il tema “riarmo europeo” agitato dalla presidente della Commissione europea, von der Leyen – contro cui si è schierata l’ex europarlamentare, in dissenso con la stragrande maggioranza del gruppo europeo dei socialisti e democratici – abbia riaperto le ostilità, e questa volta in modo più pesante, al punto che qualcuno, in particolare Luigi Zanda, ha sentito la necessità di chiedere un congresso da organizzarsi non oltre il 2026. Modalità novecentesca che, nella storia del Pd, è stata utilizzata poco o niente, sostituita dalle primarie di ispirazione statunitense, amatissime dal fondatore Walter Veltroni.
Che ora, per l’ex portavoce di Francesco Cossiga – ultraottantenne di origine democristiana, non esattamente “il nuovo che avanza” –, diventi necessario, al fine di definire la politica estera del Nazareno, a fronte di un innegabile cambiamento che sta sconvolgendo il pianeta, organizzare un congresso, appare quasi ridicolo. Ma negli obiettivi di quell’area cattolico-riformista (recentemente ritrovatasi in due differenti convegni: vedi qui), di cui appunto Zanda è esponente, come del resto Romano Prodi – altra “promessa” della politica –, c’è anche la modalità con la quale la segretaria è stata eletta, ovvero con le primarie aperte a tutti (vedi qui). Secondo Zanda, ci sarebbe infatti la necessità di cambiare lo statuto, decidendo una volta per tutte se il segretario lo scelgono gli iscritti oppure se chiunque possa continuare ad andare ai gazebo, magari senza essere un elettore del Pd o essendone addirittura un avversario. “Spero che le primarie di due anni fa siano state le ultime nelle quali gli iscritti sono stati messi contro i gazebo”, ha dichiarato Zanda.
Enigma antico e mai risolto, quello delle primarie “chiuse o aperte”. Una prassi che è stata spesso gestita allegramente, in modo poco trasparente, con la partecipazione al voto di elettori improbabili. Ma stavolta l’apertura, anche ai non iscritti, è stata messa in discussione perché, come ricordato, ha favorito la vittoria di Elly contro Stefano Bonaccini, vincente invece tra gli iscritti, dimostrando così il maggior gradimento della segretaria da parte di quel “popolo di sinistra” attratto da una giovane donna, aperta alla società e ai cambiamenti in corso, piuttosto che da un dirigente di partito eletto due volte presidente dell’Emilia-Romagna, la prima, nel 2014, con una partecipazione alle urne di appena il 37%, a causa della sua vicinanza allo sgradito segretario Matteo Renzi, resosi tra l’altro protagonista di attacchi contro i sindacati, attori essenziali della vita sociale e politica della regione; e ancora nel 2020, grazie alla mobilitazione del movimento giovanile delle Sardine, in mancanza della quale quell’affermazione, che superò di poco il 51%, non sarebbe stata affatto scontata.
È evidente che, pur riconoscendo la singolarità di scegliere un segretario o una segretaria attraverso il voto di chiunque, la vittoria di Schlein è stata un segnale indirizzato a un partito che, di sinistra, ha detto molto poco nei quasi vent’anni di vita. Altro tema utilizzato, nel contrasto alla segretaria, sarebbe il fallimento del “campo largo” (vedi qui, e ancora qui e qui), che invece alle amministrative in Sardegna, Emilia-Romagna e Umbria ha funzionato. Insomma, come abbiamo documentato, il dissenso nei confronti di Schlein va oltre gli scenari internazionali: il che è dimostrato anche dall’ostilità di pezzi del partito ai referendum promossi dalla Cgil contro il Jobs Act di renziana memoria, approvato nel 2015 da quasi tutti, ben al di là dell’area renziana. Da qui l’ostilità alla consultazione referendaria. Tra i casi che stanno agitando la sedicente “area riformista”, ce n’è inoltre uno che sarebbe irrilevante, ma che per quel piccolo mondo diventa cruciale. Si tratta dell’uscita dell’ex segretaria della Cisl, la senatrice Anna Maria Furlan, in direzione di Italia viva, in dissenso sui temi del lavoro: una donna che ha diretto un sindacato che possiamo definire “giallo”, e che verosimilmente non troverebbe folle che la acclamano. Scelta, la sua, che tuttavia allarma la solita area timorosa che, a questa defezione, ne seguano altre, magari ancora di uomini e donne senza particolare consenso ma di estrazione cattolica (vedi qui), sebbene lontanissimi dalla cultura pacifista e dalla sensibilità sociale di papa Francesco. A rendere infine più complicata la vita della segretaria è arrivato ieri, 12 marzo, il voto a Strasburgo sulla proposta di riarmo europeo. Il tentativo di mediazione di Nicola Zingaretti è risultato vano: chi era a favore ha votato a favore, chi contro si è astenuto per non spaccare un partito che, su questo tema, è in ogni caso diviso. In undici hanno fatto questa scelta, ma tre – Lucia Annunziata, Cecilia Strada e Marco Tarquinio – sono indipendenti. Ad affermarsi nella partita sono stati quindi i dieci favorevoli, tutti interni al Nazareno. Questa sconfitta – che per certi versi appare un pareggio, mostrando che il consenso alla segretaria, ancora una volta, va al di là dell’area ristretta dell’apparato – rivela comunque il suo coraggio, visto che, all’interno del gruppo dei socialisti e democratici, tutti si sono espressi a favore del riarmo: dalla Francia alla Germania, fino alla Spagna, per citare i più importanti. Dimostrazione che, al di là dei tormenti del Nazareno, negli altri partiti socialisti europei non si intravede neanche un sia pur timido tentativo di staccarsi da una linea bellicista che ha portato solo guai all’Europa, finendo col favorire l’estrema destra. Per questa ragione – a prescindere da come andranno le cose – Elly ha messo in mostra un coraggio che, fuori dai nostri confini, non trova cittadinanza, prevalendo un atteggiamento che ricorda la linea dei socialisti europei (con l’importante eccezione del “né aderire né sabotare” degli italiani) in occasione della Prima guerra mondiale.